Mi trovo ancora a Bonorva, e, vedendo i luoghi della mia infanzia,
non posso fare a meno di ricordare come, intorno agli anni 50, malgrado
le difficoltà oggettive del dopoguerra, Bonorva, con i suoi
8000 abitanti, godesse di una posizione notevole nel territorio circostante,
grazie anche ai numerosi servizi pubblici che poteva offrire alla
cittadinanza, essendo dotata di strutture sanitarie e sociali come
l’ospedale Giuseppe Manai, farmacie, asilo infantile, orfanatrofio
femminile, ospizio per gli anziani, stazione dei carabinieri, la pretura,
banche, posta, stazione ferroviaria e linee di collegamento su gomma.
Tuttavia soffriva per una gravissima deficienza, la mancanza della
struttura pubblica più importante in assoluto: la Scuola.
Stante la numerosa popolazione di giovani e giovanissimi, l’offerta
scolastica era limitata alla sola scuola elementare per cui i ragazzi
andavano a Macomer per le scuole medie e gli istituti tecnici e a
Sassari per i licei e l’università. La maggioranza dei
ragazzi, come è facile intuire, interrompeva gli studi al solo
conseguimento della licenza elementare.
Inoltre, il paese era totalmente sprovvisto di strutture ricreative
tanto che le uniche occasioni di svago erano date dalle feste paesane
o da salette da ballo improvvisate da qualche gruppetto musicale come
quello dei fratelli Sechi (Laddarosu) o i fratelli Pintore (S’Ebba
tzega).
Così che giovani e meno giovani affollavano i numerosi tzilleris
esistenti e passavano il tempo giocando a carte e bevendo vino tanto
che molti cadevano nella trappola deleteria dell’alcolismo,
per cui non era raro vedere per le vie del paese, specialmente nei
giorni festivi, numerose persone camminare barcollanti a causa dell’abuso
sconsiderato di bevande alcoliche.
In quel tempo un personaggio era conosciuto col soprannome di Sa Caccia
Moresa, uomo dedito al vino e spesso oggetto di risa e sberleffi anche
cattivi da parte di bande di nullafacenti della nostra cittadina.
Desidero qui presentare uno spaccato della realtà del paese
anziché descriverne una condizione idilliaca come fecero altri
illustri cittadini come Angelo Dettori e Nannino Marchetti, i quali
dedicarono delle poesie a Bonorva, vista più con gli occhi
del cuore che con freddo raziocinio.
Mentre dichiaro il massimo rispetto per le persone vittime di questo
terribile vizio, manifesto la mia totale avversione all’uso
eccessivo di sostanze alcoliche.
Sa caccia Moresa
“Oop atterrat Sa
Caccia a serigheddu”
e brinchende sas duras iscalinas
nd’essit dae su tzilleri ‘e frades Brinas (*)
e tuccat muru muru dae Mundeddu.
Tragat quartos de ‘inu
nieddu
e cun ancas a rughe mesulinas
traessat de piatta sas banchinas
e si ch’istrampat in su ‘e Nicheddu:
“Po...pone a bier
(°) a sa Caccia moresa,
pa…pago deo cando nd’apo gana,
chie no buffat mi faghet offesa.
Pista a Sa Caccia Zente
pagu sana…”
Leat su ‘olu e colpat cun lestresa
sos mutzighiles a sa tramajana.
(*) Tzilleri ubicato nel corso Umberto, dove successivamente esercitava
il ristorante ‘Sa Cozziglia’
Da Mundeddu, altro tzilleri a fianco del bar Tisel sulla piazza. Su
‘e Nicheddu, tzilleri di fronte al Tisel sul lato opposto della
piazza.
(°) Bier = bere. Il verbo può essere confuso con ‘bier’
vedere. Ma più correttamente il primo dovrebbe essere Bibere
e il secondo Bidere. L’elisione della b e della d porta a questa
confusione.
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