Barbagia (camp. Brabaxa).
L’abitante Barbaricino, Brabaxinu – Subregione della Sardegna
centrale e montana, la quale deriva il suo nome dal lat. barbaria, con
cui i Romani indicavano sia una regione o zona abitata da una «popolazione
forestiera, che non parlava il latino né il greco», sia l’idea
di «barbarie, selvatichezza». E non c’è da dubitare
che i Romani abbiano inteso entrambi questi significati, quando con tale
appellativo hanno chiamato quella zona della Sardegna, abitata da tribù
che all’inizio parlavano soltanto la lingua sardiana o protosarda
e che erano in stato di continua ribellione o almeno di resistenza rispetto
agli invasori.
Ebbene, non soltanto la conquista romana della Barbagia, ma soprattutto
la sua latinizzazione linguistica costituisce una autentica grande aporia,
cioè un problema che si presenta come sconcertante nella sola formulazione
dei suoi termini. Che sono i seguenti: da una parte i Barbaricini sono
stati fra i più fieri ed accaniti oppositori al dominio romano,
dall’altra si sono lasciati latinizzare completamente nel linguaggio
e inoltre in maniera e con modalità che non trovano uguale riscontro
in nessun’altra zona non soltanto della Sardegna, ma anche dell’intero
antico impero romano.
È noto che la dominazione romana in Sardegna ebbe inizio nel 238
a. C., cioè nell’intervallo tra la prima e la seconda guerra
punica. C’è ovviamente da ritenere che la conquista dell’Isola
da parte dei Romani non sia stata immediata né totale, bensì
sia cominciata con la conquista delle città costiere e delle zone
circostanti, mentre la conquista delle altre zone dell’Isola e soprattutto
del centro montano avrà proceduto piuttosto lentamente.
Una prima importante notizia abbiamo rispetto al centro montano: una grossa
spedizione punitiva contro i ribelli e fastidiosi Ilienses, chiamati in
seguito Barbaricini, fu promossa dall’esercito romano, guidato da
Tiberio Sempronio Gracco, negli anni 177-176 a. C. In quella circostanza,
secondo l’indicazione di Livio, furono uccisi 27 mila Iliesi (12
mila nel 177 e 15 mila nel 176). Orbene, se si considera che, secondo
gli storici moderni, la Sardegna intera avrà avuto in epoca romana
appena 1/5 dei suoi abitanti attuali (cioè circa 300 mila di contro
agli attuali 1.600.000), per cui la Barbagia (che comprende fondamentalmente
la vecchia provincia di Nùoro) poteva avere allora appena 55 mila
abitanti (1/5 dei suoi attuali 280 mila), si deve necessariamente concludere
che l’uccisione in una sola guerra di repressione della metà
degli abitanti di una zona, per di più tutti maschi e adulti, non
può configurarsi altro che come un vero e proprio genocidio <1>.
Oltre che nella Baronia – per i Romani principale porta di ingresso
nella Barbagia – è possibile individuare in maniera certa
alcuni siti del centro montano, nei quali furono stanziati, per un tempo
più o meno lungo, presìdi di soldati romani. In primo luogo
sono da ricordare due mansiones o stazioni che il noto «Itinerario
di Antonino» – Itinerarium Provinciarum, compilato sotto l’imperatore
M. Aurelio Antonino, detto “Caracalla” (211-217 d. C.) –
indica in un tracciato romano di strada, che andava da Olbia fino a Caralis,
attraversando tutto il massiccio montano della Sardegna centro-orientale.
Si tratta in primo luogo della mansione di Caput Tyrsi, cioè «Sorgente
del Tirso», situata – a mio giudizio – a Sant’Efisio
di Orune <2>.
L’altra mansione è quella indicata col nome di Sorabile,
la quale trova esatto riscontro nell’attuale sito di Sorábile
nelle immediate vicinanze di Fonni <3>. Sicuramente esisteva un
altro importante stanziamento militare romano ad Austis, che già
da tempo io ho riportato ad un antica denominazione *Forum Augusti «Foro
di Augusto» <4>.
Alcuni altri stanziamenti di militari romani sono indicati in maniera
evidente da alcuni toponimi della zona. In primo luogo Mamoiada, che io
ho interpretato come mansio manubiata, cioè «stazione vigilata,
sorvegliata», evidentemente sorvegliata da un reparto di soldati
romani<5>.
Inoltre l’indicazione della probabile presenza di un presidio romano
ci viene dalla denominazione di un altro villaggio della Barbagia, Meana,
che da tempo io ho interpretato come mansio mediana, cioè «stazione
mediana o intermedia» nel già citato tracciato di strada
che andava da Olbia a Caralis <6>. Più a meridione, tra Laconi
e Nuragus, si trovava molto probabilmente un altro presidio romano nel
sito detto Crastu (dal lat. castrum), là stanziato anche ai fini
di una valida protezione dei coloni che erano stati importati dai Romani
a Valentia <7>.
Ed uno stanziamento militare romano doveva trovarsi pure a Nùoro.
Questo infatti si trova nel più importante spartiacque del centro
montano della Sardegna, tra la costa orientale e quella occidentale dell’Isola,
e precisamente a cavallo fra la vallate del Cedrino e di Isalle ad oriente
e quella del Tirso ad occidente, nella depressione che si determina tra
il massiccio del Gennargentu e l’altipiano di Buddusò.
Infine un presidio di soldati romani si doveva trovare nella mansione
di Viniola, presso Dorgali e precisamente presso il santuario della Madonna
del Buon Cammino, come dimostra ancora il toponimo (F)Iniodda, che corrisponde
quasi esattamente all’antica Viniola <8>.
D’altra parte la presenza di militari romani anche in tutto il centro
montano della Sardegna è chiaramente e sicuramente documentata
dal ritrovamento di iscrizioni latine in molti villaggi della zona e precisamente
nei seguenti: Benetutti, Bitti, Orune, Orotelli, Fonni, Austis, Sorgono,
Meana, Laconi, Nurallao, Nuragus, Ortueri, Samugheo, Isili, Seulo, Ussassài,
Ulassài.
Traggo adesso le necessarie deduzioni e conclusioni da quanto ho finora
detto: è dimostrata da prove storiche, archeologiche e linguistiche
la forte presenza di presìdi militari romani, stanziati nei punti
strategici del centro montano della Sardegna, ai fini della repressione
delle ribellioni degli Iliesi o Barbaricini e delle loro razzie. Ovviamente
si deve pensare che quelle stazioni militari romane – di certo poste
nelle montagne anche al fine di evitare il pericolo della malaria per
i militari – non siano state tutte e sempre e contemporaneamente
dislocate nei siti da me su indicati; c’è invece da ritenere
che il privilegiamento di un sito piuttosto che di un altro sarà
stato determinato dalle particolari situazioni di allarme che si determinavano
di volta in volta.
In concomitanza e in esatta connessione con la forte presenza di militari
romani nei vari siti della Barbagia, non si può dubitare del fatto
che le stesse continue azioni militari di repressione e di contenimento
abbiano ridotto notevolmente, in termini quantitativi, l’elemento
maschile dei perenni ribelli Barbaricini: come abbiamo visto in precedenza,
molti di questi caddero uccisi nelle azioni di guerra e nelle operazioni
di repressione, oppure, fatti prigionieri, furono mandati nei mercati
di Roma per essere venduti come schiavi. Di certo dunque si determinò
allora questo importante fenomeno di carattere antropico: molti militari
romani stanziati nella zona erano privi di donne e, viceversa, molte donne
barbaricine erano prive di uomini. Ed è evidente che la soluzione
di questo radicale problema di carattere antropico non poteva trovare
che la sua soluzione naturale, quella dell’incontro dei militari
romani con le donne barbaricine appunto. Di certo dunque si determinò
allora una forte mescolanza tra i militari romani e le donne barbaricine,
la quale diede luogo ad unioni miste, di bassa caratterizzazione giuridica
e sociale.
Questa commistione dell’elemento maschile romano con l’elemento
femminile barbaricino di certo non fu solamente un fenomeno saltuario
e temporaneo, ma ebbe modo di stabilizzarsi e consolidarsi, dato che è
facile intravedere che non pochi militari romani, una volta congedati
dall’esercito, finivano con lo stabilirsi definitivamente in Barbagia
(ricordo il congedo militare rinvenuto ad Austis; <9>). E probabilmente
si trattava non solamente di militari di truppa, ma anche di sottufficiali,
come fa intendere la stupefacente attestazione degli odierni cognomi e
toponimi barbaricini Biteddi, Calvisi, Curreli, Lisini, Mameli, Marongiu,
Masuri, Monni, Pascasi, Prischiani, Serusi, Sisini, Useli, Valeri, Vavori,
Verachi, Viriddi, Viseni,i quali sono evidentemente da riportare ai gentilizi
o cognomina latini Vitellius, Calvisius, Cornelius o Currelius, Lisinius,
Mamelius, Maronius, Masurius, Monnius, Paschasius, Priscianus, Selusius,
Sisinius, *Uselius, Valerius, Favorius, Veracius, Virillius, Visenius
(RNG), tutti – meno uno – nella forma del vocativo o, in subordine,
del genitivo.
Ma la prova più forte e più evidente della notevole presenza
di militari e di veterani romani nella antica Barbagia è data dalla
linguistica storica: in tutti i centri abitati della odierna Barbagia
ed anche della contigua Ogliastra si parlano altrettanti dialetti di totale
origine e matrice latina; dialetti nei quali i relitti lessicali della
precedente lingua dei Protosardi o Sardi Nuragici sono scarsissimi ed
inoltre poco significativi.
Anche in base ai particolari caratteri del latino che risulta essere stato
importato dai Romani in Barbagia, i linguisti siamo ormai quasi tutti
d’accordo sul fatto che, fondamentalmente, la latinizzazione linguistica
della Barbagia è avvenuta negli ultimi decenni della repubblica
romana ed entro il secondo secolo dell’Impero.
C’è inoltre da segnalare e sottolineare che l’essersi
numerosi militari romani stabiliti definitivamente anche nei vari siti
della Sardegna montana è dimostrato pure dal fatto che in Barbagia
sono rimasti numerosi ed importanti relitti etnografici delle usanze agricole,
con la relativa terminologia, che erano peculiari dei Romani, come ha
luminosamente messo in evidenza Max Leopold Wagner, nella sua geniale
opera La vita rustica della Sardegna riflessa nella lingua (LLS).
Concludendo si deve infine precisare che attualmente la Barbagia viene
distinta in tre: la Barbagia di Ollolai, quella di Belvì e quella
di Seulo, ma nel passato esistevano e si indicavano pure la Barbagia di
Austis, quella di Bitti, quella di Meana e quelle dell’Ogliastra
e del Mandrolisai. E c’è anche da concludere che in epoca
classica la Barbagia abbracciava l’intera zona centrale e montana
della Sardegna, compresa l’Ogliastra.
MASSIMO PITTAU
NOTE
<1> M. Pittau, Lingua e civiltà di Sardegna, II, 2004, Cagliari,
Edizioni della Torre, cap. IV.
<2> M. Pittau, Caput Tyrsi = Sant’Efis di Orune, in «Annali
della Facoltà di Lingue dell’Università di Sassari»,
vol. 5, pagg. 335-340.
<3> M. Pittau, Dizionario della Lingua Sarda, Cagliari 2003, vol.
II, pag. 748.
<4> M. Pittau, Dizionario ecc., pagg. 544-545.
<5> M. Pittau, Dizionario ecc., pagg. 642-644.
<6> M. Pittau, Dizionario ecc., pagg. 649-650.
<7> M. Pittau, Dizionario ecc., pagg. 585, 783.
<8> M. Pittau, Lingua e civiltà ecc., pagg. 44-45.
<9> M. Pittau, Dizionario ecc., pag. 544.
(27-05-2011)
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