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A Verona confronto
sulle ipotesi di riforma
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dello Statuto speciale
della Regione Sardegna
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Nel pomeriggio di
venerdì 12 novembre 2010, presso la sede sociale (nei locali dell'ex
Corpo di guardia di Forte Chievo radicalmente e funzionalmente ristrutturati
grazie ai contributi della Regione Veneto, del Comune di Verona e delle
Istituzioni sarde) l'Associazione dei Sardi “S. Satta” di
Verona ha organizzato una tavola rotonda sul tema “Dalle Cinque
Domande degli Stamenti all’Autonomia e Sovranità della Sardegna”.
Nel suo saluto il presidente del sodalizio, Maurizio Solinas, ha precisato
che la manifestazione è stata possibile grazie al sostegno dell'Assessorato
alla Pubblica Istruzione della Regione Sardegna in quanto si è
configurata come celebrazione presso la comunità degli emigrati
de “Sa Die de sa Sardigna” ai sensi della Legge regionale
n. 44 del 14 settembre 1993 che ha per titolo “Istituzione della
giornata del popolo sardo 'Sa Die de sa Sardinia'”.
Tonino Bussu ha introdotto la discussione parlando in sardo (per dimostrare
che con esso si può ragionare di qualsiasi argomento) e sottolineando
il fatto che l'irrisione con cui la corte torinese accolse le Cinque Domande
avanzate dal movimento autonomistico sorto in Sardegna alla fine del Settecento
diede luogo alla cacciata dei piemontesi del 28 aprile 1794 (indicata
appunto dalla legge sopracitata come “giornata del popolo sardo”
in quanto in grado di simboleggiare le capacità di questo popolo
di ribellarsi ai soprusi e di prefigurare per sé un futuro di Autonomia
e di Sovranità). Dopo la ricostruzione storica (“unione perfetta”
col Piemonte del 1848;
presa di coscienza della necessità di valorizzare i principi autonomistici
tra i reduci della prima guerra mondiale con conseguente formazione del
Psd'Az.; dopo il ventennio fascista, conquista dello Statuto speciale:
è famoso il giudizio di Emilio Lussu: concesso “un gatto”
a chi aveva chiesto “un leone”), Bussu ha richiamato i problemi
di oggi: la necessità di riforma di questo statuto ormai invecchiato
in alcune parti è riconosciuta da tutti ma diverso è lo
strumento che si vuole utilizzare a questo scopo (o attraverso il rafforzamento
della commissione del Consiglio regionale per l'autonomia o per mezzo
di un'assemblea costituente).
Franco Bonfante (PD), vice-presidente del Consiglio Regionale Veneto,
ha informato sulla situazione di stallo (dopo la presidenza Galan non
se ne è più parlato) in cui versa la legge di “autonomia
differenziata” (antesignana delle norme sul federalismo fiscale)
approvata alcuni anni fa, praticamente all'unanimità, dai consiglieri
della Regione Veneto: in pratica la Regione, se ha la forza economica,
potrebbe richiedere allo Stato maggiori competenze in materie quali la
scuola, le casse rurali, la tutela ambientale, l'organizzazione dei giudici
di pace, ecc. Ma l'autonomia vera significa anche maggiori attribuzioni
ai Comuni (oggi la Regione è fortemente centralistica: i contributi,
per fare un esempio, per asili-nido o per impianti sportivi vengono concessi
direttamente dalla Regione) e più autonomie per le Province (quella
di Belluno per la sua specificità dovrebbe, per esempio, avere
più competenze per quanto riguarda gli interventi sulle zone di
montagna). Bonfante si è dichiarato contro l'indipendentismo ma
anche contro un federalismo che non sia solidale (le recenti alluvioni
in Veneto hanno fatto capire che nessuna Regione può essere autosufficiente
e che chiedere e ricevere aiuto vuol dire essere disponibili a prestarne
a propria volta).
Michele Cossa (Riformatori), vice-presidente del Consiglio Regionale Sardo,
si è soffermato sul fatto che è necessario dare oggi dare
alla Sardegna spazi decisionali più ampi di quelli di una generica
“autonomia”. Si tratta di ragionare in termini di sovranità
che la nostra isola merita per caratteristiche geografiche, storiche,
culturali e linguistiche. Il rapporto che ha lo Stato nei confronti della
Sardegna deve subire un mutamento genetico. Il nostro Statuto speciale
è legge costituzionale ma la riforma di esso non può essere
lasciata allo Stato. È già stata approvata all'unanimità,
anni fa, dal Consiglio regionale una proposta di legge nazionale per approvare
un'assemblea costituente che presenti uno Statuto rispetto al quale le
Camere abbiano la possibilità di dire sì o no in toto (né
Prodi né Berlusconi hanno mandato avanti la proposta). La revisione
dello Statuto non può essere opera di 30 specialisti di Diritto
Costituzionale ma deve coinvolgere, tramite l'assemblea costituente, le
diverse componenti del popolo sardo.
Giancarlo Mameli (sardista) ha sostituito l'assessore ai Trasporti, Angelo
Carta, di cui è stretto collaboratore. Oltre a stigmatizzare lo
stato miserevole in cui versano le ferrovie sarde e le conseguenze negative
del monopolio Tirrenia per quanto riguarda la navigazione marittima da
e per la Sardegna, Mameli ha chiesto che i sardi abbiano le stesse opportunità
che sono concesse agli altri italiani (in particolare ai siciliani): in
materia di trasporti ma anche in tema di rappresentanza all'Europarlamento,
di fondi europei FAS (fondi per le aree sottosviluppate), di incentivazione
di caratterizzanti produzioni di qualità.
Pietro Pittalis, vice-capogruppo PDL nel Consiglio Regionale Sardo, si
è chiesto: in questi 60 anni abbiamo dato il massimo per utilizzare
le competenze già previste in uno Statuto di autonomia? Non mi
spaventa la parola “indipendentismo” ma cosa sta dietro a
questo concetto? Dieci anni fa ero convinto della opportunità di
ricorrere all'assemblea costituente. Oggi non più: per i costi
e perché alla fine si darebbe vita a una struttura parallela al
Consiglio regionale, che comunque alla fine è l'organismo che deve
approvare il nuovo testo. Basterebbe quindi che l'elaborazione del Consiglio
regionale tenesse conto degli apporti formulati da una Consulta che rappresenti
le istanze della società civile.
Giovanni Colli, segretario nazionale del partito sardo, ha elencato le
possibilità oggi offerte alla Sardegna per riformare il proprio
Statuto e ha dichiarato che la soluzione più adatta è quella
di procedere tramite l'assemblea costituente, eletta con il sistema proporzionale,
la cui azione non può non essere efficace dato che dovrebbe occuparsi
di una cosa sola. La campagna elettorale attraverso la quale verrebbero
eletti i componenti impegnerebbe i candidati a divulgare i temi della
riforma a livello di massa e quindi si creebbero le condizioni per uno
Statuto forte in quanto espressione della volontà popolare. Il
problema in ogni caso non sono né i costi né il ruolo dell'Assemblea
costituente ma il fatto che la nuova Carta Costituzionale dell'isola deve
essere approvata dal Parlamento italiano. Per la Sardegna non c'è
progresso se non c'è possibilità di decidere. Abbiamo fatto
la vertenza sulle entrate (sull'esempio della Sicilia) ma a noi sardi
i soldi non sono mai arrivati.
Tonino Mulas, presidente della FASI (Federazione delle Associazioni Sarde
in Italia),
ha dichiarato che il mondo dell'emigrazione è favorevole allo strumento
assemblea costituente (perché consente il coinvolgimento di quella
parte del popolo sardo che vive fuori dell'isola). Oggi però l'attenzione
deve essere puntata sui contenuti di questo nuovo statuto non solo basato
sui segni dell'identità ma anche sull'individuazione dei modi per
assicurare un futuro di sviluppo economico specifico
(si è riferito alle lotte degli operai rimasti senza lavoro e al
movimento dei pastori i quali devono affrontare seri problemi di sopravvivenza
professionale) che sia diverso dal “deserto”.
17-11-2010
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