Terra
dei nuraghi
di Giovanni Moro
O terra dei nuraghi,
tanto triste,
mentre s'innalzan qui le ciminiere.
Nel tempo duran le tue torri austere
e crollan del presente le conquiste.
Isola forte, che gli antichi
eventi
han prediletto fin dalla preistoria:
i ruderi rinfrescan la memoria
sfidando millenari e nuovi venti.
Nelle "Domus de Janas"
si son spente
le lampade neolitiche di allora
ed or che sorge questa nuova aurora
le persone son meste e assai sgomente.
Restano i conci dei tuoi
pozzi sacri,
dolmen e betili durano in frantumi,
ma la scienza moderna non ha lumi
per conservare l'acqua dei lavacri.
Chi ci governa non costruisce
invasi;
le riserve defluiscon verso il mare;
le bestie non si posson dissetare;
i campi son bruciati oppure rasi.
E non bastasse questo gli
incendiari
brucian, distruggon tutta la natura,
così l'insopportabile calura
ha cacciato lontano i nostri Lari.
Così resti assetata,
terra mia,
assetata di acqua e di giustizia
perché dei prepotenti la malizia
oggi ti sta portando all'agonia.
I tuoi pascoli estesi, un
dì sereni,
son diventati regno dei briganti.
Restan solo le tombe dei giganti
e la chimica diffonde i suoi veleni.
Dov'è l'onore dell'antico
Sardo?
Non s'incontra per strada un buon maestro
Oggi l'uso dell'oro e del sequestro
han distrutto virtù e ogni riguardo.
Stiam diventando tutti feticisti:
amiamo sol la macchina e la villa.
S'è spenta del buon senso la favilla
ed ora siamo tutti nichilisti!
Si apron le necropoli dei
padri
ed escono i morti a Filigosa
e dicon che se non facciam qualcosa
invan partoriran le nostre madri!