Tratto
dal
DIZIONARIO - GEOGRAFICO
STORICO - STATISTICO - COMMERCIALE
DEGLI STATI
DI S.M. IL RE DI SARDEGNA
A CURA DEL PROFESSORE
GOFFREDO CASALIS
DIRETTORE DI BELLE LETTERE
TORINO 1833/1856
MAMOJADA, terra cospicua
della Sardegna nella provincia e prefettura di Nuoro, compresa nel mandamento
di Fonni e nell’antico dipartimento della Barbagia Ollolai.
La sua situazione geografica è nella latitudine 40º 12’
30” e nella longitudine orientale dal meridiano di Cagliari 0º
10’.
Il paese è nel piano d’una gran valle, e composto di circa
426 case distribuite irregolarmente lungo due contrade principali che
si intersecano, una detta Viamanna, che divide il comune in due regioni,
e l’altra Via de santa rughe (via di S. Croce). Vi sono alcune piazze,
e principali fra queste le appellate dalla N.D. di Loreto, e dalla S.
Croce, nelle quali nei giorni festivi radunasi il popolo per le solite
ricreazioni.
Sorgono alcune eminenze presso il paese, e non sono che a molte miglia
le grandi montagne, a 7 miglia ed a levante la montagna di Oliena, che
stendesi tra il greco e sirocco, a 8 miglia e all’austro il Gennargentu,
a 3 miglia e quasi a ponente il monte Gennari.
La giacitura del paese dice la sua umidità in alcuni tempi, perché
è da notare che il terreno in cui siede va declinando per molte
miglia alla valle meridionale di Nuoro; e la elevazione notata della terre
dice quanto sia impedita la ventilazione, quanto il calore estivo, il
freddo invernale, la durata delle nevi. La nebbia è frequente,
le tempeste non sono rare, e molto spesso si dolgono della grandine, che
nel finir della primavera suol nuocere ai seminati ed alle frutta. L’aria
è salubre, ma non sempre pura per le esalazioni di alcuni pantani
e del letame delle stalle, giacché tutte le sere il bestiame manco
vien richiamato al paese.
L’estensione territoriale sarà di poco maggiore di 15 miglia
quadrate. Il comune è ben situato perché sta quasi nel centro
del territorio, il che ha molto favorito la cultura del medesimo.
Il rialzamento del terreno mamojadese in varie parti, è più
notevole nelle regioni appellate Lenardubande, Arraiola, Sudovara. Vi
sono alcune cave di pietra da taglio, e in certi siti si scavano argille
di mediocre bontà per le terraglie.
In questo territorio si riconobbe una calce carbonata lamellare perlata;
altra carbonata tavolate aggrappata in vari versi, cosparsa di cristalli
di quarzo con altri di calce carbonata, alcuni de’ quali appartengono
alla varietà prismatica lamelliforme; e anche una steatite bigia
d’apparenza alquanto scistosa.
Le fonti di questo territorio non saranno meno di trenta, tra le quali
sono più considerevoli quella di S. Giuseppe in sulle estremità
dell’abitato, che nella sua perennità non è mancata
al popolo in nessuna ostinata siccità; la fonte di S. Cosimo, perenne
come la prenotata, ma per la leggerezza e freschezza riputata migliore;
la fonte Istevene, che serve alla irrigazione d’un gran numero di
orti; la fonte di Duduli, ‘e quella che dicono Dessa-pedra, la quale
però in paragone dell’altre dà un’acqua grave;
e dopo queste la fonte Caprina, dove quando ne’ conviti campestri
si pongono le fiasche il vino scolorasi.
Queste fonti entrano in tre rivoli, uno che dicono Elisi presso i confini
con Orgosolo, l’altro Lodiasi vicino al paese, il terzo Istendei.
Sono poi notevoli due fiumicelli, il Terrasumele, che nasce da’
salti orgolesi, e il Baducarru proveniente dalla stessa regione. Si uniscono
in Badorgolesu e si versano nel Cedrino.
In questi alvei sono per tutto guadi sicuri, che però non è
prudente tentare dopo che ne’ medesimi sono entrati i torrenti.
Per le comunicazioni sono alcuni ponti di legno che si ristorano opportunamente
perché non manchino nel bisogno. Le rive sono amenissime finché
non escasi da mezzo a’ predii. Quando per troppa pienezza l’acque
ridondano allora i coloni, e principalmente gli ortolani, patiscono detrimento.
Se gli argini fossero più sodi non avrebbero essi alcuna ragione
di doloresi.
I quadrupedi selvatici in regione miete montuosa e boscosa sono rari.
Abbondano in vece i volatili, pernici, colombi, gazze, tortore, beccaccie,
merli, tordi e altri specie gentili. Gli usignoli empiono d’armonia
i siti più ameni. Le aquile, gli avvoltoi, fanno frequenti furti
a’ pastori, e sono dopo questi molti altri uccelli di rapina.
Popolazione. Nell’anno 1841 erano in Mamojada 419 famiglie, con
anime 1771, distinte in maggiori d’anni 20, maschi 526, femmine
460, e minori maschi 374, femmine 409.
Le medie risultate dal decennio decorso davano nascite 65, morti 30, matrimoni
14.
L’ordinario scorso della vita è a’ 65, e sono rari
che vivano agli 80.
Le malattie comuni sono infiammazioni e febbri perniciose e periodiche.
Professioni. Le famiglie agricole sono 200, le pastorali 136. Attendono
a’ vari mestieri di muratore, ferrano, falegname, segatore, calzolaio,
persone 27. Quindi convien notare negozianti 10, e i così detti
turronai 15, preti 7, impiegati civili 4, notai 3, chirurgo 1, flebotomi
2, speziale 1, levatrici 2.
Le famiglie possidenti beni stabili sono 303, le nobili 18 con anime 116,
nel sesso maschile 54, nel femminile 62.
Le donne lavorano a tessere il panno comune e la tela.
Alla scuola primaria sogliono concorrere circa 40 fanciulli. Il loro profitto
non è notevole.
Carattere. I mamojadini sono gente laboriosa e religiosa, e non pajono
più meritare l’accusa di vendicativi e sanguinari, che faceasi
contro loro in altri tempi. Gli animi sono molto mansuefatti.
Prigioni. In Mamojada non erano migliori che in Nuoro, e i ditenuti pativano
sotterra le tenebre, la mefite e una grande umidità. Le nuove prigioni
provinciali sono o saranno certamente meno insalubri.
Agricoltura. Il territorio di Mamojada è più atto all’orzo
che al grano, e le regioni meno sfavorevoli alla seconda specie sono le
confinanti a quel di Nuoro e di Orgosolo. Impinguato col fimo produce
pure le fave, delle quali si fa gran smercio fuori del paese.
Si seminano ordinariamente starelli di grano 650, di orzo 2060, parte
de’ quali semi sparso in altri territorii, perché le regioni
coltivabili che si hanno nella propria circoscrizione
, non potrebbero (come essi dicono) capire tanta quantità. Il grano
suol fruttificare il 5, l’orzo l’8. Negli orti si coltivano
fave, ceci, fagioli bianchi, lenticchie e granone, e la prima specie occupa
la maggior parte del suolo. Le fave e gli altri legumi sono molto riputati
perché di buona cucina. Le fave danno il 12 ed i fagioli anche
il 16.
Le piante ortensi che si coltivano sono lattughe, cavoli, cipolle, zucche,
pomi d’oro e patate. Di lino non si fa cultura, perché il
terreno non credesi atto: invece si coltiva il canape, del quale si raccogliono
annualmente circa 900 decine. La complessiva area degli orti è
molto considerevole.
Si vede una certa incuria per le vigne, e n’è ragione la
poca bontà del frutto. La negligenza porta che la vendemmia dia
sempre minori prodotti. I vini si soglion conciare con la sappa; e perché
facilmente inacidiscono, alcuni lo bruciano per acquavite.
I fruttiferi sono in molte specie e varietà, ed in gran numero.
Quasi in tutti i predii vegetano i noci, i nocciuoli, i castagni, i peri,
i susini, i fichi, i peschi, i cotogni ed i pomi. La somma darebbe per
lo meno individui quindicimila.
I gelsi sebbene in piccol numero, sono coltivati da tempo immemorabile,
e non si sa pur da quando le donne mamojadine abbian cominciato a lavorar
la seta e farne fazzoletti, cuffie e bende. Questa industria si è
da qualche tempo più distesa, dopo che il canonico Salis fece piantare
il Oliena alcune migliaja di gelsi bianchi, e promosse l’educazione
de’ bachi. Le donne orgolesi imitarono l’esempio delle mamojadine,
e sperasi che i loro lavori cresceranno sempre più.
Facilmente potrebbesi in Mamojada aumentare questa coltivazione, ed erudire
le donne a un’arte migliore di quella che usano nel setificio.
Tanche. Forse più della quarta parte del territorio è divisa
in gran numero di aree cinte da muro o da siepe. Nella tanche alternasi
la coltura e la pastura.
Selve. Non si può indicare in tutto il territorio nessuna regione
selvosa; tuttavolta vedonsi frequenti le quercie, i soveri, i lecci, e
nelle parti umide prosperare i pioppi, dai quali si ha il legname per
le costruzioni.
Pastorizia. I pascoli abbondano, fuorché per le capre e per porci,
e in alcuni tratti sono squisitissimi per il copioso serpillo, che dà
un gusto delizioso alle carni ed una gran bontà a’ formaggi.
Nel bestiame manso sono: buoi per il servigio agrario 600, vacche mannalite
680, vitelli e vitelle 250, cavalli e cavalle 160, giumenti 100, majali
200. Questi pascolano nel prato comunale e nelle tanche.
Nel bestiame rude sono: capre e caproni 1200, porci 1600, vacche 1800,
pecore 20800. Le pecore e i porci sogliono transumare, quelle nella fredda
stagione, al cui venire sono condotte nei climi maremmani, questi nella
stagione della ghianda a quelle terre, dove questo frutto abbondi.
Qui non è alcuno che abbia cognizione della veterinaria, peperò
non si sa come governarsi nelle frequenti epizoozie, nelle quali accade
di perdere anche i due terzi di tutti i branchi.
Si nutrisce in Mamojada una gran quantità di pollame, con questo
si supplisce alla scarsezza della beccheria.
Pretendono i mamojadine che non solo i cani, ma anche i gatti patiscono
la rabbia, e dicono che per le morsicature di tali animali siano morti
quelli, a’ quali sulla ferita non siasi potuto applicare la cenere
de’ loro peli, o il dente bruciato. Non pertanto tienesi certissimo,
che in tutta la Sardegna non siasi mai veduto un esempio di idrofobia.
Apicoltura. Questo altissimo insetto non è trascurato, e produce
molto in cera e in miele, e produrrebbe assai più se si avessero
migliori metodi. Il numero de’ bugni può ammontare a 2500.
Commercio. I mamojadine vendono il superfluo dei cereali, i prodotti ortensi
e l’altre frutta, assi di varie specie di legno, manifattura di
ferro, legno e lana, i formaggi, le pelli ed i cuoi a Orosei, la lana
a Orgosolo, Oliena, Ogliastra; e quelli che sono detti torroni lucrano
da torroni, che sono un impasto dolce che unisce mandorle, noci e nocciole,
aprendo bottega nelle feste. Si computa che il guadagno totale non sia
minore di lire 80 mila.
I mamojadine sono nella diocesi di Nuoro, e governati nelle case religiose
da un rettore con l’assistenza di cinque o sei sacerdoti.
La chiesa principale è sotto l’invocazione della Vergine
Assunta. Le minori sono nove, denominate da’ loro titolari, s. Antonio
abbate, la Madonna di Loreto, la santa Croce, s. Giovanni Battista, s.
Basilio, s. Giuseppe patriarca, s. Antioco, s. Francesco di Assisi, lo
Spirito santo. Tra tutte le più considerevole è quella di
Loreto, e tienesi come una delle più belle che sieno nel dipartimento.
Le feste principali sono per l’Assunzione e per la Concezione della
Vergine. In una e in altra si fan le devozioni per otto giorni, e nella
seconda gli operai o provveditori della festa distribuiscono a tutti gli
accorrenti pane e miele, e tanta copia di vino, che ne restan debilitate
a molti le gambe. In ciascuna delle chiese minori festeggiasi per il titolare,
e affluiscono molti ospiti da’ paesi circonvicini per le solite
ricreazioni del canto, del ballo e della corsa.
Le chiese della Vergine di Loreto e di s. Croce sono uffiziate da due
confraternite. Presso la chiesa dello Spirito santo il rettore Francesco
Satta apriva un piccolo conservatorio di donne sotto l’invocazione
della Vergine del Carmelo. Vivono di limosine, e non so se adoprino all’educazione
delle fanciulle, almeno a insegnare alle medesime la dottrina cristiana.
Il camposanto è prossimo alla chiesa parrocchiale fuor del paese
a canto passi.
Nella campagna sono altre due chiese, una in sulla via a Nuoro e Orgosolo,
dedicata alla Vergine delle Nevi, di ordinaria struttura, ma di molta
antichità; l’altra in sulla via a Fonni, dedicata a’
ss. mm. Cosimo e Damiano, è anch’essa antichissima. Questa
è in un amenissimo piano con intorno bellissime fonti, e tra esse
assai stimata quella che sorge nel cortile dell’ospizio de’
novenati per la perennità, freschezza e leggerezza. La sua festa
ricorre nel 27 settembre, ed è molto popolata. Gran numero di devoti
vi si sofferma per tutta la novena, e i negozianti de’ prossimi
dipartimenti vi espongono in vendita le loro merci per alcuni giorni,
e tengono una fiera che può annoverarsi tra le principali che si
celebrino in quelle regioni.
Antichità. Si osservano nel territorio di Mamojada quattro norachi,
uno nel luogo che dicono Trugutula presso la chiesa rurale de’ ss.
Cosimo e Damiano, l’altro appellativo Orgurù in sulla via
a Fonni, il terzo detto Armaiolo in su’ limiti con Orani, il quarto
Su Frau presso i salti di Nuoro. Il secondo è meglio conservato
degli altri.
Monumento di Pedras longas. In su’ confini co’ salti d’Orgosolo,
e nella regione prossima ai salti di Orani, che dicono Venatiteri vedonsi
grandi monoliti piramidali eretti sul suolo, dello stesso genere di quelli
che in altre regioni sono detti Pedras fittas, e che sogliono essere in
numero di tre con in mezzo il maggiore. Il primo di consimili monumenti
che fosse considerato da me, fu il primo. Innanzi quel giorno nessuno
scrittore li avea riguardati.
Chi abbia veduto in sulle rive del Carnai (Morbihan) le pietre celtiche
dette Men-hir, la qual parola nella lingua de’ bretoni dice Pietre
(men) lunghe (hir), e veda poi questi monoliti sardi, che molti dicono
Pietre-fitte, perché infisse al suolo, e altri Pietre-lunghe, potrà
riconoscere la grandissima e quasi intera somiglianza di siffatti obelischi
de’ due paesi nella materia, nella forma e in altri rispetti, se
non che in Sardegna trovansi lontane le une dalle altre queste pietre,
e sempre in numero di tre, due delle quali minori; mentre nella Bretagna
occorrono cos’ frequenti, che siasi potuto credere fossero monumenti
di morte sopra le sepolture di persone insigni, e tutti della stessa altezza
che pareggiasi a quella della media fra le Pietre-lunghe de’ sardi.
In più contrade della Bretagna i creduli abitanti della campagna
dicono che in certe epoche dell’anno al chiaror della luna appariscono
i cornandous folletti nani di non bella figura, e formino intorno a’
menhir una danza infernale e che nel silenzio della notte odansi con le
loro stridule voci chiamare i viaggiatori i quali tengono lusingare facendo
suonar dell’oro. E parimente fra i montanari sardi sono alcune strane
opinioni sopra questi monumenti, e v’ha chi crede che i diavoli
abbian sotto tali pietre conservati tesori, e che a’ medesimi non
si può arrivare da’ ladri che nell’anno santo, quando
i mali spiriti sono impediti a difenderli. Perciò nell’anno
del giubileo generale furono rovesciate le pietre-fitte in molti luoghi,
e una pure nel territorio di Mamojada.
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