La Notizia/////////////////////////
///////////////////////di Paolo Pulina

 

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Presentato a Pavia il volume della bittese Lucia Preiata “Attitatores e Attitos. Pianto rituale in Sardegna”

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Presentazione libro di Lucia Preiata, Pavia, 09 febbraio 2013

Nel pomeriggio di sabato 9 febbraio il Circolo culturale sardo “Logudoro” di Pavia ha organizzato, presso la sede sociale, la presentazione del libro della socia Lucia Preiata che ha per titolo “Attitatores e Attitos. Pianto rituale in Sardegna” (Pavia, Nuova Tipografia Popolare, info@tipografia-popolare.it; pagine XXV + 325, Euro 23,00; il volume è reperibile in Internet e nelle librerie della Sardegna).
Dopo i saluti di Gesuino Piga, presidente del “Logudoro”, ha preso la parola la prof.ssa Laura Marelli, insegnante del corso di Scrittura creativa dell’Università della Terza Età-Unitré di Pavia, che ha seguito la lunga elaborazione dell’opera della Preiata e che ha firmato la prefazione del libro.
Copertina libro di Lucia PreiataLaura Marelli ha scoperto, grazie alla raccolta della Preiata, l’esistenza di una tradizione sarda del pianto funebre: l’attitu come improvvisazione di versi mediante i quali s’attitatora richiama alla mente dei familiari e degli amici immagini della vita della persona appena defunta e in questo modo esprime a nome di tutti (e aiuta a sopportare) il dolore per la perdita. L’ammirevole trascrizione operata da Preiata in cinque anni di paziente registrazione degli attitos ci offre la possibilità di apprezzarne le qualità stilistiche: «non solo sono in versi, dal ritmo chiaro e spesso marcato, ma presentano tutte le caratteristiche della versificazione ufficiale, quella letteraria, anche se le attitatoras per la maggior parte ignoravano la scrittura». Laura Marelli sottolinea come il libro della Preiata sia importante dal punto di vista della valorizzazione della «cultura delle donne»: «Merito dell’autrice è quello di aver saputo ricostruire, con le accurate biografie, la storia e la personalità di tante donne, con un’attenzione e un vivacità narrativa non comuni».
Lucia Preiata, nativa di Bitti, per sette anni attiva presso il reparto di Rianimazione dell’Ospedale di Pavia, ha dovuto confrontarsi quotidianamente con la necessità di assicurare un sostegno psicologico (una spirituale terapia del dolore) ai parenti dei morti. Andata in pensione, dopo essere stata colpita da una serie di lutti in famiglia, ha deciso di dare realizzazione a un progetto sempre rimandato: trascrivere dalla voce di chi aveva conservato memoria dei loro versi funebri gli attitos improvvisati da persone della cerchia dei parenti stretti. Poi la ricerca si è allargata a tutte le testimonianze “dissepolte” presso la comunità bittese: non pochi gli ostacoli frapposti dalle famiglie intenzionate a non autorizzare la circolazione per iscritto delle espressioni di attitu.
Anche se l’analisi riguarda soprattutto Bitti, il volume della Preiata rappresenta uno spaccato della cultura orale sarda in quanto la tradizione è presente in molti paesi dell'Isola. La lamentazione funebre – che, con nomi diversi, era conosciuta in tutte le civiltà antiche del Mediterraneo e non solo – si è estinta nella modernità ma permane ancora in Sardegna e si rinnova.
L'attitu può essere considerato come un “marker” del tessuto identitario: il fatto che esso appartenga all' anima profonda della Sardegna lo rende degno di essere identificato, riconosciuto e valorizzato.
L’autrice è particolarmente orgogliosa di aver potuto approfondire – a seguito della conoscenza e della ricostruzione delle vicende biografiche delle attitatoras – le motivazioni per le quali esse hanno assunto questo ruolo nella famiglia e nella comunità.
Osserva la Preiata: «Gli oltre duecento attitos, raccolti dalla viva voce delle donne che li hanno conservati nella memoria, sono scritti in lingua sarda con traduzione in italiano a fronte e si estendono dal 1865 al 2010, raccontano le storie di persone, famiglie e del paese. Inoltre danno conto di come la “piccola storia” al femminile percepisce e racconta la “grande storia”, in particolare la Prima guerra mondiale».
Il volume è arricchito dalle originali immagini di Francesca Cossellu (cui si deve anche quella di copertina) e Gianfranca Zanetti.
Nota finale. Lucia Preiata, che si è documentata sulle opere relative ai rituali di morte e, in particolare, al compianto funebre, si sofferma in diverse parti del suo libro sull’opposizione manifestata nei secoli dalla Chiesa nei confronti dell’attitu e delle attitatoras. Per lei «una delle tante ragioni del persistere di questa condanna potrebbe essere individuata nel fatto che la Chiesa, che interpreta le scritture e dà disposizioni, è rigorosamente maschile e non è mai sfiorata dall’interesse culturale a prendere in considerazione e a cercare di capire il sentire e il punto di vista delle donne e la forma che assume la religiosità al femminile».
A parere di Lucia Preiata l’ostracismo della Chiesa riguardo all'attitonzu poteva anche avere un senso quando, agli inizi dell'era cristiana, era pagano ed esprimeva solo disperazione. Ma quando l'attitu si è cristianizzato ed esprimeva i valori cristiani, la Chiesa ha proseguito nella riprovazione senza appello fino ad oggi. Questo per lei è uno dei segni della scarsa considerazione che la Chiesa riserva alle donne. Da credente si augura un maggiore riconoscimento e valorizzazione in particolare sul tema della morte e del morire, campo nel quale le donne hanno maturato una esperienza millenaria.
Da parte mia, facendo ricerche sul mio paese di nascita, Ploaghe, ho trovato un notizia storica importante nel percorso che ha sempre caratterizzato la posizione della Chiesa riguardo all’attitu: cioè una inesorabile ostilità.
A Ploaghe, in una congregazione del clero della soppressa diocesi, tenuta il 15 marzo 1553, il vescovo Salvatore Alepus (arcivescovo di Sassari dal 1524 al 1566) – che nell’autunno del 1552 aveva fatto ritorno in Sassari dalla seconda sessione del Concilio di Trento – «proibì sotto pena di scomunica le nenie funebri delle prefiche, che accompagnavano le spoglie de’ morti alla sepoltura, turbando la stessa pace delle chiese sacre alla preghiera. Così rinvigoriva la lotta, aiutata allora dall’Inquisizione e proseguita efficacemente dal clero, contro quei selvaggi e frenetici attitidos, che nelle supreme ore d’angoscia opprimevan di maggior tristezza o invocavano nuovo sangue a vendicare il sangue degli uccisi dall’odio. Ecco il canone contro le attitadoras (le voceri corse di cui raccolse canti Niccolò Tommaseo): “Est istadu ordinadu qui nexuna femina no potat andare quando morit qualchi unu a chesia et non attitare a modu nexunu et hue han faguer su contrariu su mortu non siat seppellidu [cioè in terra sacra] et qui sa tale delinquente hapat de ruer in ipso facto in excomunigatione)».
La citazione è tratta da Damiano Filia, “La Sardegna Cristiana”, ristampa dell’edizione del 1909-1929 riveduta e corretta da don Francesco Amadu su note autografe dell’autore, presentazione di Ottorino Pietro Alberti, Arcivescovo di Cagliari (Sassari, Carlo Delfino, 1995). Cfr. il II volume: “Dal periodo giudicale al 1720”, p. 230.
(16-02-2013)