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SANT’ANTONIO ABATE E SU FOGARONE
TRA VENERAZIONE E TRADIZIONE POPOLARE
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La
sagra sarda che caratterizza il mese di gennaio è certamente la
tradizione popolare de su fogarone, in ricordo del prezioso dono del fuoco
che Sant’Antonio abate fece agli uomini, sottraendolo al demonio.
La festa del Santo eremita, celebrata in oltre un terzo dei comuni isolani
il giorno 16 e 17, particolarmente radicata in tutto il Goceano, è
la ricorrenza più diffusa in Sardegna. In alcuni centri segna anche
l’inizio del carnevale, con la prima uscita delle maschere della
tradizione e l’offerta di pietanze e dei caratteristici dolci locali
de su fogu (tilicas, cotzulos, copuletas); ad Illorai vige la tradizione
consolidata de su turrone de santu Antoni, preparato con il pregiato miele
locale. Diversi , da paese a paese, i suggestivi cerimoniali che si svolgono
attorno ai giganteschi falò. Si rievoca il gioioso grido del Santo,
dopo aver portato via il fuoco al maligno con un artificio, per donarlo
a tutta l’umanità: “fogu, fogu peri su logu, peri su
mundhu fogu jucundhu!”. E ancora, con un dolce de su fogu tra le
mani, si esegue il rito de s’inghiriu del falò, che consiste
nell’effettuare sei giri attorno alle fiamme; tre in senso orario
e tre in senso contrario.
Antonio abate -conosciuto diffusamente anche come Antonio il Grande, A.
del Deserto, A. del Fuoco, e A. l’Anacoreta- nasce in Egitto a Coma,
l’odierna Qumans, nel 250 circa. A
vent’anni abbandona l’agiatezza economica, derivante dai beni
dei genitori prematuramente scomparsi, e seguendo l’esortazione
evangelica distribuisce i suoi beni totalmente ai poveri. Sceglie la vita
solitaria nel deserto della Tebaide, dove visse con fama di santità,
fino alla scomparsa da ultracentenario il 17 gennaio del 356. E’
venerato principalmente dalla Chiesa cattolica, luterana e copta; considerato
il padre fondatore del monachesimo, viene rappresentato con gli emblemi
della croce a T (“la tau”), il bastone pastorale, la campana,
il maiale (per estensione è protettore degli animali domestici)
e naturalmente il fuoco. La vicenda umana e di fede dell’abate Antonio
è pervenuta e nota soprattutto per l’opera agiografica di
sant’Atanasio, vescovo di Alessandria, che, pubblicando la Vita
Antonii nel 357, contribuì a diffondere la figura e l’esempio
in tutta la cristianità. L’usanza di accendere i falò
in onore di sant’Antonio, secondo uno scritto di Antonio Borrelli,
viene, oltreché per le guarigioni dal “fuoco” procurato
dall’herpes zoster, dalla leggenda popolare riferita al Santo “che
si recò all’inferno, per contendere l’anima di alcuni
morti al diavolo e mentre il suo maialino sgattaiolato dentro, creava
scompiglio fra i demoni, lui accese col fuoco infernale il suo bastone
a “tau” e lo portò fuori insieme al maialino recuperato
e lo donò all’umanità, accendendo una catasta di legno”.
(04-01-2011)
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