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Due testimonianze dell’ammirazione
del grande storico inglese Eric J. Hobsbawm per il sardo “Nino”
Gramsci
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Il grande storico inglese Eric
J. Hobsbawm (Alessandria d'Egitto, 9 giugno 1917 – Londra, 1º
ottobre 2012) era un appassionato estimatore di Antonio Gramsci e gli
indirizzò una bella e commovente “videolettera” (da
lui pronunciata in italiano e registrata il 23 marzo 2007 per iniziativa
del compianto Giorgio Baratta, di Massimiliano Bomba e di Gianfilippo
Guadagno), che molti siti Internet, nel dare la notizia della scomparsa
di Hobsbawm, hanno ripreso da You Tube come documento audio:
http://www.youtube.com/watch?v=PZ_vj9Kng1k
Nessuno di questi siti ha però
pubblicato la trascrizione delle parole dette in italiano da Hobsbawm.
Eccole qui di seguito.
«Caro Nino,
tu sei morto da 70 anni ma io ti conosco bene, ti conosco bene dai tuoi
ritratti, da tutto ciò che ho letto, dagli scrittori e dagli storici
che hanno studiato la tua vita e soprattutto da tutte le tue parole.
Tu sei nato nello stesso anno di mio padre e quindi anche questo è
un collegamento fra di noi ma io non ti immagino mio padre, al contrario,
ti immagino un compagno di lotta, un compagno di pensiero, un compagno
di analisi della vita.
Conosco poco la tua Sardegna, è vero che ci sono stato (anche in
Barbagia, per il momento), ma davvero è difficilissimo capire la
natura dell’ambiente in cui sei nato e cresciuto. Invece sì
queste regioni – diciamo, che sono allo stesso tempo nazionali e
periferiche, che sono allo stesso tempo centrali, legate al centro, e
insomma oppresse dal centro - io le conosco bene perché vengo da
un vecchio impero e da un paese multinazionale che non è solo quello
degli inglesi ma anche dei gallesi. E quando sono nella mia piccola casa
in Galles (che è un paese un po’ periferico) capisco un po’
ciò che sentono i Sardi in relazione all’Italia e al mondo
più grande.
Tu, Nino, sei stato molto di più di un Sardo ma senza la Sardegna
è impossibile capirti.
Io ho letto prima le tue commoventi “Lettere dal carcere”,
io continuo a leggerti nei “Quaderni del carcere”, io continuo
a conoscerti perché insomma tu sei vivo, sei vivo per tutti gli
intellettuali del mondo e sei vivo per tutti coloro che vogliono un mondo
migliore, un mondo più giusto, un mondo dove i poveri hanno la
possibilità di diventare dei veri esseri umani.
Abbiamo fatto progressi dal tempo di settant’anni fa, almeno in
Europa, ma c’è sempre nel grande mondo (e Gramsci è
sempre stato cosciente del mondo globale), c’è ancora una
grande maggioranza di gente che sono come quelli della tua infanzia e
tu ti sei identificato con i loro interessi e sapevi come fare per cambiarli,
per cambiare la loro sorte e il loro destino e speriamo che continuiamo
a farlo.
Allora, ti saluto di lontano e spero che nella tua Sardegna si ricordino
sempre di te e sono convinto che ti ricorderanno sempre come il più
grande Sardo dell'ultimo secolo».
Qualche mese dopo, nel maggio
del 2007, lo stesso Giorgio Baratta raccolse un’altra importante
confessione di Eric J. Hobsbawm e la intitolò “Grazie ai
‘Quaderni del carcere’ di Gramsci sono uno storico”:
è stata pubblicata in
http://www.millepiani.net/archivesfilosofici/2007/05/05/gramsci_grazie_ai_quaderni_sono_uno_storico_eric_j_hobsbawm.html
«Credo che, in Gran
Bretagna, siamo stati tra i primi ad accorgerci di Gramsci, principalmente
a causa dei molti soldati britannici che tornarono in patria dopo aver
combattuto la guerra in Italia, ove avevano sentito parlare di lui. Credo
sia stato proprio tramite alcuni di loro che anch’io sentii parlare
di Gramsci per la prima volta: da uomini come il poeta Hamish Henderson,
ottimo scrittore, gran bevitore, scozzese, che fu tra i primi a tradurre
le “Lettere dal carcere”, e da diverse altre persone, che
mi sollecitarono a prendere personalmente contatto con i suoi testi. Uno
di essi fu il primo a realizzare un’antologia dei testi di Gramsci
in Inghilterra, negli anni Cinquanta, “The Modern Prince”,
forse la prima raccolta pubblicata fuori dall’Italia.
Quando venni in Italia per la prima volta, credo nel 1951 o 1952, attraverso
i contatti con alcuni amici italiani ebbi la possibilità di conoscere
direttamente gli scritti di Gramsci presso l’Istituto Gramsci. Naturalmente
Piero Sraffa, mio collega al Trinity College, mi aveva parlato di lui
ma, come tutti sanno, Piero Sraffa parlava pochissimo di quanto stretti
fossero stati i suoi rapporti con Gramsci, e fu soltanto in seguito che
io ne venni a conoscenza.
Rimasi colpito quasi immediatamente non tanto dall’approccio politico
di Gramsci, che peraltro all’epoca era molto originale per un marxista,
ma soprattutto dal suo approccio alla storia delle classi subalterne,
alla storia delle classi popolari. Sotto certi riguardi i miei primi scritti
storici erano paralleli a quelli di Gramsci in questa direzione. Ad esempio,
l’introduzione al lavoro che poi generò il mio primo libro
sui ribelli primitivi (del 1959; tradotto in italiano da Einaudi nel 1966
col titolo “I ribelli: forme primitive di rivolta sociale”)
vide la luce proprio grazie al fatto che avevo sentito parlare di Davide
Lazzaretti. Allora non conoscevo, perché non l’avevo ancora
letto, il passo di Gramsci nei “Quaderni” in cui egli parla
di che cosa ci sia “ai margini della storia”, iniziando precisamente
dalla scoperta di Lazzaretti, quale esempio della storia speciale straordinaria
delle classi subalterne. L’incontro con il testo di Gramsci mi stimolò
al punto che non mi limitai ad affrontare l’argomento, ma progettai
e realizzai un intero libro sull’orientamento di scrivere la storia
“dal basso”, la storia “dei subalterni”.
Il mio rapporto personale con Gramsci è stato, in un certo senso,
fondativo: Gramsci è una delle maggiori fonti di ispirazione del
mio lavoro di storico. Allo stesso tempo egli rappresenta anche una essenziale
fonte di ispirazione delle mie idee sulla politica, perché Gramsci
è stato uno dei pochissimi, forse l’unico tra i marxisti
e i comunisti, a scoprire che l’oggetto della politica non è
soltanto la questione di come prendere il potere e mantenerlo, ma che
c’è invece molto altro oltre a questo. In effetti la forma
governo da parte di una classe non è caratterizzata unicamente,
come credono in molti, da un’imposizione dall’alto, ma consiste
in un rapporto dialettico molto complesso tra chi governa e chi è
governato, un rapporto che non può essere spiegato solamente in
termini di potere».
(02-10-2012) |