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La scrittrice popolare
Carolina Invernizio, oggi riscoperta e riproposta, ha avuto meriti anche
nell’alfabetizzazione degli emigrati italiani
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Carolina Invernizio
è nata a Voghera il 28 marzo 1851 (e non 1858, come lasciò
credere) ed è morta a Cuneo il 27 novembre 1916. Ma una tradizione
erronea (che anche chi scrive questa nota ha contribuito a smascherare)
è dura a morire. Il sito Internet del Comune di Voghera perpetua
l’errore: «Carolina Invernizio, scrittrice, nata a Voghera
nel 1858, prolifica autrice di oltre 123 romanzi per l’editore Salani
di Firenze, dove intrighi e delitti si intrecciano con storie d’amore,
avversata dalla critica e messa all’indice dal Vaticano, fu ricompensata
da un grande successo presso i lettori. Chiuse “l’operosa
esistenza” il 27 novembre 1916».
In questi ultimi anni si è registrato un rinnovato interesse editoriale,
a livello nazionale, nei confronti delle opere di questa “onesta
gallina della letteratura popolare” (secondo la famosa formulazione
di Gramsci).
Nel 2006 “La Repubblica” dedicò due pagine a “Carolina,
la Madamin che faceva leggere l’Italia”, con articoli di Paolo
Mauri e di Guido Ceronetti.
Nel 2007 si è scritto molto dell’Invernizio perché
gli organizzatori del progetto “Qui comincia la lettura” collegato
al Festivaletteratura di Mantova, quell’anno, invitarono singoli
lettori nonché biblioteche, scuole, associazioni, gruppi teatrali,
gruppi di interesse a leggere il più famoso dei suoi romanzi “Il
bacio d’una morta”. Si tenga conto che, grazie a questo progetto,
nel 2007 furono distribuite gratuitamente oltre 26.000 copie dell’opera.
Il romanzo (dal quale nel 1974 il regista Carlo Infascelli ha tratto il
film omonimo) è stato ristampato nel 2008 da Einaudi nella prestigiosa
collana ET Classici (con due ampi saggi critici). Nella prefazione Antonia
Arslan ricorda la fama inossidabile dell’Invernizio, «il robusto
ingegno di sceneggiatrice, capace di creare trame che sfidano le mode
e toccano qualcosa di profondo». E Luca Scarlini osserva: «Sbeffeggiata
come autrice di opere per domestiche, ha resistito a parodie e ironie
di ogni tipo, alimentando cinema, fotoromanzo e teatro».
Altre edizioni di “Il bacio di una morta” sono comparse in
libreria nel 2012 per iniziativa dell’editore senese Barbera nella
collana “Numeri uno vintage” (che ripubblica classici della
narrativa popolare da Edmondo De Amicis a Paolo Mantegazza, a Annie Vivanti)
e per impulso di Guidemoizzi nei “Grandi classici Bramante”
(quest’ultima casa editrice aveva ripreso nel 2011 anche “I
sette capelli d'oro della fata Gusmara”). L’editore Avagliano
di Roma ha ristampato nel 2011 “Peccatrice moderna”.
Prendendo lo spunto dalla citata riedizione Barbera il giornalista Fulvio
Paloscia ha scritto:
(cfr. http://temi.repubblica.it/repubblicafirenze-scrittura-mista/2012/09/11/il-bacio-di-una-morta-di-carolina-invernizio/
)
«Carolina Invernizio è da qualche anno protagonista di una
riscoperta-salvataggio che è qualcosa di più di un vezzo
retrò di case editrici in cerca di vecchie cose di pessimo gusto,
per dirla con Guido Gozzano. I romanzi della scrittrice di Voghera –
oltre cento, e tutti best seller all’epoca in cui furono pubblicati
– sono infatti la testimonianza diretta dell’Italia e delle
sue classi sociali più diverse (dai poveri in canna all’aristocrazia
e l’alta borghesia, che comunque rimangono l’ambito preferito
della sua opera) nel cruciale passaggio dalla fine dall’Ottocento
al Novecento. Il secolo della modernità. Crinale che l’ “onesta
gallina della letteratura italiana”, come la definì Gramsci,
affronta senza troppe velleità, presa com’è dal dividere
il mondo nell’elementare contrapposizione tra buoni che sono buonissimi,
e cattivi che sono perfidi. Eppure i suoi romanzi – insieme a quelli
di Francesco Mastriani, addomesticano il feuilleton francese di Sue, Flaubert,
Balzac, Hugo – ci restituiscono il sentimento, i gusti, i sogni
di un’epoca e del suo popolo. Perché per il popolo lei scriveva,
assecondandone inclinazioni e chimere. L’immaginario letterario
della Invernizio è a buon mercato: porta al parossismo l’idea
del fiabesco e i suoi risvolti gotici, in romanzi che oppongono al superomismo
dannunziano il superamore e la supermorte. Nella maggioranza delle sue
opere, lo scardinamento – seppure trattato con pruderie –
della cattolicissima moralità della famiglia borghese, ineccepibile
solo in apparenza, è il “diabolus” ex machina che dà
la svolta alla vicenda, mettendola seriamente in pericolo. Ed è
qui, nella descrizione del “peccato”, che la Invernizio dà
il meglio di sé, colorando il suo stile un po’ burocratico
di vivaci tinte e di inquiete morbosità».
Come ha riferito Cristoforo Puddu in questo sito
(cfr. http://www.luigiladu.it/Articoli/cpuddu_atti_carolina_invernizio.htm
), nel novembre 2011 Daniela Piazza editore ha pubblicato il volume con
gli atti (a cura di Ornella Ponchione e Antonella Saracco) del convegno
“Carolina Invernizio: il gusto del proibito?”, tenuto cinque
anni prima presso il castello di Govone (piccolo centro in provincia di
Cuneo, paese natale del marito della scrittrice, ten. col. Marcello Quinterno).
Nella sua relazione (intitolata “Chi legge l’Invernizio?”)
la studiosa sarda-ligure Lina Aresu ha scritto: «Il successo clamoroso
di Carolina Invernizio non si limitò all’Italietta post-risorgimentale;
le sue storie sensazionali conquistarono anche l’America Latina.
Sbarcavano al porto di Buenos Aires casse e casse di romanzi suoi, spedite
dal suo editore fiorentino agli emigranti del Sudamerica. Al mercato di
Rosario, sulle bancarelle facevano bella mostra di sé i suoi romanzi
tradotti anche in spagnolo, accanto alla bibbia degli emigranti genovesi
ed emiliani scritta in cocoliche [misto di italiano e spagnolo parlato
dagli immigranti italiani in Argentina] dal titolo “Los amores de
Giacomina”».
Nel mio saggio ho auspicato che, dopo l’interesse sociologico (grazie
ad Antonio Gramsci) e semiologico (con le ricerche di Umberto Eco) che
si è concentrato per molti decenni del Novecento sui congegni narrativi
della Invernizio, disvelandone le neanche troppo misteriose intenzioni
consolatorie, è ora che si diffonda un’attenzione alle sue
storie fondata sulle esigenze primarie della lettura, senza atteggiamenti
ipercritici e sprezzanti; e ancora una volta ho messo in rilievo il ruolo
svolto dall’autrice vogherese nel processo di alfabetizzazione delle
masse italiane in patria e nei lontani Paesi di emigrazione (specialmente
in America Latina).
(13-11-2012)
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