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In memoria del poeta
sardo-oltrepadano Andrea Pintus
(Benetutti, SS, 1931- Broni, PV, 2 ottobre 2012)
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Nella notte del 2 ottobre 2012
è morto il poeta sardo-oltrepadano Andrea Pintus. Era nato a Benetutti
(SS) il 15 febbraio 1931, dal 1955 si era trasferito in provincia di Pavia,
nell’Oltrepò pavese, prima a Santa Maria della Versa quindi
a Broni, prima a fare l’agricoltore poi l’operaio ma senza
mai abbandonare la coltivazione della terra. Era sposato dal 1956 con
la compaesana Elena (venuta a mancare alcuni mesi fa, dopo una lunga malattia);
lascia tre figli: Tina, Domenico e Roberta.
Voglio ricordarlo con le presentazioni che ho premesso alla prima e alla
terza delle sue raccolte poetiche.
Ho scritto nella prefazione alla prima raccolta di liriche: “Cento
poesie” (Broni, PV, Studio Creare, 2007): «Nel foglietto
“La Domenica” (edizioni San Paolo) distribuito ai partecipanti
alla messa di domenica 5 agosto 2007, tra le preghiere dei fedeli è
inserita la seguente: “Moltiplica, Signore, artisti che ci presentino
la bellezza dell’universo e poeti che cantino i sentimenti più
belli e profondi. Di queste persone noi tutti abbiamo bisogno perché
ci fanno sfuggire all’abbrutimento del consumismo”.
Le poesie di Andrea Pintus aiutano chi le legge a riuscire a sottrarsi
al consumismo non perché abbiano il valore estetico della Poesia
con la maiuscola ma proprio perché sono i componimenti semplici
di un uomo semplice (un operaio, nella fattispecie) che può farsi
ascoltare e apprezzare da coloro che appartengono al suo stesso ceto sociale
più di quanto potrebbe avvenire se a predicare fosse un letterato
laureato.
Perché anche Pintus, nella sua semplicità d’animo
e di ispirazione, “predica”, cioè dice la sua con convinzione,
su quelli che sono (mi richiamo al foglietto citato) “i sentimenti
più belli e profondi”, nel segno innanzitutto dell’amore:
per la donna, per la famiglia, per le persone, per la vita, per il proprio
paese (natale e/o di residenza), per la patria, per i defunti. Per Pintus
tutti questi sono oggetti d’amore nei quali vorrebbe che si riconoscessero
i suoi simili.
Bene ha fatto quindi Pintus a raccogliere in un libretto questi suoi versi
(le composizioni sono in italiano, una sola è in limba sarda) per
venire incontro alle esigenze della sua passione comunicativa (oltre che
per la naturale e legittima soddisfazione di realizzare un’opera
a stampa). Personalmente mi sento sempre di incoraggiare uomini e donne
del popolo (non ho vergogna ad usare questa parola perché sono
abituato a vivere tra la gente di estrazione popolare) che vogliono pubblicare
un’opera poetica o narrativa o saggistica a non avere remore a farlo:
l’unica condizione per me è che ciascuno di questi attivi
“scriventi” (essere scrittori, come è intuibile, è
un’altra cosa) si affidi, prima di fare il “grande passo”,
a un esperto che sia in grado di rivedere i testi, insomma a un redattore
che conosca la grammatica, la sintassi, le norme di uniformizzazione redazionale.
Per questo motivo, ben volentieri ho aiutato Pintus nella sua “impresa”;
ma lo ho fatto anche per una ragione aggiuntiva: la comune appartenenza
etnica. Pintus è sardo di origine come me e come me vive da decenni
nell’Oltrepò pavese, nostra seconda patria.
Ma ci sono due aspetti che connotano, anche nella sua condizione di emigrato,
l’ininterrotto legame di Pintus alla cultura della Sardegna: il
bisogno di scrivere poesia, secondo l’esempio degli innumerevoli
poeti “a tavolino” che in Sardegna (regione caratterizzata
dal dominio della cultura orale) coltivano una passione instillata dal
grande prestigio che nei secoli ha avuto e ancora oggi continua ad avere
la poesia, sia quella imparata e tramandata a memoria dei grandi classici
italiani e sardi sia quella improvvisata nei palchi delle gare poetiche;
la necessità di scrivere versi sempre rigorosamente in rima. A
comprova di quanto ho detto, essendo anch’io legato alla mia isola,
in chiusura di questa prosa, per non essere da meno di Pintus, voglio
anch’io dare una minima performance poetica in rima: Andrea
Pintus, poeta bronese / che del sardo non perde il vizio, / dopo una vita
di sacrifici e di attese, / vuole togliersi lo sfizio / di pubblicare
a proprie spese / un libro al servizio / della gente del suo paese. //
Sono versi semplici, genuini, / come i gustosi nostri vini; / anch’essi
da centellinare lentamente: / così si rasserena la mente. / Diciamo
grazie al poeta / e incoraggiamolo verso un’altra meta / acquistando
le sue poesie / senza irriconoscenti ritrosie».
La seconda raccolta di poesie (un altro centinaio) di Pintus, intitolata
“Versi di vita, versi d’amore” (Broni, PV,
Studio Creare, 2008) è caratterizzata da una sostanziale continuità
con i temi ricorrenti nella prima silloge.
Ho scritto nella prefazione alla terza raccolta di liriche (anche queste
un centinaio): “Piccoli versi, sempre ...diversi”
(Broni, PV, 2009): «Al Pintus contadino e giardiniere dà
soddisfazione poter mostrare i frutti della sua quotidiana lavorazione
della terra. Allo stesso modo è per lui motivo di orgoglio, con
la presente silloge datata 2009 e intitolata “Piccoli versi,
sempre ...diversi”, rendere pubblico il raccolto della sua
terza seminagione di versi, della sua applicazione quotidiana alla versificazione
nel corso dell’ultima annata. I temi che caratterizzano il mondo
poetico di Pintus li conosciamo dalle sue prime due raccolte. Pintus non
se ne discosta in questo suo terzo lavoro ma riesce sempre a trovare,
nelle composizioni che costituiscono il presente volume, quelle profonde
o simpatiche “variazioni” che rendono i suoi versi ovviamente
uno diverso dall’altro ma anche diversi da quelli precedenti
sugli stessi argomenti.
Si diceva della legittima soddisfazione del contadino e del poeta Pintus
a far conoscere rispettivamente i frutti dell’orto e del giardino
e la sua produzione fantastica.
Sono sicuro però che Pintus non si sarebbe imbarcato in questa
nuova avventura se non avesse avvertito l’esigenza, condivisa con
la moglie Elena e con gli altri familiari, di pubblicare i testi lasciati
qui sulla terra dal nipote Yuri, figlio della figlia Tina, volato in cielo
all’età di soli 27 anni.
La fortuna non ne ha voluto sapere della profonda sensibilità che
caratterizzava la giovane ma già matura personalità di Yuri.
Il nonno poeta, attonito, piange la morte così ingiusta del giovane
nipote, rinnova nel suo animo il dolore per la drammatica perdita ma,
davanti al mistero, si rassegna e comprende che a Yuri egli può
ridare metaforicamente la vita solo attraverso la pubblicazione dei pensieri
scritti dal nipote in materia di analisi dei sogni e di prefigurazione
del futuro. Quel futuro che mai avrebbe immaginato che sarebbe stato così
ingeneroso nei suoi riguardi! ».
Quando, nel febbraio 2011, scomparve a Broni, a soli 50 anni, Mauro Selmi,
che era stato l’editore dei suoi due primi libri di poesie, Pintus
gli dedicò questi versi: Spesso si dice “bisogna essere
forti”, / però dipende tutto dalla sorte; / per esempio,
di fronte alla morte, / le parole dette, lunghe o corte, / non contano
niente in quel momento; / è come se venisse un forte vento; / questo
è veramente un triste evento / che mette a dura prova il sentimento;
/ le stesse parole del Vangelo / ti lasciano freddo e tu diventi di gelo.
Versi che è giusto riportare oggi in omaggio alla memoria di questo
poeta (e anche un po’ filosofo) contadino, che in Oltrepò
pavese non aveva dimenticato né la Sardegna né il paese
natale né la lingua materna, come dimostra questa sua composizione.
Benetuttesu
Chin sa valigia
ligada a truneu,
apo lassadu su logu meu,
Benetutti, inue so naschidu:
in su chimbanta chimbe so partidu.
Puru si dae sa
’idda so tantu atesu,
mi sento sempre unu benetuttesu.
Non mi so mai irmentigadu
inue apo istudiadu,
e-i sos logos
inue apo giogadu;
carchi orta mama m’at castigadu,
e puru fintzas isculivitadu,
cando a su cumandu non so andadu.
Però apo
cherfidu ene a mama mia,
magari tantas vortas deo fuia.
Custas paraulas pesso chi bastana:
enini in mente cando sos tuos ti lassana.
(04-10-2012) |