Un passaggio in auto
di Luigi Ladu

 

 

 

(da Pitzinnos minores - Reminiscenze d’infanzia)


Era sera, tziu Badore prima di andare a letto, diede disposizioni a Gonario, Luiseddu e Piero che, l’indomani mattina di buona ora, avrebbero dovuto recarsi a su cunzau. Erano tanti giorni che nessuno vi scendeva e occorreva “cumpudare su locu ”.
“Partie in bon’ora, comente ch’esso deo pro andare a traballare, e chircae de iserbare in s’ortu, ca bi debet’essere creschia erba meda, e poi budhie unu pacu de berdura pro s’issalada ”, disse il babbo rivolto ai tre.
Il mattino seguente, non era neanche fatto giorno quando sentirono la voce delicata ma autorevole del genitore: “ajò, pesande sezis chi est ora de falare a su Grumene ”.
I ragazzi, che dormivano tutti e tre nello stesso letto, ancora profondamente assonnati, cercarono di strizzare gli occhi, per potersi così riprendere dal sonno e svegliarsi per iniziare una nuova giornata da dedicare per intero alla campagna.
In quel periodo, causa un incendio partito dalla casa dei vicini, che aveva reso la casa inabitabile, per motivi di sicurezza, vivevano in una dimora di fortuna, situata nel quartiere “Chischeddu ‘e Longu” alla periferia della città.
Si trattava di un’abitazione campestre, priva di acqua corrente e quindi dei più elementari servizi igienici.
Comunque, i tre, con un “cutzerone ” presero l’acqua da un recipiente, riempito in precedenza per gli utilizzi d’emergenza (altrimenti sarebbero dovuti scendere alla “bartza ”, situata nel piccolo ruscello che scorreva poco distante) e la versarono in un lavamano.
Nello stesso contenitore e con la stessa acqua, si diedero una breve sciacquata del viso usando un pezzo di sapone artigianale fatto in casa da tzia Frantzisca col grasso di maiale, e la soda.
Così, si era pronti per la partenza.
Gonario, il più grandicello, cercò di scrutare l’interno di una vecchia “taschedda ” che dovevano portarsi appresso col cibo per la giornata: “Mà, ite nos’azes postu pro manicare in su cunzau? ” disse rivolto verso la mamma e speranzoso che per l’occasione avesse preparato qualcosa di buono e appetitoso.
“Ite cheriazes chi bo’ serepo postu? - replicò tzia Frantzisca, con atteggiamento affettuoso - De su chi b'àmus, tres cocones, unu cantu e casu erbechinu e pacas olibas de cuffetu ”.
Gonario, non soddisfatto della risposta, manifestò il suo disappunto con i fratelli minori Luiseddu dieci anni e Piero sei: “inòche si màndhicata sempere sas matessi cosas ”.
La mamma, accompagnò i ragazzi fino al cortile, oltre la porta di casa, e con un bacio sulla fronte li salutò: “Andae cun Deus e cun Nostra Sennora, e mi raccomando, istade attentos ”.
“Istade trancuilla bois mà ”, risposero i tre quasi contemporaneamente, avviandosi in direzione della vecchia strada per Mamojada, che era la parte iniziale del lungo itinerario che conduceva alla vallata de su Grumene.
Con passo spedito s’incamminarono, fiduciosi di trovare lungo il percorso, qualche carro trainato dai buoi, per avere un passaggio o comunque altre persone dirette verso i vari tancati e orti che si trovavano a su Grumene.
In quel caso, oltre al passaggio in carro, avrebbero avuto modo di conversare e scambiarsi opinioni, distraendosi in modo da arrivare a destinazione meno stanchi avendo anche l’impressione che il viaggio sarebbe stato meno lungo.
Purtroppo, così non fu, probabilmente erano partiti leggermente in ritardo e i tanti allevatori o coltivatori abituali, li avevano sicuramente preceduti, partendo a “s’impudhile ”. Infatti, tutti cercavano di arrivare sul posto, molto presto, e lavorare al meglio a “sa friscùra de su manzànu ”.
Giunti all’ingresso de su cunzau, controllarono lo stato de “sa jaca” , del muretto a secco di recinzione adiacente e verificarono eventuali manomissioni, ma tutto risultava in perfetto ordine.
Fecero quindi la consueta salita, lunga un centinaio di metri, per raggiungere sa domo. Presso la porta d’ingresso, ma anche attorno alla casa era tutto tranquillo. Non c’erano evidenti tracce di danneggiamenti o violazioni.
Stanchi del viaggio, Gonario si sdraiò sulla vecchia brandina. e Luiseddu con Piero approfittarono per sedersi su alcuni “iscannedhos ”, realizzati dai gambi di “ferula” a tempo perso, in modo del tutto artigianale da tziu Badore.
Vi restarono per qualche minuto, giusto il tempo di rilassarsi e riprendere fiato, di seguito, essendo più freschi e meno snervati, erano pronti per avviarsi all’orto, situato in direzione nord ai confini del tancato, ai lati di un piccolo ruscello affluente del fiume su Grumene.
Raccolsero alcune piantine di lattughe e un cesto di pomodori. Subito vollero assaggiare il sapore degli ortaggi freschi, e sanare così, un certo languorino.
Di seguito, accantonarono una certa quantità di verdure da portare a Nuoro per la famiglia.
Gli ortaggi. sembravano abbastanza freschi e la terra ancora umida, ma in ogni modo, nel rispetto delle disposizioni ricevute, aprirono il tappo del grosso tubo della “barza” di raccolta dell’acqua e “pro abare ” fecero scendere il prezioso liquido nel solco principale.
Gonario, dettò gli ordini di lavoro che, con una zappa, guidava il flusso dell’acqua, chiudendo i solchi di diramazione quando erano pieni, mentre Luiseddu e Piero, con due zappe decisamente più piccole, preparavano gli altri solchi aprendo le ramificazioni, e così, di conseguenza, chiudevano quello principale, in modo che, al suo arrivo l’acqua andasse direttamente nei canali prescelti.
Il lavoro durò un paio d’ore. Poi sentendosi indubbiamente stanchi, si sdraiarono sotto un enorme albero di fichi, godendosi la frescura del momento, sicuramente bella e appagante.
A un certo punto, Gonario si rivolse ai fratelli minori: “Ajò chi andhamus a sa domo e nos manicamus unu cantu ‘e pane casu, ca deo, incomintzo a tenner gana ”. Si alzarono di botto, e via, verso sa domo.
Giunti a destinazione, il maggiore dei fratelli, con autorità prese una bottiglia vuota, e si rivolse a Piero e gli ordinava: “Tue bae a sa funtana e batti cust’ampulla de abba ”.
Il piccolo, se pur a malincuore (poiché la sorgente era abbastanza lontana) obbedì, e partì con passo veloce.
Intanto Luiseddu, prese in mano sa taschedda, per preparare il banchetto, e immediatamente Gonario disse: “Dae chi lu facco deo, chirca de pulire unu pacu in cussu trettu, ca manicamus cue ”.
“Eija ”, fu la risposta di Luiseddu, che cercò di riordinare al meglio, spostando alcuni utensili da lavoro presenti, e sistemando al centro un vecchio tavolino.

Quando era tutto pronto, mancava all’appello Piero, ma ecco che, lo si intravide arrivare, e subito Gonario: “Ajo a tindhe moghes chi tenzo sidiu ”, gli disse e andò incontro al fratellino per prendergli la bottiglia.
In due sorsate, il fratello maggiore, svuotò la bottiglia, e immediatamente dopo, rivolgendosi nuovamente al piccolo: “Como bae lestru e bàttindhe un’attera ”.
“Oh, ma sempere deo deppo andhare, - si lamentò Piero - Mi chi inoche semus in trese ”.
“Andas tue e impresse pure, - replicò Gonario - ca ses su minore e deppes ascurtare su mannu. Bae lestru, senza fachere chistiones ”.
Borbottando, ma senza avere una minima possibilità di replica, s’incamminò nuovamente verso la lontana sorgente.
Intanto, “il capo” dopo qualche minuto d’attesa, si rivolse a Luiseddu: “Dai chi nois cumintzamus a manicare, tantu, no istentata a bènnere ”.
Avevano appena cominciato che, con un grosso fiatone, si vide nuovamente riapparire il fanciullo con la solita bottiglia in mano. Appena si rese conto che, i fratelli, avevano già iniziato il banchetto, si lamentò: “ite boche sezis manicandhe tottu bois ?
“Ista seriu, chi ja bindhata puru pro tene, cola e pica su pane cun su casu ”, fu la risposta secca e autorevole di Gonario.
Terminato il banchetto, i tre si diressero verso un secolare e maestoso albero d’olivo. Inizialmente si arrampicano nei magnifici rami cercando ognuno di dare del suo, mostrando la propria abilità.
Al termine fecero un bel sonnellino per rilassarsi.
Trascorsa qualche ora, “Dai ajò pesae chi er belle ora de nos pònnere in caminu pro ghirare a Nugoro ”, affermò Gonario, con un sicuro atteggiamento da dominante, e consapevole del suo ruolo di responsabile del gruppo.
I tre rientrano all’interno de sa domo. Presero in mano uno zaino militare, questo, recuperato dai residuati bellici della guerra. Vi sistemarono gli ortaggi raccolti nella mattinata, da prima le lattughe di seguito i pomodori affinchè non venissero schiacciati.
“Pro como lu picco deo, poi lu piccaes puru bois però. Cando firmamus a pasare, fachimus su cambiu ”, era il capo rivolto alle reclute.
Luiseddu, si caricò sulle spalle sa taschedda, ormai, svuotata dal pane e formaggio, e riempita con una piantina di lattughe, e così, si avviarono verso il rientro in città.
Avevano percorso un paio di chilometri, mentre stavano camminando lungo la stradina interpoderale all’altezza dell’appezzamento dei Lorica, si sentì la voce di tziu Innassiu: “Cassiade chi pasades e assazades unu pacu de mele ”.
I tre accettarono volentieri l’invito. Poggiarono lo zaino e sa taschedda su uno dei muretti a secco, e si avvicinarono a salutare il sempre cordiale e ospitale amico.
L’amico, tirò fuori alcuni panetti di cera d’api ancora pieni di miele, “L’apo bocau dae sos mojos dae pacu, assazaelu e nademi si er bonu ”.
I tre ragazzi, non abituati a consumare quel tipo di delizia e tra l’altro molto golosi, assaporano il miele con vero gradimento, divorandolo tutto e lasciando puliti i panetti della cera.
“Fiti meda bonu tziu Innà – disse Gonario – bos ringratziamus meda ”.
“Cando colaes ghettae una boche chi fintzas chi bindata, b’atta a essere pro bois ”, rispose cordiale l’uomo.
Salutarono, recuperano i bagagli, e anche per quella volta per non far notare niente a tziu Innassiu, Gonario si caricò sulle spalle lo zaino e Luiseddu sa taschedda, e ripresero il viaggio di ritorno.
Il fratello maggiore, fatte alcune centinaia di metri e attraversato un ruscello servendosi di una “passarella ”, si fermò, e pretese che si scambiassero i bagagli, poiché, riteneva che non era giusto che, fosse sempre lui, a prendere il carico più pesante.
Anche se non dello stesso parere, Luiseddu acconsentì, e cosi, si alternarono nel trasporto dei bagagli in ogni “puntu e pasu ”. Questo, per diverse volte.
Quando erano all’altezza de “su poju ‘e su pilota ” (dove si supponeva che un pilota in periodo di guerra, a seguito di un incidente aereo vi fosse caduto, perdendo la vita), notarono una piccola autovettura, parcheggiata ai bordi della stradina interpoderale.
A un centinaio di metri, in prossimità dell’incrocio de Sa Tanca ‘e Sena, si accorsero che, stava giungendo una seconda vettura, all’ora molto rare, proveniente da Mamojada e diretta in direzione di Nuoro.
Se pur molto difficile, proprio quel giorno, accadde quello che speravano. Accelerarono il passo e, con dei continui gesti con le braccia, accompagnati da forti strilli, riuscirono a farsi notare.
L’auto, proprio all’incrocio, appena menzionato, dove vi era pure una bella sorgente di acqua fresca, si fermò e, aspettò che giunsero i tre ragazzi.
Erano due fratelli, molto conosciuti e stimati in città.
Altrettanto nota e apprezzata, una loro sorella, poiché, oltre all’essere impegnata nel campo degli indigenti, lavorava nella scuola come assistente sociale.
La donna chiamata da tutti signorina Luisanna, qualche mese prima, incontrò Luiseddu, sulla via La Marmora, all’altezza della costruenda parrocchia delle Grazie.
Il ragazzo con ai piedi delle vecchie scarpe, aperte completamente nella parte anteriore. La suola con la parte superiore erano tenute da una rudimentale cucitura con filo di ferro.
La signorina, si avvicinò verso Luiseddu con premura e attenzione, le chiese dove stesse andando: “Vado a divertirmi sotto la chiesa, ci sono degli amici e dobbiamo giocare a tene-tene “
La donna ribattè: “Lascia gli amici per oggi, e vieni con me, che andiamo insieme a fare una commissione, e così mi farai sicuramente compagnia”.

Luiseddu, forse intimorito e indubbiamente a disagio, di conseguenza, per la netta paura di deluderla, acconsentì all’invito. Così si avviarono di buon passo verso via Majore (oggi corso Garibaldi).
Lungo il percorso, la donna chiese notizie riguardanti la famiglia, cosa facesse di lavoro tziu Badore, quanti erano in casa, e se pagavano l’affitto, o godessero di abitazione propria.
Una chiacchierata che, aveva messo a proprio agio il ragazzo, lasciando dietro di se le proprie insicurezze e, restituendogli così, quella naturale spigliatezza caratteriale.
Si era giunti quasi nella parte finale della lunga via Majore, ecco, sulla destra, un negozio di pelletteria, con di lato dell’ingresso una bella e grande vetrina “Vieni dentro che vediamo qualcosa” pronunciò rivolta a Luiseddu.
“Voglio un bel paio di scarpe per questo ragazzo. – disse al commesso – Mi raccomando, che siano buone e nello stesso momento resistenti”.
Luiseddu, inizialmente perplesso, misurò, alcuni modelli di scarpe, finchè trovarono quelle giuste di numero e comode nel piede.
Scarpe, oltre che confortevoli, stupende da vedersi, forse le più belle che avesse mai calzato.
La donna, senza esitazione, pagò l’importo, salutò cordialmente il negoziante, e così, i due, uscirono all’esterno.
Una volta al di fuori, chiese nuovamente al piccolo, se effettivamente il piede stesse comodo, e se quelle scarpe le piacessero realmente.
“Certo che mi piacciono – rispose all'istante – Sono talmente morbide che mi sembro scalzo, grazie per questa sorpresa.
“Cerca di non sciuparle e trattale bene – replicò, la signorina – Ora vai a casa, a tua madre, le dici che, questo è un mio regalo”.
Ritorniamo ai due fratelli con l’auto.
Uno dei due, quello al fianco dell’autista scese a terra e gentilmente, invitò i ragazzi a salire a bordo, dicendo loro di sistemarsi al meglio.
Dopo essersi ben accomodati, collocarono i bagagli tra le proprie gambe, l’auto riprese il viaggio, bello e comodo in direzione della città.
I due signori, a seguito delle solite domande, da dove questi giungessero, e quindi, averli osannati per il lungo percorso sino a quel momento fatto a piedi. Quando ormai erano giunti alla periferia di Nuoro, chiesero se nell’auto parcheggiata ai bordi della stradina interpoderale, avessero notato qualcuno.
A Gonario, venne la bella idea di beffeggiarli, conoscendo la loro sorella tramite la scuola, e così in modo ironico disse: “Booh non sappiamo di chi fosse, però, dentro cerano un uomo e una ragazza in atteggiamenti osceni”.
“Davvero? – rispose uno dei fratelli – Che gente, mettersi sulla strada in vista di chi passa. E’ scandaloso, chissà chi saranno stati”.
“La ragazza è sempre in giro a Nuoro – replicò immediatamente Gonario, prendendoci gusto del gioco appena intrapreso – Lavora a scuola, e s’interessa dei poveri, mi sembra che, sia una specie di segretaria o assistente sociale”.
Un colpo di freni, e la vettura si fermò di botto: “Farabutto, come ti permetti, di fare con cattiveria delle insinuazioni su mia sorella? Ora vi faccio vedere io cosa vuol dire comportarsi da mascalzoni”.
Uno sguardo allo specchietto retrovisore, una rapida inversione, e di nuovo in partenza, ma in direzione opposta.

All’interno dell’auto, si sentivano soltanto i due che, a fasi alterne e, con tono duro, apostrofavano i ragazzi, senza che questi, avessero la minima capacità di reagire.
Rifecero all’inverso tutto il percorso, ma non si fermarono all’incrocio di sa Tana ‘e Sena, andarono oltre per qualche chilometro, per poi, fermarsi in un punto desolato e per loro sconosciuto.
Uno di loro, scese dall’auto, e con voce decisa gridava: “Uscite immediatamente fuori, delinquenti, e il giorno che imparate a comportarvi da persone civili, potete ripresentarvi tra la gente”.
Senza dare una possibilità di replica, tirò fuori in modo sgarbato, lo zaino e sa taschedda, gettandoli ai bordi della cunetta e, immediatamente dopo, prese per il braccio uno per uno i ragazzi, estraendoli con violenza dall’auto, regalando ad ognuno un sonoro calcio nel sedere.
Incurante dell’ora, infatti stava per imbrunire, lasciò i ragazzi per strada, rimontò in auto e ordinò al fratello: “Vai, parti”.
Suo malgrado, Luiseddu, era amareggiato per il fatto increscioso appena successo. Poiché, custodiva nel proprio cuore, come immagine indelebile, quella donna che le aveva donato un bellissimo paio di scarpe. In quel momento infangata, per un atto spregevole di spavalderia.
I tre, rientrarono a Nuoro a tarda notte, stanchi e sfiniti, ritrovando la famiglia in forte allarme.

 

COSTANTINO LONGU FRANCESCHINO SATTA POESIAS SARDAS CONTOS POESIE IN LINGUA ITALIANA