BOLOTANA. Ormai è una delle presenze importanti nei
concerti delle piazze sarde. A venticinque anni, Maria Giovanna Cherchi
potrebbe anche dire - ma non lo dirà mai - che il periodo più
difficile è passato. Da quando è uscito "Unu frore
che a tie", il disco studiato per lei due anni fa da Piero Marras,
gli inviti si sono moltiplicati e la ragazzina timida dei tempi del
piano bar è diventata famosa. Vediamola da vicino, allora,
questa giovane donna che nel periodo scolastico insegna nella scuola
dell'obbligo e si appresta a discutere - all'istituto di scienze religiose
di Nuoro - una tesi di diploma sulla psicologia della religione. Un
solo esame ancora, poi il titolo che le garantirà anche un
lavoro stabile. "Già questo rappresenta un segno molto
chiaro di saggezza", apprezzano i suoi compaesani. In passato
si sarebbe detto che il canto non assicura il pane: cantatore-pedidore.
Non è più così, oggi, ma la prudenza è
sempre un bel rifugio. Parliamo di musica dunque.
-Le piazze, più dei teatri e degli studi di registrazione,
sono il banco di prova dei cantanti. Com'è cambiato il tuo
rapporto con gli ascoltatori negli spazi aperti?
"Queste ultime due stagioni sono state le più belle. Direi
le più serene. Ho lavorato con persone di grande gentilezza
e ho potuto guardare la gente con occhi diversi forse perché
anch'io ero sicura della qualità dello spettacolo che proponevo".
-A che cosa attribuisci il cambiamento?
"Il pubblico ha apprezzato la novità. Dappertutto, senza
distinzione di luoghi. Da Porto Cervo ai paesi dell'interno fino all'estremo
sud della Sardegna, a Cagliari e alla sua area metropolitana, ho trovato
dovunque un clima familiare. A volte mi è parso che bastasse
la presenza per aprire gli animi alla cordialità".
-Effetto delle tue apparizioni televisive?
"Gran parte si, non ne dubito. Me ne sono accorta da un particolare:
se portavo i capelli raccolti occorreva che me li sciogliessi, perché
il pubblico mi identificasse meglio. E questo, indubbiamente, è
un effetto della tv, un'abitudine acquisita dal pubblico".
-Chi affronta la piazza dice: ogni volta è come se fosse
la prima. Concordi?
"Il primo impatto è sempre emozionante. Ma quando vedi
che la gente ti riconosce tutto diventa più facile".
-Tu parli di qualità dello spettacolo: Ma sai anche che
il prodotto, di per se, non basta. In questi ultimi anni il tuo legame
con il pubblico ha acquistato calore?
"Direi di no. Più che altro, ha acquistato familiarità:
il calore c'era anche prima. Io guardo molto all'esperienza di Bolotana.
Nel mio paese hanno sempre creduto in me: mi hanno voluto bene già
in partenza, poi hanno visto che facevo qualche passo in avanti e
allora l'affetto è cresciuto ed è diventato familiarità.
Seppure in misura diversa, questo meccanismo vale anche per gli altri
luoghi".
-Partendo dal Marghine, come si è diffusa la tua presenza
nelle piazze sarde?
"Può sembrare paradossale, ma le località che ho
frequentato nelle ultime stagioni sono distanti da Bolotana e dal
Marghine. Ho conosciuto nuovi territori: le zone cui accennavo prima,
l'Oristanese, la provincia di Sassari. Bella esperienza, non c'è
dubbio, tanto che ora mi viene quasi la voglia di rivisitare i paesi
della mia zona d'origine".
-Dopo l'uscita del disco curato da Piero Marras è cambiato
ancora qualcosa?
"Sicuramente: Quel disco ha rappresentato un segnale forte, la
svolta che la gente aspettava. E finalmente ora posso rispondere con
un sorriso alla domanda più frequente degli ascoltatori, prima
e dopo i concerti".
-Quale domanda?
"Hai inciso qualcosa? Questo mi chiedevano e continuano a chiedermi.
Vuol dire che c'è, sempre e comunque, un'attesa di novità".
-Dalla Sardegna tu hai anche iniziato a uscire, per concerti in
Italia e all'estero. Che differenza trovi, rispetto al pubblico sardo?
"Sostanzialmente sarei portata a dire: nessuna. Ma lontano dalla
nostra terra noi sardi diventiamo forse ancora più sardi. La
vera differenza, l'unica, è questa: da emigrati ci emozioniamo
più di quanto non ci succeda nella nostra isola davanti a canzoni
ormai classiche come 'Non potho riposare' o l'Ave Maria: Ma poco o
nulla cambia tra la penisola e l'Europa: me ne sono resa conto confrontando
gli spettacoli di Milano, Pavia e Saronno con quelli di Lione e di
Amsterdan".
-A parte le doti artistiche, quale ritieni sia la virtù
utile ad instaurare un buon rapporto con il pubblico delle piazze?
"Conta molto la disponibilità. Non solo sul palco, anche
quando ridiscendi. Se ti danno un bambino da baciare non puoi e non
devi sottrarti. Ma soprattutto vale l'umiltà, il non credere
di essere diventata chissà chi. Lo diceva proprio un mio compaesano,
il compianto poeta improvvisatore Costantino Longu: non bisogna mai
illudersi del favore delle piazze, che è mutevole".
-Longu era molto esplicito. La caduta, precisava, può avvenire
proprio quando un artista si illude di essere al vertice del successo:
cantu pius in altu ti che pares pius in basciu ti che faghen rùere.
"Parole sante. Costantino Longu aveva ragione. Ne deriva che
non bisogna mai montarsi la testa nemmeno nei momenti più belli".
-I concerti non si nutrono soltanto di ore trascorse sul palco.
Ci sono i viaggi, speso molto lunghi. Ti pesano fisicamente?
"Oltre che per il grande caldo, l'state scorsa è stata
dura anche sotto questo aspetto. Il calendario mi ha messo insieme
otto serata di fila in luoghi distanti più di cento chilometri
da casa mia. Per fortuna, ho un ritmo molto particolare nel rapporto
tra il sonno e la veglia: riesco a dormire in macchina, senza difficoltà
e a qualunque ora. In aereo lo stesso: tornando da Amsterdan ho riposato
per due ore e mezza di fila".
A stemperare tutto, nei momenti di stanchezza, pensa la famiglia:
Dal padre Pietrino alla madre Franca Bua, bolotanese acquisita visto
che è nata a due passi, nel piccolo villaggio di Lei, da una
famigli di origini oschiresi. Maria Giovanna è la primogenita
e ha tre fratelli: Giuseppe 23 anni, Alberto 21 e Gabriele, un bambino
di sette anni, inevitabilmente il beniamino di casa Cherchi.
Una famiglia "musicale". Il padre, da ragazzo cantava nel
gruppo I Geff, una formazione rock che ebbe buona accoglienza tra
la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta. "Avevamo
molti inviti - ricorda Pietrino, che oggi ha 54 anni -. Il nostro
repertorio si ispirava soprattutto ai Beatles e ai Rolling Stones".
Ammonivano i nostri antenati: " Nessuno dica mai: non berrò
di quest'acqua. Ne potrebbe bere quando meno se l'aspetta".
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BOLOTANA.
Recita il titolo dell'ultimo disco: unu frore che a tie, un fiore
come te. E le similitudini floreali possono nascere più spontanee
quando l'artista ha una bella presenza. La lei non ostenta, tutt'altro.
E sposta l'attenzione sui compagni di scena. Nelle serate le stanno
a fianco due ragazzi di Poerotorres: Garau al basso e Alessandro Canu
alla batteria, il tastierista Paolo Poddighe di Sassari e il chitarrista
Tore Nieddu di Loiri, un ragazzo di multiforme ingegno che quando
lascia la chitarra canta oppure suona l'armonica a bocca.
"Bravissimi musicisti e ottime persone", li definisce Maria
Giovanna Cherchi. " Formiamo un gruppo molto compatto. Ciascuno
fa la sua parte, poi gli elogi arrivano e vengono divisi democraticamente".
Il consenso del pubblico non la stordisce.
Se qualche preoccupazione c'è, una delle maggiori riguarda
semmai la gratitudine verso la gente del suo paese: "Adesso tocca
a me ripagare la fiducia che i miei compaesani mi hanno concesso con
grande generosità e fin dal primo momento - confida -. Mi emoziono
sempre, nelle piazze, perché quasi dappertutto trovo immancabilmente
qualcuno di Bolotana che viene a salutarmi e mi dà coraggio.
Non capita soltanto in Sardegna, mi è successo anche in Francia
e nei circoli sardi della penisola".
Nelle piazze, prima e dopo i concerti, è frequente che le facciano
degli omaggi. Racconta Maria Giovanna: "C'è chi mi regala
fiori, chi dona quadri, chi mi fa il ritratto. Un'emozione tutta particolare
mi viene dai bigliettini scritti da anziani e da bambini".
Un incantesimo a parte sono per lei certi angoli della Sardegna. Interna
e non solo, che i comitati delle feste spesso scelgono come teatro
dei concerti. "I luoghi talvolta sono magici, soprattutto le
chiesette campestri - osserva - . Tra le località di suggestione
speciale non posso dimenticare il santuario di San Gerolamo, sui monti
di glassai".
Si torna alla religione e alle manifestazioni di culto. Ma da che
cosa nasce questo legame particolare? "Viene da lontano e il
merito è di un professore di filosofia che ho avuto al liceo
pedagogico di Nuoro", spiega Maria Giovanna Cherchi. "Si
chiamava Ugo Collu, è una persona straordinaria e molto conosciuta.
Grazie a lui ho iniziato a interessarmi delle grandi questioni, anche
quelle perenni e purtroppo irrisolte: Non dimentichiamo mai un convegno
sul problema del male che si tenne ad Assisi. Su invito del professor
Collu partecipai a quel convegno e li nacque l'idea di iscrivermi
all'Istituto di scienze religiose".
Ma no c'è conflitto, in questa ragazza, tra testi sacri e profani.
Anzi, la sua passione per le Scritture e il senso di sacralità
che ne deriva le donano un nutrimento spirituale di cui non è
facile misurare l'intensità. Per Maria Giovanna Cherchi sembra
vicino il tempo di farlo affiorare anche nelle canzoni, questo senso
sacro. Riferito al legame di cuore con la sua terra? Lei non fa proclami,
ma se qualcuno ne accenna il suo volto risplende di una luce diversa.
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