La sigaretta
di Luigi Ladu

 

 

 

(da Pitzinnos minores - Reminiscenze d’infanzia)


Era un lungo periodo nel quale tziu Badore, lavorava come minatore nei pressi di Marcellino, una zona adiacente a Sos Alinos, in agro di Orosei, nella costa orientale dell’isola.
Alcune imprese appaltatrici effettuavano lo sbancamento di alcuni tratti rocciosi per il completamento della strada statale che avrebbe dovuto migliorare considerevolmente i collegamenti tra Cagliari, l’Ogliastra e Olbia, riducendo così, i tempi di percorrenza dal nord verso il sud dell’isola e viceversa.
Tziu Badore, non tutte le sere, poteva rientrare a Nuoro, e quando, questo avveniva, vista la distanza e gli scarsi mezzi di comunicazione, arrivava in città molto tardi.
Appunto per questo, suo malgrado, le restava poco tempo, da dedicare alla campagna e in particolare a su cunzau, che in quel periodo, richiedeva una continua presenza umana.
L’uva era quasi matura e, occorreva che, qualcuno, rafforzasse gli abituali e periodici controlli, prevedendo così, probabili vendemmie abusive, ed anche, per allontanare gli uccelli che, altrimenti avrebbero fatto man bassa, del delizioso frutto che, cominciava a essere dolce e appetitoso.
A Luiseddu insieme al fratellino minore Piero, era stata affidata una turnazione quindicinale, e quindi dovevano “tentare ”, nonostante i due, messi insieme, raggiungessero appena i dodici anni di età. Infatti, Luiseddu aveva appena terminato gli otto anni, mentre Piero, ne doveva ancora compiere solamente quattro.
In ogni modo, malgrado l’età, i fanciulli, erano ben abituati a stare da soli e autonomamente nella campagna, questo, sia per periodi di tempo brevi, ma anche, per diversi giorni.
Seguendo le indicazioni di tziu Badore, avevano cercato di predisporre approssimativamente, una sorta di spaventapasseri “in sas ghiradas de sa binza ”, questo tipo di lavoro li aveva impegnati, non tanto per l’utilizzo finale che se ne doveva fare, ma per il desiderio di mettere alla concreta prova le loro capacità organizzative.
Essendo un vigneto di tremilacinquecento ceppi di vite, l’estensione era molto vasta, e suddiviso in cinque enormi riquadri, distanti tra loro, di conseguenza, dovevano collocarne almeno uno per ogni “ghirada”.
Si doveva eseguire il tutto, in modo che, gli uccelli, spaventati dal fantoccio, non si avvicinassero alla vigna, e così, non divorassero l’uva.
I pupazzi, se pur costruiti con cura, rispettando gli ordini ricevuti, escluso l’impatto del primo momento, non facevano nessuna paura, anzi, si aveva la netta impressione, che permettessero ai volatili di avvicinarsi, infatti, molto spesso, i merli, andavano a posarsi proprio in capo agli spaventapasseri.
Altro sistema, che adoperavano, era il rimbombo della bombola metallica. Difatti, tziu Badore, già dagli anni precedenti, aveva portato una vecchia bombola da gas, ormai in disuso.
Questa, veniva legata a uno dei rami, di una grossa pianta d’olivo posta proprio sotto “sa domo” e, a distanza di qualche minuto, specie nelle ore di punta, veniva colpita con forza in continuità con un pezzo di ferro, imitando così il suono delle campane.
In quel modo, si riusciva più efficacemente a far scappare gli uccelli invasori, ma quel metodo, purtroppo, impegnava in modo continuativo i poveri ragazzi, privandoli di allontanarsi come avrebbero voluto.
I due, non avevano altri compiti specifici, se non quello appena descritto di vigilare costantemente la vigna, e a giorni alterni, verso sera, poco prima dell’imbrunire, d’innaffiare l’orto.
Appunto per questo, le giornate erano molto lunghe, di conseguenza, vista la loro vivacità, dovevano inventarsi qualcosa da fare, evitando di trascurare la vigna.
Spesso, disinteressandosi delle disposizioni ricevute, si avvicinavano al fiume su Grumene che fiancheggiava il tancato, e specie, nelle ore più calde e afose, si facevano il bagno “in su poju ” immerso nella folta e spettacolare vegetazione.
Togliendosi i calzoni e la maglietta, (per loro i costumi da bagno non erano mai esistiti) cominciavano a immergersi piano-piano nella limpida e refrigerante piscina naturale.
“Stai attento, Piè – diceva il fratello maggiore – che qui è molto profondo e pericoloso“.
“Eija, ista asseliadu, chi a su trettu artu non b’acurtzio ” rispondeva l’altro, quasi scocciato, poiché, si sentiva controllato, e quindi, non in grado di badare a se stesso.

Dopo il bagno, si sdraiavano su alcune rocce presenti nel fiume. Queste, erano rivolte verso il sole, rese stupendamente levigate dal tempo, ma anche, dallo scorrere della trasparente e pura acqua proveniente nei periodi di piena dalle boscose montagne di Mamojada.
Vi restavano per diverse ore dimenticandosi completamente dei propri impegni e degli ordini ricevuti, immaginandosi di essere tra le belle spiagge di un meraviglioso mare, che purtroppo, ancora non avevano avuto modo e fortuna di poter conoscere e apprezzare.
Dopo queste ore trascorse fantasticando tra l’immaginario e la realtà, fecero rientro a sa domo, per riprendere nuovamente in mano, le redini di attivi vigilanti.
Considerata la loro età, l’appetito non mancava, ma le provviste alimentari, stavano scarseggiando, probabilmente, nei giorni precedenti, senza rendersene conto e spinti dalla golosità, avevano consumato più del programmato.
“Piè, non b’amus prus nudha de manicare, si non custu cantichedhu de casu, e duas fresas de pane carasua ”, disse Luiseddu.
Senza attendere risposta dal piccolo continuò: “Ma non ti ponzas pessamentu, cras bortaedie ja benit babbu e nos’ata a batire carchi cosa ”.
Infatti, l’indomani, essendo sabato e, stando alle previsioni, sarebbe dovuto giungere tziu Badore, sia per controllare le condizioni dei figli e assicurarsi della loro situazione, ma anche, per approvvigionarli di nuovi alimenti.
La sera, consumarono il poco che avevano a disposizione e, dopo una bella sorsata di acqua fresca, direttamente risucchiata chinandosi e poggiando le proprie labbra nella favolosa sorgente de su cunzau, questa, incavata in un piccolo dirupo, quasi nascosta da una fitta vegetazione, si spostarono verso sa domo.
Si distesero nella vecchia brandina “unu a pedes e s’ateru in conca ”, e via, rilassandosi, con l’auspicio che li raggiungesse quanto prima il sonno, accompagnandoli per tutta la notte nell’attesa del giorno successivo.

La mattina, si alzarono di buon ora, si diressero verso il fiume, questo, per darsi una bella sciacquata con la sola acqua corrente. All’epoca, vi era un detto che diceva: “Sabba che labat cada cosa, fintzas su machighine ”. Quindi, anche se non usarono rinomati saponi, erano certi di essersi puliti a dovere.
Freschi e pimpanti, iniziarono un’altra giornata all’insegna della spensieratezza, ma sempre vigili o quasi, nel salvaguardare la vigna da intrusi uccellacci, o da malcapitati, alla ricerca di ruberia, come spesso accadeva, nelle campagne vicine, cosa che, grazie a Dio, da loro, non si era mai verificato.
Infatti, tutti sapevano che la vigna era controllata, e comunque, tziu Badore godeva della stima e il rispetto di quanti lo conoscevano, pertanto, nessuno si permetteva di fargli un minimo torto, anzi molto spesso i ragazzi venivano invitati dai vicini per trascorrere dei momenti di riposo e conversazione.
Si avvicinava, l’ora del pranzo, ma purtroppo, per i poveri ragazzi, se pur con continui spasmi allo stomaco per la fame accumulata, non c’era più niente da poter mettere sotto i denti.
Frugando in sa domo, trovarono soltanto una bustina di carta straccia, con degli spaghetti, ma erano non più di duecento grammi, e cosa ancora più importante, e non da sottovalutare, non c’era niente per poterla condire, ne concentrato, ne pomodori, e per di più, non c’era traccia di formaggio.
Di conseguenza, niente pranzo, l’unico modo per potersi nutrire era una scorpacciata d’uva, che sicuramente, anche se non appagava a dovere il loro stomaco, aveva i suoi valori nutrizionali.
Nel pomeriggio, come al solito, un bel riposino, con un sonnellino, all’ombra di uno splendido e massiccio albero d’olivo che, faceva in modo meraviglioso cornice attorno a sa domo.
Questo, accadeva nell’attesa che tziu Badore li raggiungesse.
Le ore passarono, l’attesa, iniziava a diventare preoccupante, il tormento, diventava sempre più forte, poiché, rimuginavano continuamente sul problema alimentare. E poi, non si sarebbero mai permessi, di rientrare a Nuoro, lasciando in stato di abbandono la vigna.
Arrivò la sera, ma del babbo, purtroppo, e con la comprensibile amarezza, nessuna traccia positiva.
A quel punto, Luiseddu, con tono deciso: “Dai Piè, facciamo un pochino di fuoco, che ci cuciniamo i pochi spaghetti che ci sono”.
Il fratellino perplesso: “E con cosa li condiamo questi spaghetti se non c’è niente?”.
“Non mettiamoci altri problemi, li mangeremo senza sugo – replicò il fratello maggiore – l’importante è mettere qualcosa sotto i denti per far cessare i crampi a questo benedetto stomaco”.
Detto fatto, si diedero da fare, all’aperto, fuori dalla casa, con un po’ di frasche, accesero il fuoco, mettendo sopra “sa tripide ” una vecchia pentola in alluminio annerita all’esterno dal fumo, riempita a metà con acqua. Aspettarono l’ebollizione, per poi versarci gli spaghetti, cercarono del sale per insaporirla meglio, ma ironia della sorte, non vi era neanche il sale.
“Passentzia dai, como derettu, che la bocamusu, est belle cotta ”, sostenne quasi infastidito Luiseddu.
“Isperemus però chi siet bona sentza perunu cundhimentu ” fu la replica del fratellino minore non molto tranquillo.
Di seguito, con un vecchio colino in alluminio, scolarono la pasta, e via a riempire un altrettanto vecchio e sbiccato lavamano in ferro smaltato, abbellito con decorazioni di belle rose.
Serviva poco mescolarla, non vi era nessun tipo di aggiunta da amalgamare, era esclusivamente, pasta bollita, senza sale e senza condimento.
Con delle originali, ma pratiche forchette, ricavate da dei rametti di legno d’olivastro, i due malcapitati, iniziarono così, la straordinaria cena, mangiando entrambi, direttamente dallo stesso recipiente.
Certamente, il sapore e il gusto non li aveva appagati, ma anche se, assolutamente a malincuore, vista la convulsa fame, erano riusciti a consumarla tutta.
Finita la cena, lavarono pentola, colino e lavamano con l’acqua della bollitura, invece, li sciacquarono con la scorta prelevata in precedenza, e conservata in una brocca di terracotta.
Intanto si era fatto molto tardi, era notte inoltrata, una nottata tremendamente buia. Si doveva per forza di cose, andare a dormire, con la speranza che, almeno al mattino successivo arrivasse dalla città tziu Badore, con provviste e buone notizie.
Non avevano ancora preso sonno, che nel silenzio, in lontananza, si sentì un cane abbaiare in modo insistente.
Luiseddu, sospettoso e guardingo, si alzò di scatto e guardando nella notte buia verso la vallata posta frontalmente. Cercò di scrutare eventuali intrusi in sa caminera che conduceva alla propria campagna, per poi. esaminare attorno e gradualmente gli altri tancati.
Non vide niente di sospetto, a parte l’abbaiare del cane, tutto sembrava tranquillo.
Trascorso qualche secondo, ecco che, a un certo punto, in lontananza s’intravide una piccola luce. “Piè b’este una luche caminande ” affermò con apprensione Luiseddu.
Subito, anche il fratello minore, con un energico scatto, uscì fuori e insieme al fratello cercarono di identificare quella luce che si muoveva lungo la sconnessa stradina.
Iniziò il terrore, il piccolo, cercò di aggrapparsi al fratello maggiore, ma lui, nascondendo la sua paura e il suo stato d’animo, rassicurò il fratellino: “Cerca di stare tranquillo sarà qualcuno che sta andando a rubare nella campagna di tziu Innasieddu, a noi non ci possono far niente”.
Intanto, seguono lo spostamento di quella fantomatica stellina luminosa che, con rapidi movimenti si avvicinava sempre di più.
Quando stava per giungere all’ingresso de su cunzau, distante soltanto un centinaio di metri dalla casa, Luiseddu si rivolse al fratello: “Vedrai che adesso andrà dritto, non è diretto verso di noi”.
Manco detto, che, invece, l’ignara fonte luminosa, arrivò all’ingresso, e penetrò direttamente all’interno della loro tenuta.
Un attimo di panico, ma in quel momento, occorreva agire senza perdersi in chiacchiere, non c’era una diversa alternativa, rientrarono immediatamente all’interno della casa, e dalla porta semi aperta, scrutarono, osservando che il lumino era diretto verso di loro.
Piero, con uno scatto fulmineo da velocista di atletica leggera, si precipitò verso l’interno del caminetto, cercando il modo migliore per potersi nascondere.
A Luiseddu, l’amaro e difficile compito per affrontare su bandidu . Tra gli attrezzi da lavoro, individuò una pesante zappa, di quelle a taglio largo, normalmente utilizzata per diserbare in vigna.
La prese per il manico, e accostando la porta, si mise, dietro l’uscio, in attesa, con la zappa rivolta verso l’alto, pronto a farla calare con violenza sulla testa dell’intruso.
Ecco che… si sentirono dei passi avvicinarsi, giunsero dinanzi all’ingresso, ed a quel punto, Luiseddu era pronto per colpire con decisione l’intruso.
Nel momento che, con tutta la sua forza, Luiseddu, stava per colpire con la zappa la testa all’estraneo, sentirono una voce amica, era tziu Badore, che con voce rassicurante, richiamava la loro attenzione: “Luisè, so babbu brostu ”.
A quel punto, i due, quasi svenivano, per la paura accumulata in quei minuti appena trascorsi. Piero, corse verso il babbo, e notò che, tra due dita della mano spiccava un mozzicone di sigaretta, ma l’abbraccio fu spontaneo e caloroso.
Tra le braccia del genitore, si sentiva rincuorato e probabilmente, sperava così di cacciare via, tutto lo spavento, che per lunghi e interminabili minuti aveva dovuto sopportare a causa di una sigaretta.
“Ite fizis timende? ”.
Disse l’uomo rivolto ai figlioli, e senza aspettare risposta, continuò: “Non sono potuto venire prima, perché ho lavorato nell’impresa per tutto il giorno, e non sono riuscito a raggiungervi come avrei voluto, sappiate che, anch’io, ero in ansia e molto preoccupato”.
Sicuramente, anche tziu Badore, era tristemente amareggiato, per aver involontariamente, posto i propri figlioli, considerata l’età, in uno stato d’animo a dir poco angosciante.
Una sigaretta, con lo stato di tensione e la forte insicurezza dei piccoli, aveva rischiato di causare una tragedia.
Infatti, se tziu Badore, non avesse richiamato l’attenzione preventiva dei figli, il ragazzo era determinato nella sua azione, e da dietro l’uscio, avrebbe colpito irrimediabilmente con l’arnese da lavoro, la testa del proprio genitore.

 

COSTANTINO LONGU FRANCESCHINO SATTA POESIAS SARDAS CONTOS POESIE IN LINGUA ITALIANA