L'Opinione
di Rosalba Satta Ceriale

 

Dove sono finite le emozioni?

E’ la domanda che mi pongo sempre più spesso ultimamente.
Quando si pensa che il peggio sia accaduto, la cronaca ci racconta di altri fatti che lasciano senza respiro. E’ di pochi giorni addietro, la notizia del ritrovamento del corpo di Iole Tassitani.
Se è vero che ad uccidere e a fare a pezzi il corpo è stato un falegname italiano, se ne parlerà per alcuni giorni nelle solite trasmissioni. Poi, calerà il silenzio. Non oso pensare che cosa sarebbe accaduto se al posto del sospettato italiano ci fosse stato il viso di un extracomunitario. Il razzismo che monta piano piano, come un fiume che si appresta a travolgere gli argini, avrebbe ricevuto linfa vitale. In fondo è accaduto così anche per gli Ebrei, tempo addietro. Tutti i mali erano riconducibili – la propaganda era martellante - alla loro cattiva stirpe.
Siamo davvero messi male. E non perché l’umanità sia tutta da buttare. No. Il fatto è che l’abitudine al male sta creando dei rivoli nell’anima, si arena tra gli anfratti, si deposita nel fondo e lì rimane. Penso soprattutto al mondo dei giovani che, fra l’altro, crescono con davanti agli occhi esempi che lasciano senza respiro. Adeguarsi è più facile di quanto si possa immaginare. E quando non accade, si fa di tutto per pensare il meno possibile. Indignarsi costa. Richiede partecipazione attiva, esempi costruttivi, rinunce. Esporsi? Non ne vale la pena.
Penso alla favola del “Flauto magico”. O meglio, alla musica del flauto che attirava verso il baratro i bambini del paese. Questa volta i bambini siamo noi adulti, incapaci di distinguere - per la corsa sfrenata e il chiasso imperante - il necessario dal superfluo, presi come siamo da tutto ciò che è materiale, visibile, da esibire.
Si accumulano cose e si trascurano i sentimenti, le emozioni, la capacità di costruire sogni. Siamo realmente diventati dei consumatori, dei banalissimi “tubi digerenti”… come pensò bene di ricordarci, tempo addietro, padre Zanotelli.
L’onda anomala dell’indifferenza si gonfia delle nostre miopie quotidiane, condite da un’informazione spesso fatta di opinioni e non di fatti e da una televisione che distribuisce il nulla ricco di luccichii e di culi e tette.
Benigni, con Dante, tenta di regalarci stupore e ci raggiunge, nonostante l’ora tarda. Ma è una perla in un letamaio. C’è chi riesce a cogliere lo splendore e chi, invece, si sofferma a guardare lo sterco.
Quanto dovremo ancora vedere e sopportare prima di scuoterci ed urlare la nostra indignazione?
Avvalersi della facoltà di non rispondere, non sentirsi direttamente responsabili dei mali della terra non ci rende meno colpevoli. Non ci assolve. Facciamo parte del tutto, ci siamo dentro… a nessuno è consentito voltarsi dall’altra parte. Dovremmo ricordarlo più spesso, innanzi tutto a noi stessi, con la consapevolezza che sarà possibile, sempre che lo si voglia, ri-nascere.

20-01-2008