Betulla, era il tuo nome,
notte e giorno
a stendere le fronde
t’adoperavi,
l’ usignolo in un flebile ramo
la reggia avea costruito
per non turbare la quiete tua.
Nella calura estiva
al ritmo del danzante vento
l’ombra spargevi.
La maestosità palesavi
e il bimbo gaudente
al sorriso esortavi.
Ora … che resta
delle intarsiate fronde,
degli avviluppati rami?
Poco! L’uomo t’ha preso
una mattina di marzo
e, con ardore, storpio t’ ha reso.
Povera mia voce, combattuto ha la guerra!
Dopo essersi annoiato
l’uomo t’ ha lasciato.
E ora … la tua forza ammiro,
pur nello strazio, novella esistenza offri
a ciuffi di foglie dei mutilati ceppi!