Tratto dal DIZIONARIO - GEOGRAFICO STORICO - STATISTICO - COMMERCIALE DEGLI STATI DI S.M. IL RE DI SARDEGNA A CURA DEL PROFESSORE GOFFREDO CASALIS DIRETTORE DI BELLE LETTERE TORINO 1833/1856
BOLOTHANA, villaggio della Sardegna nella provincia di Nùoro, distretto di Bono, tappa (officio d'insinuazione) del Gocèano, aggiunta all'officio di Ghilarza. Si comprendeva nell'antico dipartimento del Màrghine del giudicato di Logudoro. Si dice abbia questo paese avuto origine dalla vicina antica città vescovile di Ottàna, oggi meschino villaggetto, dove essendosi eccitata verso il 1317 una civil discordia, alcuni degli abitanti furono obbligati a ritirarsi, altri nel luogo detto Sa Pattàda, ed altri nel sito cognominato Sas roccas de santu Basile, onde assicurar la propria temenza nelle favorevoli località. Questi trassero dietro sè le famiglie, e vissero in piccole capanne contessute a tronchi e frasche, volgarmente Sas pinnettas; onde ebbe principio la popolazione. Sonovi de'monumenti, che provano l'esistenza della medesima nel 1353. Siede questo paese a piè dei monti del Marghine presso all'angolo, che essi fanno con quei del Gocèano, in una dolce pendenza dirincontro all'austro. Le case sono meglio di 760. La strada cognominata del santo Salvatore, dove esisteva una chiesa di filippini, è la più bella e la più frequentata, e spesso lieta de'pubblici divertimenti e sollazzi, balli, cantici, corse, mascherate ecc. Le più celebri passeggiate sono: una verso ponente dal suindicato santo Salvatore al ruscello Baud, che con la sua corrente mette in movimento lungo le stagioni d'inverno, e di primavera tre gualchiere e quindici molini; l'altra verso levante dallo stesso punto alla chiesa rurale di s. Bacchisio. Entro l'abitato sono alcuni orti, ne'quali si coltivano ortaggi, e varie piante, e vi si tengono delle arnie. Il clima è temperato nella parte piana del territorio. Le piogge cadon frequenti, la neve persiste più giorni, le tempeste battono il monte, la nebbia non è rara anche su i colli: dominano i venti del secondo e terzo quadrante. Le arti necessarie si esercitano da un numero competente: sono più numerosi i magnani, ferrari, legnajuoli, muratori. L'agricoltura però e la pastorizia sono l'occupazione de'più. Le donne lavorano alla tessitura di panni lani e lini in più di 300 telai, e con quello che sopravanza ai bisogni della famiglia ottengono qualche lucro. La scuola normale è frequentata da più di 50 fanciulli. Già nel 1763 vi si sono stabilite le scuole di latinità, e non vi concorrono meno di 25 giovanetti. Suole in questo paese stazionare un certo numero di cavalleggieri. Talvolta ancora vi fu quartiere a un distaccamento di fanteria. La chiesa parrocchiale pare di buona architettura. E' denominata dall'apostolo s. Pietro, e fu nell'anno 1833 consacrata dal vescovo d'Alghero monsignor Arrica. Il parroco si qualifica rettore, e tiene 6 coadiutori, oltre 9 altri sacerdoti, e parecchi iniziandi. Vi sono alcune chiese figliali; i due oratorii, uno appellato dalla santa Croce, l'altro dal suffragio delle Anime purganti, i quali sono governati da un priore annualmente nominato dalle rispettive confraternite. Ad una estremità dell'abitato la chiesa di san Basilio, presso la quale, come fu detto sopra, si formò il primo stabilimento della popolazione; all'altra quella di san Giambattista. Dopo queste è da farsi menzione della chiesa dedicata alla Nostra Donna intitolata dal Monte Carmelo, e di quella che è annessa al convento de'cappuccini a non più di 50 passi dal paese. Fu questa casa fondata circa il 1609; poco dopo, per non so quali accidenti, abbandonata, e corso qualche tempo, riabitata. Vi sogliono vivere quattro sacerdoti, altrettanti laici, due cherici, e quattro terzini per la collezione delle limosine, che abbondantemente sono somministrate. Vi si vede un bèl giardino irrigato da molte acque, la maggior quantità delle quali vi si conduce dal monte per un canale. Sono 60 e più anni, che da questo paese andaron via religiosi mercedari. Il convento era nel centro del paese, ora e quasi interamente distrutto, e sola esiste la chiesa appellata da santa Maria. Dai beni di questa casa il Re assegnò al comune scudi 700, dal frutto de'quali si pagasse annualmente il maestro di latinità. La festa principale è in onore di s. Paolo primo eremita, frequentata da molta gente de'paesi d'intorno. Vi si corre il palio, e si fanno fuochi d'artifizio. Il cimitero è unito alla parrocchiale, e resta all'estremità del popolato. Fra breve si formerà il campo-santo. Già per dodici anni si scrive lo stesso numero di abitanti. Nell'anno 1833 con nulla, o ben poco di più, o di meno degli antecedenti presentavansi nel censimento parrocchiale anime 3200 in 750 famiglie. Sogliono celebrarsi all'anno pressochè 15 matrimoni, nascer 80, morir 45. Pochi arrivavano agli anni 80. La pleurisia, i reumatismi, le febbri periodiche sono le dominanti malattie. Tra l'altre costumanze vige ancora quella delle nenie funebri (s'attitu). L'estensione del territorio comprendeva 90 miglia quadrate. Dividesi in campo, e montagna. Il campo in due vidazzoni, una ed altra delle quali si può credere capace della semina di 6000 starelli. Scarso il frutto dei seminati, ed il contadino è lieto, se abbiasi il quintuplo; il che, come è facile vedersi, non tanto nasce dalla natura delle regioni, quanto dalla coltura. Si raccoglie di lino non più del proprio bisogno, e meno assai di canape. Nella valle irrigata del Badu si semina granone, fagiuoli bianchi, e molte specie di erbaggi. Le vigne sono provvedute di forse tutte le varietà d'uve conosciute nell'isola. Nel secolo scorso gran lucro ritraevano questi popolani dal vino, che in gran quantità vendevano agli uomini delle terre limitrofe; ma introdotta in seguito tra quelli la coltivazione delle viti, intristiva questo ramo di frutto. Le piante fruttifere possono sommare a 10,000, peri, fichi, peschi, susini di molte varietà, noci, mandorli, agrumi, ciliegi, albicocchi, castagni ecc. Poche sono le tanche, sì che non han per sè che una piccola frazione di tutta la superficie, e sono usate per la pastura del bestiame. La montagna è una continua selva. La quercia e l'elce sono le specie dominanti. Vi sono pure soveri, nocioli, ciliegi selvatici, tassi, perastri, olivastri, agrifogli, sorgiaghe, frassini, pomi selvatici, salici, tamariggi, ed altro non designabil numero di piante d'altre diverse classi. Vi si potrebbero annoverare forse 8 milioni d'individui. In alcuni siti se ne veggono di cotali, che sono veramente colossi, con circonferenza al piede di 6 metri e più, ed un'altezza proporzionata; sono principalmente da ammirarsi quei che vegetano in Sa Terra Sardinza. Sul monte, che stendesi da tramontana a maestro, levansi molte punte, la più sublime delle quali è detta di Palài, onde vedesi intorno grandissima parte del regno. Le strade per la costa sono praticabili a cavalli: sulla sommità si può anche carreggiare. E' stato sempre questo monte un asilo di malviventi perseguitati dalla giustizia, li quali è impossibile di poter cogliere senza la cooperazione di qualche traditore. Si nutrono non meno di 880 buoi per l'agricoltura, cavalle domite 230, rudi 300, vacche 1,500, capre 2,000, porci 3,000, giumenti 350, pecore 11,000. Poco vantaggio viene dai prodotti. Sono rari i cervi; invece diconsi numerosi i daini, cinghiali, lepri, martore e volpi. Non perseguitati, che ben di rado dai cacciatori, vanno sempre più moltiplicandosi, e ne sperimentan danno le coltivazioni. De'volatici trovan le specie più comuni, e in numero considerevole le gentili. Non v'ha forse alcuna pendice, onde non sorgano acque ottime, ed alcune di assai bassa temperatura. Sono a preferenza da lodarsi Lejana celebre per la sua abbondanza, Ortàchis, Su Niberu, che sgorgano dalla bicca, o punta di Palài: Su'enale, o venale ruju, Olostru, Assìda nel monte Schintorgiu de Seddas, che corrono nella vallata Raighina; e le denominate Dessu poju, Ona, o Bona, Abba-Lughia, che scorrono Coghinadorgiu, dove pure convengono riunite le acque delle fonti dessu Cùcuru, dessa Palma, dessa Bussa ecc.; in altra parte sa Pettorìna, S'Aspru, che si congiungono con la fonte di Saùccu; in altra le sorgenti di Nueradorgiu, e di Frida; in altra quella di s. Bacchisio ecc. Finalmente le fonti dessos Tràos, dessas Chìas, de Bannài, che si riuniscono in Badu. L'uso di molte di queste acque nelle febbri periodiche si è sperimentato di gran giovamento, però chè bevute nella declinazione eccitano copioso sudore, ed egestioni superiori ed inferiori. Mancasi nel paese di acque buone, e quelle, che vi si trovano, sono tepide e gravi, un'anfora delle quali si è provata molto più pesante del montone. Molti sono i ruscelli, o piccoli fiumi, che nascono da quest'esteso territorio, avvegnachè non siano da temersi; perchè quando pure sia pieno l'alveo, si posson traversare sopra il cavallo. Essi si distribuiscono in tre principali bacini, alcuni in quello del Coguìna scorrendo contro tramontana, altri in quello del Temo, movendosi contro ponente, pochi altri contro levante-sirocco andando al Tirso. Il Palài originato dalle fonti summenzionate in primo luogo muove a Mulargia noa, dove cade dalla certa altezza; indi affrettasi verso i salti di Bonorva alla regione cognominata Sa mendula, onde entra nel Campo volgendo a levante. Il Raighìna formato dalle acque, che sopra abbiam detto riunirsi nella valle di questo nome, procedendo contro, tramontana traversa le montagne di Bolòthana, di Bono, e Nughedu, e va nell'alveo del Coguìna. Il Chivargio che si genera dalle acque che confluiscono in Coghinadorgiu procede verso Badu de cannas, ed indi al campo di s. Lucia in territorio Rebeccu o Bonorva. Questi tre fiumicelli sono i primi rami del Coguìna. Il Saùcco, il cui principio fu sopra notato, corre verso ponente, trapassa Pardu-mannu, e si può tenere come una delle più lontane origini del fiume Temo (Rio di Bosa). Il Nueradorgio che scorre dal monte contro levante, e si versa nel Tirso. Il Bacchis che principalmente formasi dalla sorgente di san Bacchisio, e rende ancor esso tributo al Tirso. Il Badu nascente dalle fonti su narrate, e cresciuto con altri due rivoli, uno che si aggiunge nel sito dello stesso nome proveniente dalle sorgenti Lettu de fruscu, Padedda, Nieddìo, altro nel sito detto Ortu movente dalle acque di Dònniga, Ottilài ecc. vassene poi nel Tirso. Il Facchetta, limite fra giurisdizioni di Lei e Bolothana, nel sito cognominato Riu-tortu, si unisce al rivolo, che scende dalle terre di Sillànus, poi riceve Siudalài, e da queste passato nelle terre di Noragùgume si aggiunge al Murtazòlu, che volge le acque di Macomèr, Bortigàli, ecc. Riuniti prendono il nome di Cokile, trascorrono i campi di Ilài, ed entrando nel Sedilese in Crocorocò si confondono col Tirso. Il Tirso divide il territorio di Ottàna dal bolothanese per una linea di tre miglia. Nelle sue escrescenze si trapassa per lo ponte di Illorai, in altro tempo si tentano vari guadi. Prendonsi dal medesimo in ogni stagione trote, ed anguille. Sono da notare in queste territorio alcune chiese campestri. Una distante 50 passi dall'abitato è dedicata alla Nostra Donna col titolo di Buon cammino; l'altra è sotto l'invocazione di san Bacchisio martire in distanza di 16 minuti. Essa è lunga metri 50, e larga 25, con otto cappelle ed il presbiterio, una bella sagrestia, un buon palazzetto, ed un loggiato. Due volte all'anno vi si festeggia, e si celebra una frequentatissima fiera, addì 10 maggio, anniversario della sua consecrazione, e poi a 7 settembre. Vi è tradizione che abbiavi dissotto un santuario, in cui sieno riposti i corpi dei ss. mm. Sergio ed Apuleio. Si può in questo luogo far menzione della chiesa silvestre di s. Maria di Saùccu posta nel bosco, dove toccasi la terra di Bolothana con altre giurisdizioni. Ella è di poca capacità e di barbara struttura. Forse dessa fu posseduta da'monaci benedittini, conciossiachè facciasi menzione di s. Maria de Savucco o Sambuco fra li luoghi sacri che quelli ottenevano in Sardegna, sì nel privilegio concesso a Callisto II (an. 1123), come nella bolla di Alessandro III (an. 1159), e nel diploma di Clemente IV (an. 1188): Il sito è assai ameno, e vi sorge quell'acqua, che dissopra abbiamo notata come prima origine del rio Saucco o Sambucco (Sambuco), che corre contro ponente e taglia in Padru-mannu la strada centrale. Ogni anno alcuni giorni prima della festa (addì 8 settembre) vi concorrono non poche centinaja di persone devote dai convicini paesi per farvi la novena, le quali alloggiano in sei casupole, ed in capanne che si formano di tronchi, rami e frasche. In tanta estensione di territorio si possono annoverare più di 200 norachi, che vanno sempre distruggendosi dagli oziosi pastori. Hanno tutti l'ingresso molto basso, in guisa che convenga andar carpone per entrarvi. Sono vicine a ciascuno di essi delle sorgenti. Nel campo vedesene uno poco men che intero (Nuraghe mannu); nel monte se ne trovano parecchi in buono stato: il più bello e grande è denominato Tittiriòlu degno di essere osservato. Degli altri monumenti, detti volgarmente sepolturas de gigantes, se ne trovano non pochi: Le lapidi che ricoprono le casse sono di tanta mole, che converrebbe ordinare molti gioghi per ismoverle. Più degli altri rimarchevole è l'incluso nella Tanca manna a 15 minuti dal paese. Dicesi essersi in qualcuno trovate delle armature (V. Barbagia. - Monumenti antichi). Sas percias, altrimenti sos perciònes. Così diconsi certe sotterranee spelonche di molta profondità. Le più considerevoli sono sas percias de Iscannìto nella pianura. Temesi di penetrarvi, e chi più dimostrossi animoso protestò d'essersi innoltrato per più di mezzo miglio, e poi essere stato forzato da un vento assai freddo a tornar indietro. S'istrampu. Nella regione Mulargia-nòa osservasi s'istrampu (la casacata) del fiume Palài. L'altezza è considerevole, forse più di 20 metri. Quando le acque sono abbondanti si può allora vedere un bel nappo. Esse sono ricevute in un concavo delle roccie, dove formano un laghetto. Per vie sotterranee sorgono a distanza di circa dieci passi dal bacino. In molte parti del bolothanese appariscono vestigie di antiche popolazioni, la cui distruzione dev'essere avvenuta in tempi assai lontani. Notansi i siti ora cognominati Bingia de Cresia, Su Angiu o Bangiu, Bardosu, e Santu Sèlighes, sa Bogàda, Villa maggiore, Durgùi, Pedra de mànigas. Oltre questi casali, che erano nel campo presso l'attuale paese, pretendesi che pur nella montagna fossero altre popolazioni, una delle quali diceasi Sinigorri distante più di mezz'ora dal villaggio o casale di Saùccu. Nell'altro distretto pastorale appellato Sa mura-de-Pittalis veggonsi molti e grandi vestigi di antica popolazione, e nell'altro che dicesi Pabùde si afferma esservi stato un castello. Su Nènnere. Nelle feste in onore di s. Basilio, s. Raimondo Nonnato, e s.Paolo primo eremita, vedesi la costumanza del così detto Nènnere. Semimescolati di grano, orzo, lino si fanno preventivamente vegetare in piccoli vasi di terra dentro casa, e coperti dalla luce. Nel dì solenne prendesi il vaso e si va a cert'ora convenuta e far orazione alla porta maggiore della chiesa. Indi uno de'paesani si avvia seguito da molti altri, quali a cavallo, quindi a piedi, e fatto per tre volte il giro intorno alla chiesa, gittansi in terra i Nènneri. Come ciò si fece, quelli che sono a cavallo muovonsi tosto, e quindi sulla strada principale fanno molte corse. A questo succede un lieto convito, e in conclusione si balla. Credono molti tra costoro sia questa una bell'opera di devozione, e in essa sperano assai quelli massimamente che sono travagliati da qualche malattia. S'arza, o s'argia. Così chiamasi un certo ragno, che tieusi per velenoso, e che pare la tarantola dei pugliesi. Quando avvenga che qualcuno ne sia morso portasi in un letamajo, dove scavasi come una sepoltura e si fa giacere coperto sino al collo di poca terra. Lui così posto, intersecasi intorno una danza di sole donne che sogliono, o devon essere, secondo i zelatori di questo costume, vedove, attempate e maritate già vecchie con fresche zitelle. Non si canta nè si suona alcuno dei soliti istrumenti rustici, e solo si battono o scuotono sos tintìnnos, che sono certe grossolane squille, che portano appese al collo le capre ecc. Ei dicono che in virtù di queste pratica dopo pochi giorni svanisce il veleno dal corpo dell'ammalato. Questo comune comprendesi nel feudo del Màrghine. Quali siano le prestazioni, cui è tenuto, vedi nell'articolo Marghine dipartimento. Tieni dal 1831 una curia propria dipendente dalla prefettura di Nùoro. Corrisponde all'altre parti del regno con due corrieri uno di levante che passa per Bono, altro di ponente che passa per Bosa. |