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Presentato a Pavia il
volume della bittese Lucia Preiata “Attitatores e Attitos. Pianto
rituale in Sardegna”
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Nel pomeriggio di
sabato 9 febbraio il Circolo culturale sardo “Logudoro” di
Pavia ha organizzato, presso la sede sociale, la presentazione del libro
della socia Lucia Preiata che ha per titolo “Attitatores e Attitos.
Pianto rituale in Sardegna” (Pavia, Nuova Tipografia Popolare, info@tipografia-popolare.it;
pagine XXV + 325, Euro 23,00; il volume è reperibile in Internet
e nelle librerie della Sardegna).
Dopo i saluti di Gesuino Piga, presidente del “Logudoro”,
ha preso la parola la prof.ssa Laura Marelli, insegnante del corso di
Scrittura creativa dell’Università della Terza Età-Unitré
di Pavia, che ha seguito la lunga elaborazione dell’opera della
Preiata e che ha firmato la prefazione del libro.
Laura
Marelli ha scoperto, grazie alla raccolta della Preiata, l’esistenza
di una tradizione sarda del pianto funebre: l’attitu come
improvvisazione di versi mediante i quali s’attitatora
richiama alla mente dei familiari e degli amici immagini della vita della
persona appena defunta e in questo modo esprime a nome di tutti (e aiuta
a sopportare) il dolore per la perdita. L’ammirevole trascrizione
operata da Preiata in cinque anni di paziente registrazione degli attitos
ci offre la possibilità di apprezzarne le qualità stilistiche:
«non solo sono in versi, dal ritmo chiaro e spesso marcato, ma presentano
tutte le caratteristiche della versificazione ufficiale, quella letteraria,
anche se le attitatoras per la maggior parte ignoravano la scrittura».
Laura Marelli sottolinea come il libro della Preiata sia importante dal
punto di vista della valorizzazione della «cultura delle donne»:
«Merito dell’autrice è quello di aver saputo ricostruire,
con le accurate biografie, la storia e la personalità di tante
donne, con un’attenzione e un vivacità narrativa non comuni».
Lucia Preiata, nativa di Bitti, per sette anni attiva presso il reparto
di Rianimazione dell’Ospedale di Pavia, ha dovuto confrontarsi quotidianamente
con la necessità di assicurare un sostegno psicologico (una spirituale
terapia del dolore) ai parenti dei morti. Andata in pensione, dopo essere
stata colpita da una serie di lutti in famiglia, ha deciso di dare realizzazione
a un progetto sempre rimandato: trascrivere dalla voce di chi aveva conservato
memoria dei loro versi funebri gli attitos improvvisati da persone della
cerchia dei parenti stretti. Poi la ricerca si è allargata a tutte
le testimonianze “dissepolte” presso la comunità bittese:
non pochi gli ostacoli frapposti dalle famiglie intenzionate a non autorizzare
la circolazione per iscritto delle espressioni di attitu.
Anche se l’analisi riguarda soprattutto Bitti, il volume della Preiata
rappresenta uno spaccato della cultura orale sarda in quanto la tradizione
è presente in molti paesi dell'Isola. La lamentazione funebre –
che, con nomi diversi, era conosciuta in tutte le civiltà antiche
del Mediterraneo e non solo – si è estinta nella modernità
ma permane ancora in Sardegna e si rinnova.
L'attitu può essere considerato come un “marker”
del tessuto identitario: il fatto che esso appartenga all' anima profonda
della Sardegna lo rende degno di essere identificato, riconosciuto e valorizzato.
L’autrice è particolarmente orgogliosa di aver potuto approfondire
– a seguito della conoscenza e della ricostruzione delle vicende
biografiche delle attitatoras – le motivazioni per le quali
esse hanno assunto questo ruolo nella famiglia e nella comunità.
Osserva la Preiata: «Gli oltre duecento attitos, raccolti
dalla viva voce delle donne che li hanno conservati nella memoria, sono
scritti in lingua sarda con traduzione in italiano a fronte e si estendono
dal 1865 al 2010, raccontano le storie di persone, famiglie e del paese.
Inoltre danno conto di come la “piccola storia” al femminile
percepisce e racconta la “grande storia”, in particolare la
Prima guerra mondiale».
Il volume è arricchito dalle originali immagini di Francesca Cossellu
(cui si deve anche quella di copertina) e Gianfranca Zanetti.
Nota finale. Lucia Preiata, che si è documentata
sulle opere relative ai rituali di morte e, in particolare, al compianto
funebre, si sofferma in diverse parti del suo libro sull’opposizione
manifestata nei secoli dalla Chiesa nei confronti dell’attitu
e delle attitatoras. Per lei «una delle tante ragioni del
persistere di questa condanna potrebbe essere individuata nel fatto che
la Chiesa, che interpreta le scritture e dà disposizioni, è
rigorosamente maschile e non è mai sfiorata dall’interesse
culturale a prendere in considerazione e a cercare di capire il sentire
e il punto di vista delle donne e la forma che assume la religiosità
al femminile».
A parere di Lucia Preiata l’ostracismo della Chiesa riguardo all'attitonzu
poteva anche avere un senso quando, agli inizi dell'era cristiana, era
pagano ed esprimeva solo disperazione. Ma quando l'attitu si
è cristianizzato ed esprimeva i valori cristiani, la Chiesa ha
proseguito nella riprovazione senza appello fino ad oggi. Questo per lei
è uno dei segni della scarsa considerazione che la Chiesa riserva
alle donne. Da credente si augura un maggiore riconoscimento e valorizzazione
in particolare sul tema della morte e del morire, campo nel quale le donne
hanno maturato una esperienza millenaria.
Da parte mia, facendo ricerche sul mio paese di nascita, Ploaghe, ho trovato
un notizia storica importante nel percorso che ha sempre caratterizzato
la posizione della Chiesa riguardo all’attitu: cioè
una inesorabile ostilità.
A Ploaghe, in una congregazione del clero della soppressa diocesi, tenuta
il 15 marzo 1553, il vescovo Salvatore Alepus (arcivescovo di Sassari
dal 1524 al 1566) – che nell’autunno del 1552 aveva fatto
ritorno in Sassari dalla seconda sessione del Concilio di Trento –
«proibì sotto pena di scomunica le nenie funebri delle prefiche,
che accompagnavano le spoglie de’ morti alla sepoltura, turbando
la stessa pace delle chiese sacre alla preghiera. Così rinvigoriva
la lotta, aiutata allora dall’Inquisizione e proseguita efficacemente
dal clero, contro quei selvaggi e frenetici attitidos, che nelle supreme
ore d’angoscia opprimevan di maggior tristezza o invocavano nuovo
sangue a vendicare il sangue degli uccisi dall’odio. Ecco il canone
contro le attitadoras (le voceri corse di cui raccolse
canti Niccolò Tommaseo): “Est istadu ordinadu qui nexuna
femina no potat andare quando morit qualchi unu a chesia et non attitare
a modu nexunu et hue han faguer su contrariu su mortu non siat seppellidu
[cioè in terra sacra] et qui sa tale delinquente hapat de ruer
in ipso facto in excomunigatione)».
La citazione è tratta da Damiano Filia, “La Sardegna Cristiana”,
ristampa dell’edizione del 1909-1929 riveduta e corretta da don
Francesco Amadu su note autografe dell’autore, presentazione di
Ottorino Pietro Alberti, Arcivescovo di Cagliari (Sassari, Carlo Delfino,
1995). Cfr. il II volume: “Dal periodo giudicale al 1720”,
p. 230.
(16-02-2013)
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