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Antonio Segni e il cognato
Carlo Vercesi (dell'Oltrepò pavese) nella testimonianza di Italo
Pietra
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Nel 2011 ricorre il centesimo anniversario della nascita (a Godiasco,
nell'Oltrepò pavese, il 7 luglio 1911) e il ventesimo anniversario
della morte (avvenuta a Ponte Nizza, sempre in Oltrepò, il 5 settembre
1991) di un grande giornalista e scrittore pavese, Italo Pietra. Dopo
essere stato ufficiale di complemento degli Alpini nella campagna d'Abissinia
e nella guerra d'Albania, Pietra (nome di battaglia “Edoardo”)
partecipò alla Resistenza partigiana nell’Oltrepò,
divenendo prima ispettore delle brigate garibaldine, poi comandante delle
diverse divisioni della zona. Come giornalista fu mitico direttore de
“Il Giorno” dal gennaio 1960 al giugno 1972.
Nel suo volume “I grandi e i grossi” (Mondadori, 1973), nel
capitolo dedicato al conte Luchino dal Verme (nato nel 1912; leggendario
comandante partigiano in Oltrepò, tuttora vivente), Pietra racconta
un episodio che consente di riportare alla memoria il prof. Carlo Vercesi,
protagonista della vita accademica pavese (ma ebbe anche a che fare con
la Sardegna) prima della seconda guerra mondiale e Antonio Segni (Sassari,
2 febbraio 1891 – Roma, 1º dicembre 1972), protagonista della
vita politica nazionale dopo la seconda guerra mondiale (quarto Presidente
della Repubblica dal 6 maggio 1962 sino alle dimissioni volontarie, per
gravi motivi di salute, del 6 dicembre 1964).
Scrive dunque Pietra: «In quel tempo [siamo nel periodo della Resistenza]
avvenne il rapimento del professor Carlo Vercesi, rettore magnifico dell’Università
di Pavia. Uno studente andò a prenderlo a casa, per una visita
urgente; poi, puntandogli dalla tasca la pipa, lo persuase a sedere sulla
canna della bicicletta e così si avviò pedalando verso Casteggio.
Quando incontrarono i primi partigiani, Vercesi si vide perduto: poi cominciò
a riconoscere i monti e le strade degli anni lontani, perché proprio
lassù, a Romagnese, aveva iniziato la carriera, come medico condotto,
e lo avevano cacciato, a furore di popolo, per via di quella mucca [morta
due ore dopo l’intervento del medico Vercesi, che vi era stato obbligato
a viva forza dai contadini disperati alla prospettiva di perdere “l’unica
risorsa per passare l’inverno”, n.d.r.]. Dopo qualche giorno,
fu invitato a dare la propria opera a favore delle popolazioni, in tutta
libertà; l’occasione era buona per rifarsi, e magari anche
per ringraziare di quel lontano smacco subìto a Romagnese, che
lo aveva avviato a una splendida carriera accademica. Passate le ore dell’angoscia,
Vercesi andava spesso a fare quattro chiacchiere coi partigiani, a Zavattarello;
era un buon conversatore ma aveva un chiodo fisso, il chiodo di Tonino.
Con lui tutte le conversazioni andavano a finire là. Per esempio,
la radio dava la notizia dell’Armata Rossa all’offensiva,
e lui commentava: “Già, Tonino lo aveva detto”. Capitava
su il generale Bisco, che era stato famoso come “pilota di Mussolini”
e parlava amaramente delle illusioni perdute; e lui “Già,
lo diceva Tonino”. Si commentavano i preparativi dell’imminente
offensiva angloamericana contro la Linea Gotica, e lui: “Ecco, chissà
cosa direbbe Tonino”. Si parlava dei bombardamenti sulle città
tedesche, e lui interveniva così: “Una volta io facevo il
federale, in Sardegna, oltre che il professore d’Università.
Ma Tonino vedeva giusto, capiva che le cose sarebbero andate così”
».
Conclude Pietra: «Tonino era suo cognato, avvocato a Sassari. Secondo
Vercesi, godeva poca salute; doveva indossare il soprabito anche nella
buona stagione; sembrava invecchiato prima del tempo; era uomo senza ambizioni
e senza energia. Così lassù, si sentì parlare per
la prima volta di quell’avvocato di Sassari che fu poi per tanti
anni in prima fila nelle lotte politiche, e infine Capo dello Stato, Antonio
Segni».
Carlo Vercesi nacque a Montù Beccaria (Oltrepò pavese) nel
1887. Sposò Vannina Carta di Sassari (sorella di Laura Carta, moglie
di Antonio Segni) dalla quale ebbe quattro figli: Mimma (sposata con l’ing.
P. Bacialli, da cui è nato Luigi, noto giornalista); don Bruno
(monsignore in Vaticano); Dario (dentista a Milano) e Giuseppe (avvocato
a Roma). Carlo Vercesi e Vannina Carta (1901-1979) sono sepolti nel cimitero
di Montù Beccaria.
Il paese oltrepadano ricorda il prof. Vercesi in due lapidi. Nella prima
è scritto: «In questa casa nacque Carlo Vercesi, 1887-1954,
clinico insigne, rettore magnifico delle università di Sassari
e Pavia, docente di ostetricia e ginecologia nelle cattedre universitarie
di Sassari, Palermo, Pavia, Milano, maestro incomparabile, diede esempio
sublime di dedizione al bene altrui, alla scienza, alla patria. L'Amministrazione
comunale e discepoli del suo diletto paese natale posero».
L'altra ricorda: «In questo Teatro [Dardano] il 5 maggio 1956, presente
Sua Ecc. Antonio Segni, eletto poi IV presidente della Repubblica, i professori
Massazza e Ciferri commemoravano Carlo Vercesi, magnifico rettore, clinico
ostetrico ginecologico, e Luigi Montemartini, senatore della Repubblica,
botanico, fitopatologo, l'uno e l'altro orgoglio e vanto di Montù
Beccaria».
In Internet si trova un testo di ricordi che è intitolato “Montù
Beccaria negli anni Venti” e che è firmato Cesare Pozzi.
In esso si dice: «Carlo Vercesi, professore ginecologo. Fu magnifico
rettore dell'Università di Pavia. Trasferitosi a Sassari, divenne
segretario federale fascista di quella provincia. Sposò la sorella
della moglie di Segni, che fu eletto presidente della Repubblica. Ritornato
a Pavia, finì alla Mangiagalli di Milano, era il posto del primo
ginecologo d’Italia. Come chirurgo portò una nuova tecnica
nel taglio cesareo che avrebbe poi applicata a mia moglie per la nascita
di Saeda nel 1947». Questo Cesare Pozzi è proprio il famoso
partigiano che, col nome di battaglia di “Fusco”, è
stato uno dei maggiori protagonisti della Resistenza nell'Oltrepò
pavese, medaglia d'argento al valor militare. Era nato a Ziano Piacentino
(Piacenza) nel 1914, è deceduto a Pavia nel 2007.
(26-02-2011)
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