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A un anno dalla morte
di Francesco Cossiga (17 agosto 2010).
Ricordo di un emigrato
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Il giudizio che in
generale noi sardi emigrati abbiamo sempre avuto di Francesco Cossiga
è stato riferito al Grande Sardo, al di qua quindi di ogni valutazione
e differenziazione politica. Devo dire peraltro che Cossiga ha sempre
meritato questo riconoscimento morale come “padre della patria sarda”
non solo perché ogni volta che poteva faceva cenni a fatti della
storia e della cultura isolana ma anche perché ha sempre sostenuto
le battaglie del mondo dell'emigrazione sarda per ottenere conquiste materiali
(le tariffe aeree agevolate secondo il principio della continuità
territoriale) e “politiche” (per il diritto degli emigrati
sardi ad avere una rappresentanza nel Consiglio regionale della Sardegna).
L'emigrazione sarda nel mondo un anno fa ha perso sicuramente un testimonial
di livello regionale, nazionale e internazionale ma ha perso anche un
conoscitore profondo della cultura dell'isola.
Cossiga ha scritto una densa prefazione (mi limito a un caso che mi tocca
da vicino) al volume curato da me e da Salvatore Tola nel 2005 intitolato
“Il tesoro del Canonico. Vita, opere e virtù di Giovanni
Spano (1803-1878)”, miscellanea di 16 saggi dedicati al sacerdote-intellettuale
sardo che nell’Ottocento fondò nell’isola le ricerche
in ambito archeologico e linguistico. Il 17 dicembre 2005, durante la
presentazione ufficiale del libro nella chiesa parrocchiale di Ploaghe
(in cui si assieparono oltre 500 persone) e durante il pranzo fui accanto
a Cossiga, che mi si confermò straordinariamente preparato sui
temi della storia e della cultura di un' isola che lui amava definire
“nazione incompiuta”.
A me non sembrò vero comunicargli che avevo fatto conoscere anche
sui giornali pavesi la figura di Bainzu Cossiga, il suo bisnonno poeta
(Chiaramonti, 1809-1855), autore in particolare di un insieme di poesie
religiose che furono pubblicate con il titolo Su Poeta Christianu («o
siat Sa Doctrinetta in sonettos logudoresos cum algunas cantoneddas sacras»).
Sapevo che lo avrei colpito al cuore ricordando il suo antenato. Cossiga
ricambiò la cortesia “paesana” (eravamo a Ploaghe,
paese natale di Giovanni Spano ma anche mio) dicendomi che non ignorava
che di Ploaghe era la madre dei fratelli Mameli (Efisio ed Eva, quest'ultima
madre a sua volta di Italo e di Floriano Calvino) e soprattutto che erano
stati attivi entrambi presso l'Università di Pavia. Mancò
poco che non mi nominasse il volume “Pavia in grigioverde: avvenimenti
e cronache della città negli anni del primo conflitto mondiale”
di Augusto Vivanti, in cui entrambi i fratelli Mameli sono più
volte citati...
(12-08-2011)
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