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MARIA CHIARA FIRINU PUBBLICA
L’OPERA DI NARRATIVA MEMORIALE IL CANONICO DI SAN SEVERINO
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Maria Chiara Firinu di Iglesias -con orgogliose origini familiari nel
piccolo centro oristanese di Narbolia- è una delle voci più
sensibili e ricche di umanità che siano emerse, in quest’ultimo
decennio, nel frequentato e variegato panorama sardo “non professionistico”
di scrittura poetica ed in prosa. Scrive indifferentemente sia in lingua
sarda campidanese, anche recentemente ha conseguito significativi riconoscimenti,
che in lingua italiana: caratterizzante particolarità è
l’immediata e naturale autenticità narrativa. Ha pubblicato,
con risultati apprezzabili ed evidenziando una partecipata tensione (sociale,
spirituale, meditativa) e consistente vitalità, Racconti (ed.Cocco,
Cagliari, 2000), I melograni (ed. Montedit, Milano, 2007) e Le mie pietre
(ed. Montedit, Milano, 2010).
Maria Chiara Firinu, nel segno del raggiunto personale linguaggio nel
raccontare, con descrizioni da abile affabulatrice, e nella continuità
descrittiva del mondo familiare-identitario, tracciato a chiare linee
anche nelle opere precedenti, si cimenta ora nel genere letterario memoriale
e pubblica Il Canonico di San Severino (ed. Montedit, Milano, 2012).
“La memoria autobiografica è uno degli ambiti più
antichi della psicologia, perché è la funzione umana che
permette di integrare tra loro i pensieri, le rappresentazioni, gli affetti,
i bisogni, le intenzioni e le ambizioni dell’individuo (Rubin, 2003)”;
la scrittrice di Iglesias attinge al ricco e fondo pozzo della memoria
personale per far affiorare e rivitalizzare voci, vicende personali e
storie collettive che sottrae all’oblio per riproporle come nell’incanto-rivelazione
di un ammaliante segreto. La memoria, per la Firinu, è rappresentazione
dell’esperienza umana e profonda conoscenza personale che garantisce
legittimazione e una continuità di sé nei fondamentali passaggi
esistenziali (passato, presente e futuro).
Una miscellanea di eventi, tra passato e presente, si alternano tra vicissitudini
familiari e personali che conquistano alla lettura ed hanno il picco narrativo
(“una sorta di romanzo inserito nel diario esistenziale”)
con la scoperta ed esplorazione della figura del Canonico Adalberto, antico
e dimenticato abitatore della casa di San Severino. Le memorie ripercorrono
con curiosità e meraviglia i sentieri del cuore, tanto da rivelarne
addirittura la lettura dell’anima dell’autrice quando rievoca,
con naturale interiore tenerezza, le sorelle, i genitori e le determinanti
figure della nonna e del semplice, sensibile ed indifeso zio Giovanni;
tutta la narrazione è pervasa da profonda religiosità laica
ed attenzione “francescana” verso la natura e gli animali
che gravitano nel mondo infantile della casa di San Severino. I ricordi
di Maria Chiara Firinu rappresentano anche il contesto sociale e l’ambiente
lavorativo minerario del Sulcis-Iglesiente (“La miniera, unica risorsa
di vita”), in cui convivevano -come nell’attualità!-
problematiche occupazionali, di sicurezza ed ambientali.
La prefazione di Massimo Barile, presidente del premio di narrativa “Jacques
Prévert”, evidenzia della sarda Firinu la “scrittura
avvolgente sempre capace di rendere dominante la forza interiore e, allo
stesso modo, la magia del tempo”.
I richiami memoriali alla casa di San Severino, per la scrittrice che
ne custodisce indelebile affetto, sono maggiormente carichi di significati
e di emozionali appelli in quanto la struttura risulta ora inesistente:
è stata demolita dalla proprietaria Società Mineraria.
(11-01-2013)
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