Di Madre

Di madre s'apprende il tatto
Il timbro dei suoi fianchi
Su perimetri al fiato dell'istinto
Linee e curve
Nutrite già di pianto
Sfasando caos e accenti di frontiere.

S'apprende battito sbocciato
Frugando labbra e lune assenti
Per farne ascolto
Fra talco e fasci
Imbevuti a suoni muti.
E il Fiuto allo sfinirli
Per farne meta viva.

Di madre s'apprende il canto
E il non bastare su notti spesse d'ansia
Dure come briciole
Fra palpebre sfiancate.

S'apprende il senso che cerca e mai si scova
Rosolato nel ricercare all'infinito
Quel che già c'è, eppure
Schiva vanto.

Di madre s'apprende artiglio
Neon screziato
Volto a finestre chiuse
Su lamenti sopiti a gelo degli inverni.
Corolle e steli di stupori a briglia sciolta
Su tele nude in pasto ad ingegno da incitare.

Di madre s'apprende angoscia
Di grida scandite come rosari.
Invidie annidate su occhi a parte.
E vagito di lupa
Striato a sfascio
Di quel che fu
Su ventagli aperti
Chiusi a croce in un istante.

Di madre s'apprende il cuore
La falda eterna che si corona
Al primo cenno
Dietro motivi stranieri ai casi.

Di madre s'apprende il nome
E il non bastare sangue a darle ode
Il tramonto del suo volto
Lasciandone memoria che non muore.

Marina Minet

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