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Giovanni Lilliu, sommo
archeologo, ma anche osservatore
e protagonista della politica e della cultura della Sardegna
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La severità
e il rigore del prof. Giovanni Lilliu, docente di Archeologia nella Facoltà
di Lettere dell’Università di Cagliari, erano direttamente
noti, nell’anno accademico 1965-1966, a mia cugina Lillina Fiori,
che a me studente liceale raccontava – con ammirazione mista a terrore
– della precisione che il Professore chiedeva ai suoi laureandi
e di come lei tremava ogni volta che doveva riferire dei suoi rilievi
nelle campagne di Ploaghe per la tesi che aveva per titolo “Le antichità
di Ploaghe nelle opere di Giovanni Spano ed oggi”.
Personalmente cominciai a familiarizzare con il rigore e il metodo di
analisi del prof. Lilliu leggendo nel corso del 1968 (mentre ero “matricola”
di Lettere nell’Università Statale di Milano) i suoi contributi
sulle pagine della rivista sassarese “Autonomia cronache”
(di cui era direttore responsabile Manlio Brigaglia).
In essi, da studioso cattolico impegnato nel politico e nel sociale, Lilliu
scrisse: 1) di interazione tra cultura e politica nel quadro della “questione
sarda” seguendo una relazione tenuta nel settembre 1967 al Rifugio
“La Madonnina” di Santulussurgiu ad un corso di formazione
per giovani; 2) di “degradazione storica della società barbaricina”
(cioè il passaggio “da una società effettivamente
esistita, come tale, alle origini, a una società, come tale, oggi
dissoltasi ed effettivamente inesistente”); 3) della “rivoluzione
degli studenti”. Tutti e tre i temi non potevano non interessare
un giovane studente universitario che, lasciate le tranquille aule del
Liceo classico “Azuni” di Sassari, pur immerso nelle movimentate
assemblee milanesi di Via Festa del Perdono, non aveva intenzione di recidere
i legami con le tematiche sarde; anzi: la lettura delle opere di Gramsci
aiutava a conoscerle meglio e a collocarle nel quadro della più
vasta “quistione meridionale”.
Lilliu, da consigliere regionale DC dal 1969 al 1974, pronunciò
in Consiglio notevoli discorsi (penso al suo intervento del 9 aprile 1969,
dal titolo “Dove va l’autonomia”, pubblicato da Fossataro,
con l’invito a considerare anche «i campanelli d’allarme»
provenienti dal mondo della contestazione giovanile, che guarda «con
indifferenza, per non dire noia, verso il tema autonomistico») ma
il suo nome è legato in maniera indissolubile al saggio del 1971
che nel titolo sintetizzava efficacemente la sua teoria interpretativa
della storia sarda, cioè «la costante resistenziale sarda»:
«La Sardegna, in ogni tempo, ha avuto uno strano marchio storico:
quello di essere stata sempre dominata (in qualche modo ancora oggi),
ma di avere sempre resistito. Un’isola sulla quale è calata
per i secoli la mano oppressiva del colonizzatore, a cui ha opposto, sistematicamente,
il graffio della resistenza. Perciò, i Sardi hanno avuto l’aggressione
di integrazioni di ogni specie ma, nonostante, sono riusciti a conservarsi
sempre se stessi. Nella confusione etnica e culturale che li ha inondati
per millenni sono riemersi, costantemente, nella fedeltà alle origini
autentiche e pure». (Si veda G. Lilliu, La costante resistenziale
sarda, a cura di Antonello Mattone, Nuoro, Ilisso, 2002).
Da Milano potei seguire ben poco gli articoli giornalistici di Lilliu
apparsi sul quotidiano “L’Unione Sarda” a partire dal
1974, su temi che – peraltro (come ho scoperto leggendo i due volumi
intitolati Cultura & Culture. Storia e problemi della Sardegna
negli scritti giornalistici di Giovanni Lilliu, a cura di Alberto
Moravetti, prefazione di Manlio Brigaglia, 2 volumi di complessive 900
pagine, edite da Carlo Delfino nel 1995) – ben si sarebbero legati
ai miei interessi professionali di funzionario dal 1977 dell’Assessorato
alla cultura della Provincia di Pavia attivo nel campo dell’organizzazione
culturale territoriale (conservazione e valorizzazione dei beni culturali;
costruzione dei sistemi bibliotecari e museali; pubblicazioni mirate al
rafforzamento dell’identità culturale locale).
Lilliu in persona si appalesò proprio a Pavia, sabato 22 giugno
1985, in una affollata conferenza, nell'Aula del Rivellino del Castello
Visconteo, sul tema “All’alba della civiltà nuragica:
un itinerario tra i nuraghi della Sardegna alla scoperta di una civiltà”,
con proiezione di diapositive. L’evento, organizzato dal Circolo
culturale sardo “Logudoro” di Pavia, allora presieduto da
Filippo Soggiu e di cui era responsabile culturale Gesuino Piga, si era
reso possibile proprio grazie all’amicizia di Piga (allora direttore
amministrativo dell’Università di Pavia) con il Professore,
amicizia nata e cresciuta nell’Ateneo cagliaritano. Ho parlato di
“evento” non a caso: interrogando la collezione digitalizzata
de “Il Messaggero Sardo” dal maggio 1969 al dicembre 2010,
Lilliu, presso le associazioni degli emigrati, risulta protagonista unicamente
di un convegno nazionale sulla cultura sarda presso il circolo “ADIS
Quattromori” di Torino allora presieduto da Jade Corda (cfr. “Il
Messaggero Sardo”, maggio 1991). In quell’occasione Lilliu
si soffermò sulle questioni della lingua, “elemento fondamentale
dell’identità”, e in particolare sulla necessità
che l’uso della lingua sarda non fosse limitato all’ambito
familiare e che la Regione intervenisse con un’apposita legge per
introdurre l’insegnamento della limba nelle scuole.
Lilliu fu tra gli intellettuali sardi (insieme a Manlio Brigaglia, Bachisio
Bandinu, Paolo Pillonca, Nicola Tanda) che firmarono l’appello in
difesa della legittimità costituzionale della proposta di legge
su “Tutela e valorizzazione della lingua e cultura sarda”
più volte rinviata dal Governo alla Corte costituzionale nel corso
degli anni 1993-1994 e poi dichiarata “illegittima”. Questo
appello, su sollecitazione della FASI e dei Circoli ad essa aggregati,
fu firmato da molti emigrati e si giunse così al convegno di Milano
del 10 dicembre 1994 “Autonomia, Cultura, Lingua sarda nell’Italia
del federalismo, nell’Europa della regioni”, organizzato dalla
FASI, che ha curato anche la pubblicazione degli Atti, nei quali, alle
pagine 106-108, il pensiero di Lilliu sulla materia è riassunto
da Paolo Pillonca tramite le domande e le risposte in sardo di un suo
“arrejonu cun Juanne Lilliu”.
Venerdì 9 giugno 2000: a metà mattina, a Nuoro, una comitiva
di sardi e lombardi, nel quadro del gemellaggio tra Santa Giuletta (PV)
e Mores (SS), sta per iniziare la visita dell’Istituto Superiore
Regionale Etnografico (ISRE) della Sardegna. Vedo che dietro di noi è
comparso un “ometto” che non esito a riconoscere: è
il prof. Giovanni Lilliu, che non si sottrae alla gentilezza di scambiare
due parole con gli ospiti venuti da lontano, anche se – come specificò
– era lì non per doveri burocratici ma per l’urgenza
di completare delle ricerche in biblioteca.
Il Professore non ha mai smesso di studiare, così come Giovanni
Spano, del quale ha scritto: «Come succede, alla chiaroveggenza
dello studioso non mancarono gli errori. Uno fu quello di non aver avvertito
la falsità delle cosiddette “Pergamene d’Arborea”.
[…] L’altro errore fu di non avere riconosciuto la falsità
dei cosiddetti idoli “sardo-fenici” […]. Ma dobbiamo
valutare lo Spano al di là di queste défaillances,
cogliendo di lui il positivo, valutarlo soprattutto come maestro di vita
e di amor patrio, dico amore per la Sardegna» (“G. Spano e
l’archeologia sarda” in Paolo Pulina e Salvatore Tola, Il
tesoro del canonico. Vita, opere e virtù di Giovanni Spano,1803-1878,
Sassari, Carlo Delfino, 2005, cfr. pp. 53-61).
Grazie prof. Lilliu, Sardus Pater e Maestro di Sardità.
(23-02-2012) |