Pianto
di un condannato
Libertà
chi sei?
Non ti conosco.
Sbarre
di ferro
imprigionano il mio corpo
oggi,
sbarre di ghiaccio
imprigionano il mio spirito
forse per sempre:
m’han rubato il futuro
la vita.
Vorrei
tuffarmi
nel mare sconfinato
naufragare contento
verso le sponde
di qualche terra.
Vorrei
smarrirmi
nel deserto infinito
morire assetato
le mani tese
alla sorgente.
Vorrei
bruciare
nelle fiamme cocenti
se soltanto questi occhi
potessero sperare
un istante di gioia.
Libertà!…
Potrò
incontrarti
alla fine della strada
per salutarti almeno
e dirti addio
per sempre?
Ahi,
no, non posso
sognare ancora
io che son schiavo.
Perché sperare
son forse un uomo?...
* L’anelito verso la libertà di un detenuto da vent’anni
in carcere. ROMA 1970
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Liberazione
Il mio cielo si è aperto!
Questi miei occhi
domandavano luce
più luce
per poter gustare ancora
il sorriso d’una madre.
Queste orecchie
bramavano
di udire un’altra volta
il canto
degli uomini liberi
viventi.
Questo cuore
si era fermato,
ma sospirava
attendeva
sperava
di poter un giorno
amare.
Queste mani
volevano levarsi
verso il cielo
a rapire per sempre
una scintilla di felicità.
Il
mio cielo si è aperto!
Ho guardato in alto
e ho ritrovato me stesso
un uomo
un uomo vivo
risuscitato
forse per sempre …
Il
cielo è qui
vicino a me
nel volto di mia madre
nelle lacrime di gioia
di chi ha atteso tremante
il mio ritorno.
Forse soffrirò ancora
ma la mia luce
oggi risplende,
forse verserò ancora una lacrima
ma il mio cuore
sta imparando ad amare
e la mia voce
è un canto di gioia
perché il cielo
il mio cielo
è qui
ed io vivrò.
* Gioia nel giorno della libertà conquistata dall’amico
detenuto. ROMA 1970