Dove sono finite le
emozioni?
E’ la domanda che mi
pongo sempre più spesso ultimamente.
Quando si pensa che il peggio sia accaduto, la cronaca ci racconta di
altri fatti che lasciano senza respiro. E’ di pochi giorni addietro,
la notizia del ritrovamento del corpo di Iole Tassitani.
Se è vero che ad uccidere e a fare a pezzi il corpo è stato
un falegname italiano, se ne parlerà per alcuni giorni nelle solite
trasmissioni. Poi, calerà il silenzio. Non oso pensare che cosa
sarebbe accaduto se al posto del sospettato italiano ci fosse stato il
viso di un extracomunitario. Il razzismo che monta piano piano, come un
fiume che si appresta a travolgere gli argini, avrebbe ricevuto linfa
vitale. In fondo è accaduto così anche per gli Ebrei, tempo
addietro. Tutti i mali erano riconducibili – la propaganda era martellante
- alla loro cattiva stirpe.
Siamo davvero messi male. E non perché l’umanità sia
tutta da buttare. No. Il fatto è che l’abitudine al male
sta creando dei rivoli nell’anima, si arena tra gli anfratti, si
deposita nel fondo e lì rimane. Penso soprattutto al mondo dei
giovani che, fra l’altro, crescono con davanti agli occhi esempi
che lasciano senza respiro. Adeguarsi è più facile di quanto
si possa immaginare. E quando non accade, si fa di tutto per pensare il
meno possibile. Indignarsi costa. Richiede partecipazione attiva, esempi
costruttivi, rinunce. Esporsi? Non ne vale la pena.
Penso alla favola del “Flauto magico”. O meglio, alla musica
del flauto che attirava verso il baratro i bambini del paese. Questa volta
i bambini siamo noi adulti, incapaci di distinguere - per la corsa sfrenata
e il chiasso imperante - il necessario dal superfluo, presi come siamo
da tutto ciò che è materiale, visibile, da esibire.
Si accumulano cose e si trascurano i sentimenti, le emozioni, la capacità
di costruire sogni. Siamo realmente diventati dei consumatori, dei banalissimi
“tubi digerenti”… come pensò bene di ricordarci,
tempo addietro, padre Zanotelli.
L’onda anomala dell’indifferenza si gonfia delle nostre miopie
quotidiane, condite da un’informazione spesso fatta di opinioni
e non di fatti e da una televisione che distribuisce il nulla ricco di
luccichii e di culi e tette.
Benigni, con Dante, tenta di regalarci stupore e ci raggiunge, nonostante
l’ora tarda. Ma è una perla in un letamaio. C’è
chi riesce a cogliere lo splendore e chi, invece, si sofferma a guardare
lo sterco.
Quanto dovremo ancora vedere e sopportare prima di scuoterci ed urlare
la nostra indignazione?
Avvalersi della facoltà di non rispondere, non sentirsi direttamente
responsabili dei mali della terra non ci rende meno colpevoli. Non ci
assolve. Facciamo parte del tutto, ci siamo dentro… a nessuno è
consentito voltarsi dall’altra parte. Dovremmo ricordarlo più
spesso, innanzi tutto a noi stessi, con la consapevolezza che sarà
possibile, sempre che lo si voglia, ri-nascere.
20-01-2008 |