Alla presenza di un
congruo numero, non più di 20 anime, di appassionati di storia
e di lingua sarda si è svolta a Ploaghe la presentazione del saggio
di Mauro Maxia, edito da Condaghes di Cagliari. Quasi 500 pagine di lavoro
ricco di stimoli e strumento di notevole spessore per chi voglia addentrarsi
nelle pieghe del tardo medioevo sardo. Il condaghe è costituito
da 321 schede di cui 4 in lingua sarda e le rimanenti 317 in lingua castigliana.
Si tratta di atti di compravendita, donazioni, permute e riconoscimenti
di proprietà di fondi e di persone a cura degli abbati dell’abbazia
di Salvennor, la cui chiesa si erge in stile romanico-pisano ancora oggi
come prezioso bene culturale che i ploaghesi dovrebbero valorizzare maggiormente
servendosi di guide turistiche bene informate sulla variegata storia del
territorio comunale e dei beni culturali. Dalla biblioteca alla pinacoteca
al museo religioso. La presentazione del volume è stata fatta dal
prof. Massimo Pittau e dallo stesso autore. Il primo si è soffermato
sull’importante nodo che fu fin dai tempi romani la località
di Ploaghe, che se si accetta l’origine bizantina del termine risulterebbe
il diminutivo di Paolo, visto che Pietro e Paolo risultavano indubbiamente
patroni della futura diocesi della curatoria di Figulinas. La diocesi
di Ploaghe fu attiva infatti dall’XI al XV secolo quando fu soppressa
e aggregata alla diocesi Turritana. Il prof. Pittau ha messo in chiaro
come il centro fosse di primaria importanza nel cuore di quello che con
un mutamento del nome divenne Logudoro, invece che Longudone, tanto in
epoca romana oome in epoca cristiana e cristiana bizantina. Mauro Maxia,
invece, ha fatto la storia delle precedenti edizioni critiche del condaghe
citando soprattutto Di Tucci, Tetti, Merci e infine, Maninchedda.
Il suo approccio al condaghe però si differenzia dagli altri perché
egli ha privilegiato l’ottica linguistica. Oltre al valore delle
quattro schede in lingua sarda egli ha messo in risalto anche le 217 in
lingua castigliana che per quanto riguarda la toponomastica sono ricchissime
di nomi e di luoghi espressi in lingua sarda. Da ciò l’importanza
linguistica del vasto documento che pur tradotto in castigliano non ha
perso quella patina linguistica del sardo che andava consolidandosi decisamente
come lingua neoromanza. Il valoro del documento è preziosissimo
però anche dal punto di vista geografico storico (Tetti) e ovviamente
dal punto di vista onomastico e toponomastico (Maxia) e filologico (Maninchedda).
Per quanto riguarda la storia e l’economia di quel periodo il documento
costituisce uno scrigno di notizie. La stessa cosa può dirsi per
la società e la sua organizzazione tra servi e liberi. Basti pensare
alle difficoltà del matrimonio della serva Maria Pira della chiesa
di Salvennor e Pietro de Flumen di Villa Alba, uomo libero. Particolare
rilievo assumono i rapporti tra la diocesi e il monostero che portava
avanti una politica di vera e propria fagocitazione anche dei beni della
diocesi che al momento opportuno cercava di difendere i propria beni per
la sua stessa sussistenza. Gli spunti che da questo studio si possono
cogliere sono innumerevoli. Maxia con questo lavoro ricco di note, corredato
da un indice toponomastico e onomastico contribusce a far luce su un’
epoca storica piuttosto avara di documenti, ma che grazie a questi lavori
di critici, filologi, storici e onomasti aprono spaccati e brecce su un
periodo che fu difficle dal punto di vista civile, ecclesiastico e delle
relazioni umane, ma non per questo meno vivace e interessante se si pensa
alla diffuzione a pelle di zigrino dei beni dei monaci.
Peccato che un maggior numero di ploaghesi e di forestieri non abbia colto
l’importanza di questa comunicazione degna di essere accolta da
una popolazione più numerosa di diplomati e dottori di cui il centro
pure si vanta. Auguriamoci che la sferzante definizione dei sardi da parte
degli aspagnoli non continui a perseguitarci inesorabilmente: sardos pocos
y locos y malunidos; i sardi pochi, tardi di comprendonio e disuniti.
Svegliati Sardegna se non vorrai precipitare in un mare di crassa ignoranza
visto che gli studiosi eccellento ce li hai. Dobbiamo fare di tutto per
impedire che i giovani crescano a base di frastuoni, alcol e droga all’interno
delle troppo rumorose discoteche maleodoranti dei peggiori miasmi fisici
e intellettuali inquinandosi il corpo e l’anima. Dove stanno le
solerti operatrici sociali e socio-culturali quando nei centri piccoli
e grandi si celebrano eventi di cultura, di storia e di civiltà?
Forse ci stiamo adagiando sulle rendite pubbliche , lasciando andare alla
deriva i nostri giovani allo stesso modo con cui a volte le sia pur modeste
rendite parrocchiali non rendono più attivi i parroci e i parrocchiani
al fine di una nuova evangelizzazione, per impoedire l’imbarbarimento
bolso e vacuo dei giovani? Sorgete ploaghesi infingardi e guardate agli
esempi preclari dei vostri antenati! Le stesse considerazioni si possono
fare per il vicino centro di Chiaramonti dove alla presentazione di villaggi
abbandonati da parte di un équpe di archeologi erano presenti a
malapena 20 forestieri e 20 indigeni. Logudoro e Anglona, battete un colpo
per istruirvi se ci siete!
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