La Notizia/////////////////////////
///////////////////////di Paolo Pulina

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Per Indro Montanelli, a dieci anni dalla morte,
un ricordo sardo e uno pavese

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Quando uscì nel 2009 il volume “I conti con me stesso”, curato per Rizzoli da Sergio Romano, nel quale sono riprodotti i diari di Indro Montanelli relativi agli anni 1957-1978 facenti parte dell’epistolario depositato dall’autore presso il Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia creato da Maria Corti, motivazioni di carattere personale e di simpatia “etnica” mi suscitarono la curiosità di verificare se nel libro ci fossero note riferite a due iniziative pubbliche (una in Sardegna, l'altra a Pavia) in cui mi era capitato di incontrare il grande giornalista e di stringergli la mano.
La prima occasione fu a Sassari nel lontano dicembre 1965, ai tempi in cui frequentavo il secondo anno del Liceo classico “Azuni”. Il nostro prof. di italiano, Manlio Brigaglia, ci aveva invitato a partecipare nell’Aula Magna dell’Università alla presentazione del libro divulgativo su “Dante e il suo secolo” che Montanelli aveva da non molto pubblicato, che era già un bestseller (come peraltro la sua biografia non accademica su Garibaldi, scritta qualche anno prima a quattro mani con Marco Nozza). Il successo delle due biografie gettò le basi della fortunatissima, per l’autore e per l’editore, ma anche impegnativa costruzione editoriale denominata “Storia d’Italia”, per la quale Montanelli si avvalse della collaborazione prima di Roberto Gervaso e poi di Mario Cervi. Ha scritto Brigaglia di quella presentazione sassarese: “Si è detto che Montanelli era un narciso, nulla gli piaceva più che incantare i suoi interlocutori, magari fingendo un’aria corrucciata. Anche quella volta parlò come avesse Alighieri in gran dispetto, tanto che qualcuno osservò che la sua biografia sembrava più che altro un bisticcio fra due ‘maledetti toscani’ ”.
E veniamo all’episodio pavese. Anche l’undici luglio 1988, in occasione della premiazione (da parte di Giovanni Spadolini, presidente del Senato ma anche della giuria) dei vincitori del Premio “Cesare Angelini”, istituito dal Lions Club “Le Torri” di Pavia, ebbi modo di incontrare Montanelli. A ricevere un riconoscimento furono, infatti, quell’anno, l’illustre giornalista, il prof. Emilio Gabba, Manuela Colombo e chi scrive.
Nella circostanza non ebbi l’ardire di disturbare l’eminente scrittore su un tema che sicuramente non l’avrebbe lasciato indifferente: cioè, la mia Sardegna; isola nella quale, proveniente dalla nativa Toscana (era nato a Fucecchio, in provincia di Firenze, il 22 aprile 1909) trascorse un periodo della fanciullezza, al seguito del padre Sestilio, preside di liceo a Nuoro; isola a cui rimase sempre affettivamente legato. Ricordò qualche anno fa, rispondendo a una domanda sul banditismo sardo: “Mio padre e mia madre mi lasciavano vivere – a Nuoro, cioè nell’epicentro del banditismo – in piena libertà scavallando alla ricerca di nidi di merli sulle falde dell’Orthobene. (…) Coi banditi, che allora si chiamavano ‘latitanti’, convivevamo pacificamente. Quando la domenica andavo a caccia con mio padre, ne incontravamo spesso qualcuno (gambali, giacca di velluto, coppola e doppietta a tracolla), accanto al pastore presso cui facevamo sosta”. Nel settembre del 1998, festeggiato a Santa Margherita Ligure, Montanelli raccontò del suo incontro con Enrico Berlinguer (Sassari, 1922-Padova, 1984), da lui definito “un uomo introverso e malinconico, di immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente, solitario, di abitudini spontanee, più turbato che allettato dalla prospettiva del potere, e in perfetta buona fede”. L’uno stimava l’altro ma la diffidenza reciproca, che li aveva tenuti lontani da sempre, fu stemperata grazie a un argomento che appassionava entrambi: “Si parlò solo della Sardegna, non di politica”, sottolineò.
In questi giorni, a dieci anni dalla morte (avvenuta il 22 luglio 2001) mi è capitato di riprendere in mano il volume postumo curato da Sergio Romano e altri testi di Montanelli. Dopo questa (ri)lettura, confermo l’ammirazione per lo stile ineguagliabile di scrittura del sommo giornalista, anche nelle annotazioni in cui esprime giudizi lontani dalle mie personali vedute (su Gramsci, per esempio).
(31-07-2011)