Maria Giovanna Cherchi

Dopo "Unu frore che a tie" si è aperta una nuova stagione per Maria Giovanna Cherchi
"Il segreto del mio successo? Calore e familiarità col pubblico
E' una presenza importante nei concerti delle piazze sarde ma non dimentica la famiglia
Primo Piano di Paolo Pillonca
(La Nuova Sardegna 26 gennaio 2004) 

BOLOTANA. Ormai è una delle presenze importanti nei concerti delle piazze sarde. A venticinque anni, Maria Giovanna Cherchi potrebbe anche dire - ma non lo dirà mai - che il periodo più difficile è passato. Da quando è uscito "Unu frore che a tie", il disco studiato per lei due anni fa da Piero Marras, gli inviti si sono moltiplicati e la ragazzina timida dei tempi del piano bar è diventata famosa. Vediamola da vicino, allora, questa giovane donna che nel periodo scolastico insegna nella scuola dell'obbligo e si appresta a discutere - all'istituto di scienze religiose di Nuoro - una tesi di diploma sulla psicologia della religione. Un solo esame ancora, poi il titolo che le garantirà anche un lavoro stabile. "Già questo rappresenta un segno molto chiaro di saggezza", apprezzano i suoi compaesani. In passato si sarebbe detto che il canto non assicura il pane: cantatore-pedidore. Non è più così, oggi, ma la prudenza è sempre un bel rifugio. Parliamo di musica dunque.
-Le piazze, più dei teatri e degli studi di registrazione, sono il banco di prova dei cantanti. Com'è cambiato il tuo rapporto con gli ascoltatori negli spazi aperti?
"Queste ultime due stagioni sono state le più belle. Direi le più serene. Ho lavorato con persone di grande gentilezza e ho potuto guardare la gente con occhi diversi forse perché anch'io ero sicura della qualità dello spettacolo che proponevo".
-A che cosa attribuisci il cambiamento?
"Il pubblico ha apprezzato la novità. Dappertutto, senza distinzione di luoghi. Da Porto Cervo ai paesi dell'interno fino all'estremo sud della Sardegna, a Cagliari e alla sua area metropolitana, ho trovato dovunque un clima familiare. A volte mi è parso che bastasse la presenza per aprire gli animi alla cordialità".
-Effetto delle tue apparizioni televisive?
"Gran parte si, non ne dubito. Me ne sono accorta da un particolare: se portavo i capelli raccolti occorreva che me li sciogliessi, perché il pubblico mi identificasse meglio. E questo, indubbiamente, è un effetto della tv, un'abitudine acquisita dal pubblico".
-Chi affronta la piazza dice: ogni volta è come se fosse la prima. Concordi?
"Il primo impatto è sempre emozionante. Ma quando vedi che la gente ti riconosce tutto diventa più facile".
-Tu parli di qualità dello spettacolo: Ma sai anche che il prodotto, di per se, non basta. In questi ultimi anni il tuo legame con il pubblico ha acquistato calore?
"Direi di no. Più che altro, ha acquistato familiarità: il calore c'era anche prima. Io guardo molto all'esperienza di Bolotana. Nel mio paese hanno sempre creduto in me: mi hanno voluto bene già in partenza, poi hanno visto che facevo qualche passo in avanti e allora l'affetto è cresciuto ed è diventato familiarità. Seppure in misura diversa, questo meccanismo vale anche per gli altri luoghi".
-Partendo dal Marghine, come si è diffusa la tua presenza nelle piazze sarde?
"Può sembrare paradossale, ma le località che ho frequentato nelle ultime stagioni sono distanti da Bolotana e dal Marghine. Ho conosciuto nuovi territori: le zone cui accennavo prima, l'Oristanese, la provincia di Sassari. Bella esperienza, non c'è dubbio, tanto che ora mi viene quasi la voglia di rivisitare i paesi della mia zona d'origine".
-Dopo l'uscita del disco curato da Piero Marras è cambiato ancora qualcosa?
"Sicuramente: Quel disco ha rappresentato un segnale forte, la svolta che la gente aspettava. E finalmente ora posso rispondere con un sorriso alla domanda più frequente degli ascoltatori, prima e dopo i concerti".
-Quale domanda?
"Hai inciso qualcosa? Questo mi chiedevano e continuano a chiedermi. Vuol dire che c'è, sempre e comunque, un'attesa di novità".
-Dalla Sardegna tu hai anche iniziato a uscire, per concerti in Italia e all'estero. Che differenza trovi, rispetto al pubblico sardo?
"Sostanzialmente sarei portata a dire: nessuna. Ma lontano dalla nostra terra noi sardi diventiamo forse ancora più sardi. La vera differenza, l'unica, è questa: da emigrati ci emozioniamo più di quanto non ci succeda nella nostra isola davanti a canzoni ormai classiche come 'Non potho riposare' o l'Ave Maria: Ma poco o nulla cambia tra la penisola e l'Europa: me ne sono resa conto confrontando gli spettacoli di Milano, Pavia e Saronno con quelli di Lione e di Amsterdan".
-A parte le doti artistiche, quale ritieni sia la virtù utile ad instaurare un buon rapporto con il pubblico delle piazze?
"Conta molto la disponibilità. Non solo sul palco, anche quando ridiscendi. Se ti danno un bambino da baciare non puoi e non devi sottrarti. Ma soprattutto vale l'umiltà, il non credere di essere diventata chissà chi. Lo diceva proprio un mio compaesano, il compianto poeta improvvisatore Costantino Longu: non bisogna mai illudersi del favore delle piazze, che è mutevole".
-Longu era molto esplicito. La caduta, precisava, può avvenire proprio quando un artista si illude di essere al vertice del successo: cantu pius in altu ti che pares pius in basciu ti che faghen rùere.
"Parole sante. Costantino Longu aveva ragione. Ne deriva che non bisogna mai montarsi la testa nemmeno nei momenti più belli".
-I concerti non si nutrono soltanto di ore trascorse sul palco. Ci sono i viaggi, speso molto lunghi. Ti pesano fisicamente?
"Oltre che per il grande caldo, l'state scorsa è stata dura anche sotto questo aspetto. Il calendario mi ha messo insieme otto serata di fila in luoghi distanti più di cento chilometri da casa mia. Per fortuna, ho un ritmo molto particolare nel rapporto tra il sonno e la veglia: riesco a dormire in macchina, senza difficoltà e a qualunque ora. In aereo lo stesso: tornando da Amsterdan ho riposato per due ore e mezza di fila".
A stemperare tutto, nei momenti di stanchezza, pensa la famiglia: Dal padre Pietrino alla madre Franca Bua, bolotanese acquisita visto che è nata a due passi, nel piccolo villaggio di Lei, da una famigli di origini oschiresi. Maria Giovanna è la primogenita e ha tre fratelli: Giuseppe 23 anni, Alberto 21 e Gabriele, un bambino di sette anni, inevitabilmente il beniamino di casa Cherchi.
Una famiglia "musicale". Il padre, da ragazzo cantava nel gruppo I Geff, una formazione rock che ebbe buona accoglienza tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta. "Avevamo molti inviti - ricorda Pietrino, che oggi ha 54 anni -. Il nostro repertorio si ispirava soprattutto ai Beatles e ai Rolling Stones". Ammonivano i nostri antenati: " Nessuno dica mai: non berrò di quest'acqua. Ne potrebbe bere quando meno se l'aspetta".

 

Quel forte legame con il paese d'origine
L'artista di Bolotana non ha mai cessato di essere grata ai compaesani

BOLOTANA. Recita il titolo dell'ultimo disco: unu frore che a tie, un fiore come te. E le similitudini floreali possono nascere più spontanee quando l'artista ha una bella presenza. La lei non ostenta, tutt'altro. E sposta l'attenzione sui compagni di scena. Nelle serate le stanno a fianco due ragazzi di Poerotorres: Garau al basso e Alessandro Canu alla batteria, il tastierista Paolo Poddighe di Sassari e il chitarrista Tore Nieddu di Loiri, un ragazzo di multiforme ingegno che quando lascia la chitarra canta oppure suona l'armonica a bocca.
"Bravissimi musicisti e ottime persone", li definisce Maria Giovanna Cherchi. " Formiamo un gruppo molto compatto. Ciascuno fa la sua parte, poi gli elogi arrivano e vengono divisi democraticamente". Il consenso del pubblico non la stordisce.
Se qualche preoccupazione c'è, una delle maggiori riguarda semmai la gratitudine verso la gente del suo paese: "Adesso tocca a me ripagare la fiducia che i miei compaesani mi hanno concesso con grande generosità e fin dal primo momento - confida -. Mi emoziono sempre, nelle piazze, perché quasi dappertutto trovo immancabilmente qualcuno di Bolotana che viene a salutarmi e mi dà coraggio. Non capita soltanto in Sardegna, mi è successo anche in Francia e nei circoli sardi della penisola".
Nelle piazze, prima e dopo i concerti, è frequente che le facciano degli omaggi. Racconta Maria Giovanna: "C'è chi mi regala fiori, chi dona quadri, chi mi fa il ritratto. Un'emozione tutta particolare mi viene dai bigliettini scritti da anziani e da bambini".
Un incantesimo a parte sono per lei certi angoli della Sardegna. Interna e non solo, che i comitati delle feste spesso scelgono come teatro dei concerti. "I luoghi talvolta sono magici, soprattutto le chiesette campestri - osserva - . Tra le località di suggestione speciale non posso dimenticare il santuario di San Gerolamo, sui monti di glassai".
Si torna alla religione e alle manifestazioni di culto. Ma da che cosa nasce questo legame particolare? "Viene da lontano e il merito è di un professore di filosofia che ho avuto al liceo pedagogico di Nuoro", spiega Maria Giovanna Cherchi. "Si chiamava Ugo Collu, è una persona straordinaria e molto conosciuta. Grazie a lui ho iniziato a interessarmi delle grandi questioni, anche quelle perenni e purtroppo irrisolte: Non dimentichiamo mai un convegno sul problema del male che si tenne ad Assisi. Su invito del professor Collu partecipai a quel convegno e li nacque l'idea di iscrivermi all'Istituto di scienze religiose".
Ma no c'è conflitto, in questa ragazza, tra testi sacri e profani. Anzi, la sua passione per le Scritture e il senso di sacralità che ne deriva le donano un nutrimento spirituale di cui non è facile misurare l'intensità. Per Maria Giovanna Cherchi sembra vicino il tempo di farlo affiorare anche nelle canzoni, questo senso sacro. Riferito al legame di cuore con la sua terra? Lei non fa proclami, ma se qualcuno ne accenna il suo volto risplende di una luce diversa.

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