La me’
casa antica
1
Dugna ’olta chi tòrru, cas’antìca, 6-10
m’ accendi in córi rinnuàtu affèttu, 4-8-10
ch’ a visittatti spèssu più m’ubbrìca
4-7-10
macari ’ècchja e di cadènti aspèttu. 4-8-10
Sé’ calchi cosa piùche un’amìca,
4-6-8-10
guasi una màmma, pa’ sàcru rispèttu, 4-7-10
chi mi lìani affèttu – 1e
sintimèntu 3-6-10
pa’ ca’ c’è natu ed è crisciutu ’n
drentu. 1-2-3-4-6-8-10
2
Eu m’ammentu – còm’éri una ’òlta,
4-7-10
primma d’aétti bàbbu trasfulmàta: 6-10
tre stànzi mànni in fìla; còsa ’mpòlta
2-4-6-8-10
sidd’ éri rùzza e màl’allìniàta:
6-10
fatta currènti cu’ la trài-tòlta 4-8-10
e la téula sciòlta, – apptricàta; 6-10
niéadda , affumicàta; – lu fuchìli 2 :
6-10
mancu apparènza di càsa zivìli. 4-7-10
3
Éra lu stili – di pùaltài 3, 4-8-10
ma palpitànti di calóri umànu, 4-8-10
fatt’ a misùra d’ospitàlitài: 4-8-10
ispaziosa sémprici, a la mànu; 6-10
abbalt’ a tùtti illa nizzìssitài, 4-8-10
comu ’insignàa sènsu cristiànu. 6-10
Illu tèmpu tirànu – amaru e trìstu 4 6-10
canta gjènti hai accòltu e datu assìstu. 6-10
.4
Cantu facci hai ’ìstu diffarènti, 6-10
tu , muta tistimògna centenària, 6-10
da candu t’hani fàttu anticamènti 6-10
tra l’uddastri e li lìcci sulitària; 6-10
facci e vicèndi di mudèsta gjènti, 6-10
cunfusi in una stória precària. 6-10
Tu sé’ dipusitària – di tùttu: 6-10
nàsciti , innimistài, amóri e lùttu
5
Chici, suttu - a la trài, a car’a fùmu, 6-10
in gjru a lu fuchìli li maggjóri, 6-10
tutti auniti, còmu era custùmu, 6-10
cuntrastendi staggjìani óri e óri, 6-10
rilchjarati da trémulu barlùnu 6-10
di candéla o di fócu móri móri, 6-10
culmi di bonumóri – e sudisfàtti 6-10
di tantu pòcu filìcci e cumpàtti. 4-7-10
6
Tutti li fatti – e tùtti li f accèndi 6-10
tu polti in drèntu di lu tèmpu antìcu: 4-6-10
figuri di passòni calcichèndi 6-10
listincu còttu o pulghèndi lu tricu; 4 -7-10
femini a notti intréi zappulèndi 6-10
o fendi pàni in amurósu ubbrìcu; 4-8-10
a lu tilaggju amìcu – cànta cànta 6-10
o riunìti in prighièra sànta. 4-8-10
7
Canta – stória sémprici e mudèsta 6-10
teni rinchjùsa in risèrbu prufùndu. 4-7-10
Non manca calchi stória funèsta, 6-10
(so fatti chi suzzédini illu mùndu), 6-10
ma suprattuttu pàci, amóri e fèsta, 6-10
canti , soni, baddìttu e baddu tùndu. 6-10
Palchì tandu lu mùndu – éra cuncòldu
6-10
bastâa a diiltìssi calchi sòldu. 6-10
8
Si da dugna ricòldu – ch’ai in drèntu, 6-10
vissutu in tèmpi pïu dùri màli 4-8-10
tu podaristi fà un tistamèntu, 6-10
pa’ lu mundu mudèrnu (l’attuàli), 6-10
selvarìa di gràndi insignamèntu, 6-10
suprattuttu a cal’è nascendi abàli, 6-10
a ca’ s’è fendi màli – da parèddu
6-10
ch’è guastendi un mùndu cussì bèddu.
6-10
9
Meddu – chi no’ intènghi e no’ faéddi,
6-10
dacchi no’ è cunzèssa la tò’ sgiàmina:
6-10
in un mundu di crònachi niéddi 6-10
ch’ incùtini tarróri illa disànimina. 6-10
Resta com’éri cu’ li tò’ cuséddi,
4-8-10
pal me com’àggj un córi e àggj un’àmina.
4-8-10
6 Pal me tu sé’ asìlu di
cunfòltu 6-10
e no ti lassu fin’a esse mòltu. 6-10
E no ti làssu si nò’ mi castica
lu Signóri pal càntu campu a gjèttu.
dugna , ’olta ch torru, casa antica,
m’accendi in córi rinnuatu affettu.
6 Nota relativa agli accenti tonici e fonici.
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La mia casa
antica
1
Ogni volta che torno, casa antica,
m’ accendi in cuore rinnovato affetto,
che a visitarti più spesso mi obbliga,
magari vècchia e di cadènte aspetto.
Sei qualche cosa meglio d’un’amica,
quasi una madre per sacro rispètto,
ché amore mi lèggano affetto e sentimento
per chi è nato e cresciuto c’è qui dentro
2
Io rammento com’eri una volta,
prima d’averti babbo trasformata:
tre stanze grandi a schiera; cosa importa
s’ eri rustica e male allineata:
tetto con assicelle e trave di legno;
le tegole fissate con le pietre;
nera , fuligginosa, il focolare:
manco parvenza di casa civile.
3
Era lo stile della povertà,
ma palpitante di calore umano,
costruita a misura d’ospitalità:
spaziosa, sèmplice, alla mano,
aperta a tutti nella necessità,
come insegnava il senso cristiano.
Nel tempo tiranno, amaro e tristo
quanta gente hai accolto .
4
Quante facce hai visto diverse,
tu , muta testimone secolare
Da quando t’hanno costruita anticamente
tra gli olivastri e lecci secolari
facce e vicende di modesta gente
confuse in una storia precaria:
Tu sei depositaria di tutto:
nascite , faide, amori e lutto.
5
Qui, sotto alla trave, esposti al fumo,
intorno al focolare, gli antenati
tutti riniti com’era consuetudine,
conversando restavano ore e ore,
rischiarati da tremulo barlume
di candela o di fuoco affievolito,
colmi di buon umore e soddisfatti
di tanto poco felici e solidali.
6
Tutti i fatti e tutte le faccende
tu porti dentro te, del tempo antico
immagini di persone che pigiano
bacche di lentisco cotto o che vagliano grano
donne tutta la notte rattoppando
o impastando pane in amoroso impegno
al telaio amico canterellando
o riuniti in preghiera santa
7
Quante storie semplici e modeste
tieni chiuse in riserbo profondo.
Non manca qualche storia funesta,
son fatti che succedono nel mondo,
ma , soprattutto, pace, amore, festa,
canti , sonate, “balletto” e “ballo tondo”.
Perché allora la gente era concorde:
per divertirsi bastava qualche soldo.
8
Se da ogni ricordo che custodisci dentro,
vissuto nei tempi più duri e cattivi,
tu potresti fare un testamento
per il mondo moderno (l’attuale),
servirebbe di grande insegnamento,
soprattutto per quanti nascono oggi,
per quanti si fan male loro stessi:
che rovinano un mondo così bello.
9
Meglio è che tu non senta e non favelli
poiché non ti concessa la disamina,
in questo mondo di cronache nere,
che incutono terrore nella disamina
resta com eri con le tue cosette
per me è come se tu avessi cuore e anima.
Per me tu sei asilo di conforto
e non ti lascio finché non sarò morto.
E non ti lascio finché non mi castiga
il Signore finché sarò vicino,
ogni volta che torno, casa antica,
m’ accendi in cuore rinnovato affetto.
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1
Le edizioni originali delle canzoni galluresi, e poche altre campidanesi,
rispettavano il collegamento armonico tra il passaggio da un sistema
di rime a un altro in seno a una stessa strofa e tra la fine della
strofa precedente e l’inizio della strofa successiva. Tale concatenazione
corrisponde alla catena (o monile) della poesia italiana, vedi pagina
117 del mio libro “Poesia e Poesie”, stampato nel giugno
1995. Le edizioni originarie delle canzoni di Gavino Pes, dei poeti
contemporanei, nonché di quelli immediatamente successivi,
mettevano subito dopo la parola chiave della catena un trattino –
forse per ragioni mnemoniche. Sì, perché la funzione
della catena, soprattutto in Gallura, oltre che per ragioni di stile
e d’armonia, era dettata per una esigenza fondamentale dei cantori.
Questi potevano essere, soprattutto se avevano una bella voce, cantautori,
cioè autore e cantore della o delle canzoni da cantare. Gli
uni e gli altri dovevano possedere un bel canto e una memoria di ferro.
Essi nelle lunghe notti invernali o durante le svariate cerimonie
diurne allietavano con le canzoni dei proprio repertorio, di solito
superlativamente nutrito, le ore dei numerosi ascoltatori. Vi erano
poeti e cantori che conoscevano a memoria centinaia e centinaia di
canzoni e qualcuno anche qualche migliaio. Le canzoni allora non erano
sintetiche, in modo particolare le canzoni in ottave di endecasillabi
erano lunghissime. Poi vi erano composizioni che avevano tutti i requisiti
per essere chiamati veri poemi. “Lu Contu Anticu” di Sebastiano
Sanna, una composizione di 277 ottave, pari a 2218 endecasillabi.
Più che un poema, si potrebbe definire un romanzo in versi.
Un ragazzo conosceva l’opera interamente a memoria, verso per
verso senza mai sbagliarne uno: per cantarla occorrevano serate e
serate. Era merito di un’ottima memoria, ma pure della catena.
2 La parola gallurese fuchili, esistente nella casa antica, impropriamente
tradotto da me con la parola italiana focolare, non è solo,
come si legge in alcuni dizionari, il pavimento del camino e anche
la casa stessa, inclusa la famiglia, intesi nel senso polisemico e
per sineddoche, la parte per il tutto, si intendeva, nel nostro caso,
anche quello sistemato al centro di la casa manna, che era il vano
più ampio al centro delle case a schiera. Fuchili era ed è
inteso quando l’impianto era in funzione, cioè quando
vi era il fuoco. L’impianto stesso era un pavimento di argilla,
l’alzidda in gallurese, privo di cappa, di canna fumaria e di
comignolo. Aveva forma ovoidale; era molto largo, onde sistemare,
all’occorrenza, un cerchio di persone, il più ampio possibile
tutti intorno per riscaldarsi al fuoco. Il pavimento tutto in giro
era limitato da un bordino tondeggiante alto cinque centimetri. Nella
zidda si accendeva il fuoco per riscaldamento, per cucinare piatti
in brodo, arrosto, focacce e caldarroste sotto brace e cenere roventi,
per mantecare nei paioli appositi polenta e nei paioli giganti per
riscaldare o bollire latte . L’impianto la zidda detto così
per sincope della l’
3 Il primo verso della terza strofa, per un errore mio o di stampa,
ritmicamente, non è un endecasillabo. Anche se è vero
che il celeberrimum camen, come Dante ha definito l’endecasillabo
per la sua smisurata molteplicità ritmica ed armonica, tanto
che molti metricisti lo hanno somigliato a una sinfonia. È
anche vero, però, che molte sillabe, per natura o posizione
sono assolutamente atone, per cui è precluso l’accento
grafico e fisiologico. Pure vero è che in una sola parola possono
esservi varie cadenze toniche e foniche. Osserviamo ora come, questa
unica parola, sia pure la più lunga o fra le più lunghe
delle parole italiane, costituisca uno dei più perfetti endecasillabi.
Prendiamo questa parola dal proverbiale distico del Poeta...Chi tròppo
in àlto sàl cade sovènte/ precípitévolíssimévolménte.
Si noti come le sillabe foniche di quest’ultimo verso coincidono
simultaneamente con le sillabe toniche e si alternano simmetricamente
con le sillabe atone. Le sillabe foniche prendono tutte i segnaccenti
acuti. Sono gorgheggi e trilli modulati dall’ugola d’oro
di una incantevole soprano, mentre gli accenti tonici sono potenti
battute: bronzei do di petto e acuti di un virtuoso tenore. Nel loro
complesso sono note, accordi, melodie e armonie, all’unisono
col pulsare dei cuori di quanti amano svisceratamente la musica.
4 La parola gallurese tristu è polisemica: significa triste
e tristo, in questo verso significa tristo.
5 Qui la concordanza della catena si ha con l’anafora: vedi
pagine 92 e 117 del libro.
6 Distinzione tra accento tonico e accento fonico. Il primo segna
il ritmo, la battuta, il tempo, la percussione forte nella sequenza
metrica. Il secondo è un fenomeno di natura fonematica e prosodica.
Consiste principalmente sul timbro, sull’altezza, sull’intensità,
sulla durata e sull’intonazione dei suoni .
* La notazione degli accenti primari e secondari, riportata in colonna
sotto l’asterisco e a fianco a ogni endecasillabo della canzone
gallurese, non vuole essere un saggio didascalico di metrica, di prosodia
di figure retoriche e grammaticali per i poeti, ma per i principianti.
I poeti, tecnicamente o ad orecchio, conoscono molto bene cadenza,
armonia e stile e non hanno niente da imparare.
Ai principianti, solo a quelli che sono, potenzialmente poeti, e si
conoscono di primo acchito, queste cose, che possono sembrare insulsa
pedanteria, servono e come! Per gli altri non servono.
Nelle pagine 22, 23 e 24 del mio libro Poesia e Poesie ho accennato
alla complessità dell’endecasillabo rispetto alla sua
armonia che si rinnova secondo il formarsi di nuove combinazioni degli
accenti. Siamo abituati a considerare gli endecasillabi solo su due
schemi metrici: l’a maiore e l’a minore: il primo con
ictus primario sulla 10a e secondario sulla 6a ; il secondo, anche
questo con l’accento primario fisso sulla 10a ; i secondari
sulla 4a e sulla 8a o sulla 4a e sulla 7a .Quest’ultimo è
poco usato. Ora siamo abituati, come accennato, a considerare l’endecasillabo
solo sotto questi parametri. Occorrerebbe andare più in profondità
per valutare a pieno il verso che Dante definì “ celeberrimum
carmen” e che molti metricisti lo somigliarono a una sinfonia.
In questo esempio sono stati raffrontati tutti gli endecasillabi della
canzone la me’ casa antica e sottolineato sillabe forti e semiforti,
sono state alternate sillabe toniche e atone.
Vi sono i giochi di elementi fonematici della prosodia che vengono
determinati da fenomeni naturali espressivi i cosiddetti tratti segmentali
e soprasegmentali. I fenomeni prosodici sono il timbro dei suoni,
l’altezza, l’intensità, la durata e soprattutto
l’intonazione.
Nel significato di una volta la prosodia era lo studio delle regole
metriche specialmente greche e latine. Oggi secondo la linguistica
e la semiotica attuali i fenomeni prosodici costituiscono la base
naturale e strutturale, dello stile e dell’armonia e, nella
canzone sarda, pure le regole della metrica, ma queste sono imparentate,
sia pure vagamente, alla metrica classica greca e latina.
Ciò perché nel canto, dato che la canzone è canto,
per cui le sillabe corrispondono ad altrettante note musicali e ai
relativi valori quantitativi. Le sillabe, sottolineo di una canzone
sarda, come le note musicali, sistemate in unico pentagramma ideale
sono seguite da pause aventi ognuna il relativo valore quantitativo.
Quindi sillabe e note, prese in una sequenza di unità separate
o di un insieme sincronico formano rispettivamente accordi melodici
o armonici.
Per finire vorrei dire quanto segue. Secondo me nessun poeta imbastisce
una poesia dall’inizio con tutte le regole metriche, retoriche
e quanto abbiamo visto fin qui, come fa un sarto rispettando punto
per punto millimetro per millimetro rigorosamente in base a tutte
le dimensioni e le fattezze corporee del proprio cliente. Ciò
è come dire: qui ci metto un’ iperbole, un’ anafora,
una sineddoche, un’ allegoria una metafora,un’ similitudine
e così via. Sarebbe assurdo e inutile. La poesia non è
un oggetto inanimato. È una creatura viva che nasce spontanea
spesso di botto dalle viscere materne, ereditando quanto è
maturato a monte nella catena della progenie genealogica come le cognizioni
maturano in tempi brevi o lunghi e vengono assimilati in questa piccola
grandiosa centrale fisica che è il nostro cervello, talvolta
in un’intera vita.
Quanto su esposto non vuole essere una premessa scoraggiante per chi
si affaccia da poco al mondo incantevole della poesia , anzi è
il contrario. Ho conosciuto giovani che erano letteralmente digiuni
delle relative norme tecniche, i quali nel giro di due o tre anni
hanno raggiunto livelli sbalorditivi.
Ho conosciuto poeti virtuosi anziani verso i quali mi sembra riduttivo
ed offensivo chiamare illetterati. Il cui vero significato di questi
ultimi corrisponde a quanti non sanno né leggere né
scrivere, che, chi ha una cultura insufficiente Letteralmente la stessa
parola sembrerebbe il contrario di letterati, ma di non letterati
ce n’erano e ce ne sono molti. Non sono letterati, ma non solo
sanno leggere e scrivere, ma possono essere, medici, matematici o
scienziati. Questi poeti prodigiosi che ho conosciuto, alcuni di persona,
altri attraverso le loro opere, tra cui Melchiorre Murenu, Barore
Sassu, Matteo Pirina, Pètru Alluttu e altri. Su questi prodigi
della natura ho riflettuto provando anche rabbia, pensando al fatto
che questi non siano nati oggi: sarebbero stati grandiosi personaggi
da immortalare. A differenza della creatura umana la poesia appena
nasce si corregge, si lima, quell’altra si cura, si educa, ma
quasi sempre non basta tutta una vita.
Giacomo Murrighili. |