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Le poesie “Sardegna” e “Spiaggia
a Sant'Antioco” di Salvatore Quasimodo
nel giudizio critico di Giuseppe Zagarrio e di Michele Tondo
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A
completamento delle informazioni storiche e delle precisazioni filologiche,
già ospitate in questo Sito, relativamente alle due poesie ispirate
a Salvatore Quasimodo dal suo soggiorno in Sardegna (sul quale si veda
anche l'articolo di Marcello Serra dal titolo “Vate in trasferta.
Negli anni Trenta Salvatore Quasimodo visse per qualche tempo a Cagliari”,
in “Almanacco di Cagliari”, n. 23, 1988), pubblichiamo qui
di seguito i commenti di due autorevoli critici letterari sulle liriche
Sardegna e Spiaggia a Sant'Antioco.
Scrive Giuseppe Zagarrio (Ravanusa, Agrigento, 1921) a pag. 53 della sua
monografia Quasimodo (Firenze, La Nuova Italia, collezione “Il castoro”,
1972): «La riduzione, dunque, è la legge della ricerca poetica
quasimodiana. Essa si svolge sull'uomo e ovviamente sul suo rapporto esistenziale
nel senso più pieno. Il movimento riduttore impegna così
innanzitutto il rapporto cosmico; da qui la riduzione dell'uomo ai segni
più orizzontali: alle stelle e alla luna (“ed è un
trovarsi d'astri”, Dammi il mio giorno; “Nell'ora mattutina
a luna accesa, / appena affiori, geme l'acqua celeste.”, Sardegna).
[...] Ma ecco poi l'affollante riduzione ai segni originari più
terrestri o georgici: […] ai fenomeni biologici più primitivi
e originari (“… a me / fossile emerso da uno stanco flutto”,
Dammi il mio giorno; “Mi trovo di stessa nascita; / e l'isolano
antico, / ecco, ricerca il solo occhio / sulla sua fronte, infulminato,
/ e il braccio prova / nel lancio delle rupi maestro”, Sardegna).
Scrive Michele Tondo a pag. 42 della sua monografia Salvatore Quasimodo
(Milano, Mursia, 1970): « La bellissima immagine, nella poesia L’Ànapo,
dell’acqua colomba ( Alle sponde odo l’acqua colomba, / Ànapo
mio; nella memoria geme / al suo cordoglio / uno stormire altissimo: l’Ànapo
è un fiume della Sicilia il cui nome, in greco, significa invisibile,
per il fatto che in molti punti del suo percorso si ingrotta nel sottosuolo,
divenendo appunto invisibile. Ad esso è associato il mito greco
di Ànapo), viene reiterata in forma più semplice:
Nell’ora mattutina a luna accesa,
appena affiori, geme
l’acqua celeste.
È probabile anzi che questa sia l’immagine iniziale, poi
più efficacemente espressa attraverso la metafora della colomba;
ma non abbiamo dati esterni che possano avvalorare tale supposizione.
[…] Del soggiorno in Sardegna resta l’eco in due poesie, nelle
quali sembra più grave il senso della solitudine: oltre nella già
analizzata Sardegna in Spiaggia a Sant’Antioco».
Su Spiaggia a Sant’Antioco vediamo prima come si esprime Giuseppe
Zagarrio a pag. 70 della sua citata monografia Quasimodo (Firenze, La
Nuova Italia, collezione “Il castoro”, 1972): «Il tema
della “candida immagine” ci sposta già nello spazio
delle Nuove Poesie. L'espressione appartiene al componimento che si intitola
Spiaggia a Sant'Antioco, che del resto mostra un chiaro rapporto con il
tema del “buio” (“Nel fiele delle crete, / nel sibilo
dei rettili, / il forte buio che sale dalla terra / abitava il tuo cuore.”)
e della sua “fertilità” (“Tu già dolente
al cielo delle rive / ti crescevi crudele il sangue / d'una razza senza
legge.”).
Ma ecco il segno più concreto del “bianco scheletro marino”,
che traduce, in termini timidamente figurativi pur nell'astratto, il paesaggio
indistinto della riduzione informale o, per dirla col poeta, “in
cancrena”:
Qui dove dorme verde l'aria
di questi mari in cancrena,
affiora bianco scheletro marino.
E tu senti una povera vertebra umana
consorte a quella che il flutto
logora e il sale.
Quanto però sia ancora
lontana la possibilità di una vera e propria figurazione lo prova
l'ultima strofa; dove tutti gli oggetti (e i loro segni linguistici) tendono
a valicare i loro limiti semantici e a slargarsi visivamente in spazi
e tempi indeterminati:
Fino a che memoria ti sollevi
a sospirati echi,
dimenticata è morte:
e la candida immagine sull’alghe
segno è dei celesti.
E si noti il lessico indeterminativo:
i sostantivi astratti istituzionalmente amplissimi (“memoria”;
“morte”) ; i sostantivi generici capaci di ogni possibile
specificativo (“echi”; “immagine”; “segno”);
gli aggettivi qualificativi d'una situazione estremamente fluida e comunque
imprecisata e non precisabile in termini di concretezza (“sospirati
echi”; “dimenticata morte”; “segno dei celesti”)
».
Ritorniamo all’analisi
critica di Michele Tondo: «La raccolta Poesie di Quasimodo esce
alla fine di luglio 1938. […] La prima sezione è intitolata
“Nuove poesie” e comprende sette testi. […] Direi che
le sette “Nuove poesie” costituiscono un piccolo poemetto,
un amoroso colloquio con la donna amata: anche se in Spiaggia a Sant’Antioco
(Fino a che memoria ti sollevi / a sospirati echi, / dimenticata è
morte) e in Nel giusto tempo il tema viene come sopraffatto dalla persistenza
di quel senso della corrosione e dell’aridità, così
presente nelle due precedenti raccolte (Oboe sommerso, 1932, e Erato e
Apòllion, 1938) , che a me, come già a Giancarlo Vigorelli,
pare un “mondo fittizio”, una negazione volontaristicamente
accentuata fino all’analogismo più oscuro:
Nel fiele delle crete,
nel sibilo dei rettili,
il forte buio che sale dalla terra
abitava il tuo cuore:
Disperso, infermi di pietà.
Dove dorme verde
l’aria
di questi mari in cancrena,
affiora bianco scheletro marino.
Senti una povera vertebra umana
consorte a quella che il flutto
logora e il sale.
Queste due strofe sono nella
primitiva lezione della poesia Spiaggia di Sant’Antioco. Essa, inserita
nella raccolta Ed è subito sera, risulta profondamente mutata rispetto
alla prima lezione: viene scomposta, ricomposta e contaminata con altre
liriche.
Questo processo di revisione tradisce un po’ quello che è
l’aspetto (talora il difetto) più vistoso della poesia di
Quasimodo: un attento controllo dell’intelligenza, che talora interviene
programmaticamente».
(13-11-2011)
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