La Notizia/////////////////
//////////////////////di Paolo Pulina

 

////////////////////////////

Presentato a Pavia e a Cesano Boscone (MI) il volume di Gabriele Rigano su Vittorio Tredici, di Iglesias, “il fascista che salvò gli ebrei”

//////////////////////////////

Pavia: 23 febbraio 2013, Piga, Rigano, Savini, Pulina

Il Circolo culturale sardo “Logudoro” di Pavia (il 23 febbraio 2013) e il Circolo sardo “Domo Nostra” di Cesano Boscone (il 24 febbraio), presso la rispettiva sede sociale, hanno celebrato la Giornata della Memoria, ricorrenza internazionale per la commemorazione delle vittime del nazismo, dell’Olocausto (la Shoah); per il ricordo dei deportati militari e politici nei campi nazisti; in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto gli ebrei e i perseguitati. Gabriele Rigano, ricercatore presso l’Università per stranieri di Perugia, ha presentato in entrambe le sedi il proprio volume “Il podestà ‘Giusto d’Israele’. Vittorio Tredici il fascista che salvò gli ebrei” (Editore Guerini e Associati, pagine 255).
A Pavia, prima del giovane storico sono intervenuti Gesuino Piga, presidente del “Logudoro”, e Marco Savini, della segreteria dell’ANED (Associazione Nazionale ex Deportati) della provincia di Pavia. Savini ha richiamato, a proposito della Giornata della Memoria, un’osservazione di David Bidussa: «Questa data non è il giorno della commemorazione dei morti ma del ricordo dei vivi». In questo senso, l’ANED provinciale di Pavia, a cura di Savini e di Maria Antonietta Arrigoni, per il 2013 ha pubblicato otto memorie di ex-deportati pavesi nel volumetto “Resistemmo a lungo” (in esso è ricordato anche Cosimo Orrù, magistrato originario di San Vero Milis, dove era nato nel 1910, arrestato a Busto Arsizio, deportato con lo stesso convoglio del pavese Ferruccio Belli, matricola 21676, morto a Flossenbürg). Sei di loro sono già morti e sono stati recuperati loro scritti comparsi nella rivista nazionale dell’ANED, “Triangolo Rosso”, o interviste. Attraverso le loro memorie è possibile ripercorrere le tappe del calvario della deportazione: dall’arresto, alla tortura, all’internamento nei campi italiani, come Fossoli e Bolzano, all’odissea tra i vari lager nazisti. Ma anche episodi di resistenza estrema, di solidarietà, e addirittura di fuga dai campi o dal treno che portava in Germania.
Savini ha aggiunto: «Un aspetto normalmente dimenticato è quello del ruolo dei collaborazionisti e quello della discriminazione e dello sterminio degli “altri”: gli zingari, gli omosessuali, i portatori di handicap. Di solito nella Giornata della Memoria si fa riferimento esclusivamente alla deportazione razziale, ma ci fu anche quella dei popoli occupati, dei prigionieri di guerra e degli oppositori al nazifascismo. Certo che la parola “anti-fascista” non è più molto di moda, è più facile proiettare la tragedia della deportazione su una minoranza lontana e sulle esclusive responsabilità tedesche. Invece furono annientati nei campi di sterminio nazisti anche gli oppositori politici, e purtroppo bisogna riconoscere che fattiva fu la collaborazione che fornirono i fascisti italiani: dalla delazione, alla compilazione di elenchi di schedati, agli arresti, ai rastrellamenti. La deportazione è una storia che non finisce mai di dirci qualcosa, se vogliamo non fermarci a un quadro incorniciato e lontano, ma vogliano entrare come in una finestra a esplorarne la complessità».
A Cesano Boscone, la relazione di Rigano è stata preceduta dagli interventi di Marinella Panceri, presidente del “Domo Nostra”, e di Salvatore Longo, presidente dell'ANPI locale. Longo ha dato lettura dei due articoli di cui si compone la legge istitutiva della Giornata della Memoria e ha posto l'accento sull'importanza di far conoscere alle giovani generazioni ciò che accadde negli anni del dominio nazi-fascista e di far sapere quante vite umane sono state sacrificate per raggiungere la libertà di cui oggi godiamo, che va costantemente salvaguardata perché non è acquisita per sempre.
A Pavia e a Cesano Boscone Gabriele Rigano ha spiegato esaurientemente chi è stato Vittorio Tredici. Nonostante il suo nome sia sconosciuto a molti, Vittorio Tredici (nato a Iglesias, 31 luglio 1892) ha lasciato tracce del suo passaggio nei luoghi in cui è vissuto, attraversando grandi eventi italiani della prima metà del secolo scorso in una posizione tutt’altro che marginale.
Proveniente da una famiglia modesta, studiò nell’istituto per ragioneria di Cagliari. Combatté durante la prima guerra mondiale nella Brigata “Sassari”: fu inviato in Libia, successivamente sul fronte italo-austriaco, dove rimase dal 1916 al 1918; dopo l’armistizio fu con la missione italiana in Dalmazia. Subito dopo la fine della guerra, in Sardegna, il pamphlet di Umberto Cao intitolato “Per l’autonomia” – che esprimeva «l’esigenza di svincolarsi dagli inviati del Governo di Roma, per dare forma in Sardegna ad una nuova rappresentanza, un’istituzione autonoma» e che gettò le basi del pensiero sardista – suscitò l’attenzione di molti ex combattenti. Questi, partiti perdenti dall’isola, erano tornati vincitori dall’esperienza della guerra e rivendicavano le ricompense che erano state promesse: nacque così il Partito Sardo d’Azione, che ebbe tra i massimi dirigenti personalità come Emilio Lussu, Camillo Bellieni, Paolo Pili.
Tredici, ex combattente decorato per meriti militari, aderì al Partito Sardo d’Azione. Nel 1923 fu uno dei protagonisti del passaggio dal Partito Sardo d'Azione al Partito Nazionale Fascista, cioè di quello che è stato definito il “sardofascismo” (altri esponenti: Egidio Pilia, Giovannino Cao, Enrico Endrich, Paolo Pili), il tentativo di adattare il sardismo alla nuova realtà politica dell’Italia fascista.
Tredici fu prima commissario prefettizio (1924-1926) e quindi podestà (1927-1928) di Cagliari. Fu nominato segretario federale di Cagliari per il Partito Nazionale Fascista e divenne dirigente di numerose organizzazioni sindacali e corporative nonché segretario dei Sindacati dell'industria. Nel 1929 approdò in Parlamento e per dieci anni dispiegò la sua azione come esperto minerario del regime. Si dedicò al rilancio dell’industria mineraria sarda e nazionale con la creazione, nel 1936, dell’Azienda Minerali Metallici Italiani, di cui fu primo presidente. Negli anni 1935-1939 fu proprietario della miniera di piombo e argento di S'Acqua Bona, nel complesso minerario di Ingurtosu (Arbus). Fu inoltre uno dei fondatori della città di Carbonia (1937).In quel periodo Tredici si identificava completamente con il fascismo: il suo orizzonte, come scrisse nel 1933, era illuminato da «due fari»: il «vicario di Cristo» e il «Duce».
Ma alla fine degli anni Trenta agli occhi di Tredici cominciò a esaurirsi l’attrazione esercitata da questa seconda luce: non poteva sopportare che l’attività mineraria venisse posta al servizio dell’industria bellica, in obbedienza alle mire dell’ideologia nazista (fortemente anticattolica); non poteva accettare l’emergere di una politica razzista e antisemita in seno al regime fascista. Visto ormai come “dissidente”, il tecnico minerario fu allontanato, senza troppi riguardi, dall’Azienda Minerali Metallici Italiani. Egli, da fervente cattolico, si dedicò, a questo punto, anima e corpo a un impegno spirituale e di assistenza comunitaria nell’ambito socioreligioso della Roma che viveva l’esperienza terribile dell’occupazione tedesca.
Dopo il 25 luglio 1943 Tredici non ebbe più alcun rapporto con il fascismo. Anzi, mettendo a rischio la sicurezza propria e dei familiari, durante i rastrellamenti delle SS, salvò una famiglia di ebrei (i Funaro) e un dirigente partigiano, e in generale collaborò all'attività di soccorso e assistenza (clandestina ma efficace) organizzata negli ambienti ecclesiastici della capitale. Caduto il fascismo, fu epurato ed arrestato, ma nel 1945 fu riabilitato e gli fu possibile proseguire il suo lavoro di funzionario delle assicurazioni. Nella sentenza del 10 maggio 1946 si dichiara che Tredici si dimostrò una persona moderata ed equilibrata benché avesse fatto parte dell’apparato fascista.
Quella di Tredici (morto a Roma il 3 marzo 1967) è la storia di un sardista, di un fascista, di un cattolico; ma è soprattutto la storia di un uomo complesso, non inquadrabile nelle schematizzazioni politiche e nelle semplificazioni di parte, e che oggi – grazie alla rigorosa biografia tracciatane da Gabriele Rigano – è doveroso ricordare come colui al quale il 16 giugno 1997 lo Yad Vashem – il Museo dell'Olocausto, il memoriale ufficiale di Israele delle vittime ebree dell'Olocausto – ha conferito il meritato titolo di “Giusto tra le Nazioni”. (L’altro sardo insignito di questo riconoscimento internazionale è il finanziere Salvatore Corrias – nato a San Nicolò Gerrei il 18 novembre 1909, fucilato a Bugone di Moltrasio, Como, il 28 gennaio 1945 – al quale il capitano Gerardo Severino, direttore del Museo storico della Guardia di Finanza, ha dedicato nel 2007 il fondamentale studio intitolato “Un anno sul Monte Bisbino: Salvatore Corrias, un finanziere nel Giardino dei Giusti”).
Nota finale. Il libro di Gabriele Rigano si raccomanda ai lettori, sardi e non sardi, per l’ampiezza della documentazione e per la profondità dell’analisi con cui tratteggia la storia della Sardegna tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, anni cruciali in cui si collocano le discussioni fondate sulla rivendicazione dei diritti dell’isola, sulla necessità dell’autonomia, e che pongono l’attenzione in maniera ferma sulla specificità della “questione sarda”.
(28-02-2013

Cesano Boscone: Gabriele Rigano, Marinella Panceri.