Piero Marras: è
di scena la musica
di Rosalba Satta
Budoni 15 agosto 2007. Piazza
Giubileo, ore 22. E’ di scena la Musica.
Sul palco lui: Piero Marras.
E’ un appuntamento che, da alcuni anni, si ripete. E si attende
con l’emozione e lo stupore della prima volta.
Non una parola all’inizio del concerto. A parlare sono loro: le
launeddas elettroniche. E’ l’ingresso e il trionfo della
musica popolare che – come ha affermato l’altro ieri l’etnomusicologo
Francesco Morittu – “si confronta con il presente, pur avendo
ben evidenti i legami col passato”.
E’ la testimonianza che è possibile – è questa
una riflessione di Piero Marras – “rivitalizzare la tradizione
di riferimento aprendole confini impensati e impensabili”. E poiché
è possibile suonare le launeddas e, contemporaneamente, cantare,
Piero Marras lo fa…e il suo iniziale “abbarra firma in cue
luna luchente…”, vola dal palco e avvolge. Più esattamente:
coinvolge. Anche chi – e sono tanti i vacanzieri presenti in piazza
- non comprende la lingua sarda. E’ proprio vero ciò che
ci ricorda Marras: il suono delle parole dice e racconta oltre il significato,
e la nostra lingua, forse meglio e più di altre, porta con sé
anche la forza del mistero della vita e della morte.
Non a caso il primo canto riprende, nel finale, la bellissima “Omine
mannu”, e l’invito rivolto a Dio è quello di lasciare
il Paradiso per giungere, e fermarsi, nella sofferenza e nella solitudine
dell’uomo… perché è lì che si ha fame
della sua presenza. Perché è lì che Lui si riconosce.
A seguire, “Il figlio del re” con i doni del vecchio servo
che danno un significato profondo alla fatica del vivere e contenuto
alla speranza in un futuro di condivisione.
“I silenzi – precisa Piero Marras – sono parole. Spesso
sono taglienti come coltelli”. Altre volte, i “silenzi emozionali”
sussurrano abbracci e tenerezze che la lingua non è capace di
dire, ma le atmosfere, le vicinanze di anime raccontano a chi ha imparato
ad ascoltare il sussulto, la bellezza, la poesia del non detto.
Infine – e la storia passata e presente ne è una testimonianza
-, i “silenzi assordanti” di coloro che dovrebbero fare
e non fanno, di coloro che tacciono… per coprire di silenziosa
e putrida melma le loro ingiustificabili presenze-assenze.
Ma “il nostro domani verrà”, ci ricorda il cantautore
sardo regalandoci le note e il canto della bellissima “Ardia”:
“Colores de rosa in s’aera, in chelu una nue minninna s’interghinada
’e ispera ti tinghet, o bella pizzinna…”.
Piero Marras canta per oltre due ore, regalandoci un rosario di emozioni
spesso colorate dalla movenze, dai costumi e dai colori delle ragazze
della compagnia Tersicore; bellissima “scenografia” che
aggiunge senso al senso: che riporta ai segreti dei nuraghi, che racconta
di un’isola possibile, di sudore e di nuvole di polvere, di singhiozzi
di luce…