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A Monza una “Die”
sarda in Lombardia in onore di Carlo Cattaneo
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Sabato 7
e domenica 8 maggio i venti Circoli sardi della FASI (Federazione delle
Associazioni Sarde in Italia) appartenenti alla Circoscrizione Lombardia
hanno celebrato per l’ottavo anno consecutivo "Sa Die de sa
Sardigna", la festa del popolo sardo. Tra le diverse iniziative è
stato anche organizzato, nella mattinata di domenica, presso il teatro
Villoresi, un convegno su “Carlo Cattaneo, Giovanni Battista Tuveri
e il pensiero federalista, con particolare riguardo alla Sardegna”.
Dopo i saluti ( del presidente del circolo sardo di Monza, Salvatore Carta;
del coordinatore dei Circoli FASI della Lombardia, Antonello Argiolas;
del sindaco di Monza, Marco Maria Mariani; dell’assessore al turismo,
Andrea Arbizzoni; del vicepresidente vicario della FASI, Serafina Mascia)
sono seguite le relazioni di Stefano Pira, storico, docente di Storia
contemporanea e di Storia della Sardegna presso l’Università
di Cagliari, e di Paolo Pulina, giornalista pubblicista, responsabile
Informazione della FASI. Qui di seguito pubblichiamo l’ampia relazione
di quest’ultimo.
Desidero
innanzitutto esprimere la mia soddisfazione personale per il fatto che
la Circoscrizione dei Circoli FASI della regione Lombardia ha accolto
il mio invito a ricordare quest’anno, nell’appuntamento ufficiale
per la celebrazione de “Sa Die de sa Sardigna”, Carlo Cattaneo.
Dopo la manifestazione tenuta nel 2010 a Cinisello Balsamo e in vista
dell’appuntamento 2011 a Monza che oggi felicemente si concretizza
mi era capitato di argomentare in questo modo.
Carlo Cattaneo (luogo di nascita per il momento in sospeso, 15 giugno
1801 - Castagnola, vicino a Lugano, Svizzera, 6 febbraio 1869), padre
del federalismo, è una figura storica simbolo che può fungere
da trait d’union fra due riflessioni d’impronta regionale
e regionalistica: quella lombarda e quella sarda.
È giusto che i sardi valorizzino le “positive” riflessioni
del lombardo Cattaneo sulla Sardegna. Egli ha scritto, infatti, diversi
saggi sull’isola:
“Di varie opere sulla Sardegna”, Milano, “Il Politecnico”,
1841 (il lungo scritto prende spunto da ponderosi lavori di autorevoli
studiosi della Sardegna: il generale Alberto Ferrero della Marmora, geografo
e archeologo; il barone Giuseppe Manno, storico; il cavalier Pietro Martini,
biografo dei personaggi illustri; il canonico Giovanni Spano, linguista).
“Semplice proposta per un miglioramento generale dell’isola
di Sardegna, “Il Politecnico”, 1860;
“Un primo atto di giustizia verso la Sardegna”, “Il
Politecnico”, 1862.
In particolare, in quest’ultimo saggio, Cattaneo ha sostenuto la
necessità di “una Sardegna libera, florida e contenta”
in cui “per operare prodigi, basta sciogliere la terra dai barbari
vincoli” [si tratta degli ademprivi, cioè dei beni di uso
comune, generalmente fondi rustici di variabile estensione, su cui la
popolazione poteva comunitariamente esercitare diritto di sfruttamento,
ad esempio per legnatico, macchiatico, ghiandatico o pascolo] lasciando
“le rimanenti sollecitudini ai consigli provinciali e municipali”.
A ragione lo storico inglese Denis Mack Smith ha scritto che “Cattaneo
era di gran lunga meglio informato di Cavour sulla situazione delle altre
regioni italiane, per esempio della Sardegna”. Aggiunge Mack Smith:
“Cavour non visitò mai neppure la Sardegna, per quanto fosse
stato spesso sollecitato a farlo; un viaggio nell’isola gli avrebbe
forse fatto intuire ciò che avrebbe poi scoperto a Napoli. La Sardegna
faceva parte del Regno e all’epoca era governata da Torino già
da cento anni”.
Come sappiamo, Cavour preferiva far seguire le questioni della Sardegna
dal fratello maggiore Gustavo Benso marchese di Cavour: a lui, per esempio,
nel 1858 venne affidato lo studio di un disegno di legge per la trasformazione
in proprietà dei diritti d'uso sui beni feudali in Sardegna.
Ma veniamo ai nostri tempi. In molti dibattiti organizzati in questi ultimi
anni dai circoli sardi in Lombardia i rappresentanti delle istituzioni
lombarde (Regione, Province, Comuni) hanno rivendicato con orgoglio l’attenzione
che nelle sue ricerche il loro illustre corregionale ha riservato alla
Sardegna con l’intenzione di indicare vie concrete per lo sviluppo
economico e sociale dell’isola.
Anche nel 2010, nella mattinata di domenica 2 maggio, a Cinisello Balsamo,
in occasione della settima edizione de “Sa Die de sa Sardigna”,
nel dibattito che si è svolto sul tema “Dal Regno di Sardegna
all’Unità d’Italia”, il nome di Cattaneo insieme
a quello di Mazzini è risuonato nella splendida “Sala dei
Paesaggi” di Villa Ghirlanda negli interventi dei relatori (Salvatore
Cubeddu, sociologo e storico; Luciano Fasano, Assessore alla Cultura del
Comune di Cinisello Balsamo, ma anche docente di Scienza politica presso
l’Università degli Studi di Milano; Fabio Altitonante, Assessore
al Territorio della Provincia di Milano, con una laurea al Politecnico
in Ingegneria Gestionale, quindi con una formazione che potremmo definire
di tipica impronta “cattaneana”).
Esprimevo perciò l’auspicio che nel 2011 fosse possibile
commemorare Carlo Cattaneo nella ricorrenza dei 210 anni dalla nascita
dedicandogli “Sa Die de Sa Sardigna” del 2011 in Lombardia,
nella tappa prevista a Monza. Ero e resto convinto che l’approfondimento
del pensiero federalista di Carlo Cattaneo in generale e in particolare
della prefigurata applicazione di esso al caso della Sardegna può
utilmente arricchire il dibattito in corso sui 150 anni dell’Unità
d’Italia e in particolare sul secolo e mezzo di vita “unitaria”
della Sardegna.
Una buona lettura propedeutica è costituita da alcuni volumi che
citerò tra un attimo.
Non credo, in generale, che in occasioni come queste sia necessario giustificare
la scelta di dare indicazioni bibliografiche (sono dell’opinione
infatti che la lettura dei testi non dovrebbe essere delegata ai soli
specialisti; nelle biblioteche dei circoli sardi – non solo della
Lombardia, evidentemente – ci sono volumi preziosi che aspettano
solo di essere consultati, sfogliati e magari letti…). Inoltre,
nel caso di Carlo Cattaneo, è giusto sottolineare che questo scrittore,
che pure è stato anche un fervente uomo politico, era interessato
ad avere non tanti elettori ma molti lettori dei suoi saggi e dei suoi
articoli. Perciò, leggiamole direttamente queste sue pagine dedicate
alla Sardegna. Sono scritte a metà Ottocento ma in uno stile moderno,
tutt’altro che retorico e ampolloso: uno stile che potremmo chiamare
“amichevole” perché non mette in difficoltà
o in soggezione neanche il lettore di oggi.
Vi cito in ordine cronologico di pubblicazione e vi faccio anche vedere
questi tre volumi “tascabili” che raccomando all’attenzione
di ciascuno di voi.
1) “La terza Irlanda. Gli scritti sulla Sardegna di Carlo Cattaneo
e Giuseppe Mazzini”, a cura di Francesco Cheratzu; Cagliari, Condaghes,
1995;
2) Carlo Cattaneo, “Geografia e storia della Sardegna”, a
cura di Carlo Carlino, introduzione di Gian Giacomo Ortu, Roma, Donzelli,
1996;
3) “Della Sardegna antica e moderna”, con 56 lettere intercorse
tra lo studioso e i suoi corrispondenti sardi; a cura di Assunta Trova,
Nuoro, Ilisso, novembre 2010.
La prima opera che vi ho citato si raccomanda per l’ampia introduzione,
scritta da Martin Clark, docente di Storia contemporanea nell’Università
di Edimburgo, in cui viene messo in luce il ruolo che ebbe Giorgio Asproni,
uno dei massimi intellettuali e politici sardi dell’Ottocento, nella
preparazione di alcuni di questi scritti e ripercorre le vicende nate
attorno all’affermazione attribuita a Cavour “Abbiamo tre
Irlande: Sardegna, Genova e Savoia”. (L' 8 di giugno 1860, il senato
sabaudo diede ufficialità alla cessione di Nizza e della Savoia
alla Francia. Negli Atti Ufficiali risaltano le parole del senatore sardo
Giuseppe Musio: “Avevate tre Irlande da vendere, la Savoia già
venduta, la Liguria venduta in parte e la Sardegna vendibile tutta senza
molta ripugnanza”. Il Musio si riferiva agli accordi segreti di
Plombières; la Francia di Napoleone III pretendeva da Cavour anche
la Sardegna una volta che fosse stata presa la città di Roma).
Il volume curato da Assunta Trova ha il merito di riproporre gli scritti
cattaneani sulla Sardegna nell’occasione della riflessione su ciò
che è stato il ruolo della nostra Isola nei 150 anni di Italia
unita e soprattutto si segnala perché presenta il carteggio, composto
di 56 lettere (di cui ben 38 inedite), registratosi tra il gran lombardo
e i suoi – altrettanto grandi – corrispondenti sardi: sicuramente
il più importante e costante nelle relazioni epistolari è
Giorgio Asproni (nato a Bitti nel 1808, repubblicano irriducibile, deputato
per diverse legislature); ma ci imbattiamo anche in altri personaggi significativi:
Antonio Satta Musio (magistrato e deputato); Giuseppe Musio (nato a Bitti
nel 1797, magistrato e senatore); Giuseppe Sanna Sanna (avvocato, deputato);
Simone Manca di Mores (sindaco di Sassari, ma molto più noto per
i suoi meravigliosi acquarelli, per esempio dei costumi sardi); Giovanni
Maria Cossu (sindaco di Tempio); Vincenzo Brusco Onnis (nato a Cagliari
nel 1822, giornalista e patriota) e Maurizio Quadrio (combattente nelle
guerre de Risorgimento); Luigi Dedoni Orrù (avvocato, imprenditore);
Giuseppe Matteo Gossi (maestro elementare “continentale”,
in servizio in Sardegna).
Consentitemi qui un’altra breve digressione. Il benemerito sito
Sardegna Digital Library, se digitate “Carlo Cattaneo” vi
rimanda a due testi, in cui però non si trova nessun riferimento
al nostro studioso e propone invece alcuni preziosi manoscritti: giustappunto,
gli autografi di 8 lettere scritte da Cattaneo a Giorgio Asproni e custodite
nel Fondo Dolfin – Epistolario Asproni – depositato presso
l’Istituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro. Vengo da Pavia,
ho conosciuto Maria Corti e conosco bene i suoi successori, Angelo Stella
e Renzo Cremante, e ho collaborato anche con loro (per conto dell’Amministrazione
provinciale di Pavia) per la valorizzazione dei manoscritti di autori
moderni e contemporanei che sono conservati nel Fondo Manoscritti dell’Università
di Pavia. Niente da eccepire quindi sul valore dei testi autografi; mi
sento però di chiedere alla Regione Sardegna un piccolo sforzo:
scannerizzate i testi di Carlo Cattaneo sulla Sardegna, rendeteli consultabili
on line! È un riconoscimento che lui merita e sarebbe un servizio
ai sardi ovunque residenti!
Soprattutto i circoli sardi in Lombardia hanno motivo per rendere i dovuti
onori a Cattaneo sardofilo. Con una boutade dico: sembra che in tutti
i luoghi in cui ha soggiornato egli abbia lasciato un seme simbolico per
la costituzione, in su tempus benidore, in un futuro che per noi oggi
è il presente, di un Circolo degli emigrati sardi (insomma –
detto sempre scherzosamente – Cattaneo sembrerebbe profetico anche
nel disegnare la dislocazione dei circoli sardi in Lombardia e oltre…).
Vediamo in concreto. Tutti siamo portati a dire che Cattaneo è
nato a Milano. Certo a Milano (in cui da decenni opera un Circolo di emigrati
sardi) ha vissuto e ha lottato, ma altre fonti dicono che i suoi primi
vagiti sono stati sentiti nella frazione Villastanza di Parabiago (in
città opera da anni un Circolo di emigrati sardi; nella stessa
frazione, per la cronaca, è nata anche l’attrice Franca Rame).
E poi non manca Pavia, città da cui provengo (in cui opera da trent’anni
un Circolo di emigrati sardi). Nella scheda che compare nel recentissimo
“Dizionario biografico dei personaggi illustri della provincia di
Pavia negli ultimi due secoli” ho ricordato: “Divise la propria
infanzia fra Milano e le campagne di Casorate Primo (in provincia di Pavia
) e di Pizzabrasa (frazione di Locate Triulzi, in provincia di Milano,
ai confini con la provincia di Pavia)”. Ma su questa città
tornerò tra un attimo.
Tranquillizzo Salvatore Carta, presidente del Circolo degli emigrati sardi
di Monza, il sindaco e l’assessore del Comune di Monza: non dimentico
la città che ci ospita; ma non voglio neanche trascurare un altro
capoluogo di provincia dove è attivo un Circolo sardo, cioè
Lecco.
Sappiamo infatti che, per intercessione di uno zio sacerdote, Cattaneo
studiò nei seminari di Lecco (dal 1810) e poi di Monza (dal 1815:
qui frequentò il biennio di rettorica, cioè filologia e
letteratura). Nei seminari incontrò come insegnanti don Filippo
Benelli (che sarà il suo direttore nel Ginnasio comunale di Santa
Marta a Milano) e don Bartolomeo Catena (poi prefetto della Biblioteca
Ambrosiana, cioè presidente del Collegio dei Dottori preposto al
coordinamento dell’ attività scientifica e culturale di questa
storica biblioteca milanese fondata nel 1607 dal cardinale Federico Borromeo).
Alla fine del 1817, abbandonato il seminario di Monza, Cattaneo continuò
la sua formazione filosofica a Milano, prima al Liceo laico di Sant’
Alessandro (futuro Liceo-ginnasio “Beccaria”) e in seguito
al Liceo di Porta Nuova dove si diplomò nel 1820.
Devo ritornare un attimo a Pavia, anche per dimostrare che ieri come oggi
tutto il mondo è…pavese! In quell’anno 1820 Cattaneo
si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università
di Pavia ma non poté frequentarla perché, nonostante le
disagiate condizioni economiche della famiglia, non gli venne concesso
il posto gratuito al Collegio “Ghislieri” (insomma anche allora
era indispensabile la “raccomandazione”! Pensate che, a seguito
di adeguate raccomandazioni, esattamente un secolo prima, Carlo Goldoni
era invece riuscito ad avere un posto al “Ghislieri” anche
se gli mancavano due anni al raggiungimento dei diciotto anni, prescritti
come età minima dal Regolamento…Dal Collegio poi Goldoni
fu espulso per una commedia satirica intitolata Il Colosso in cui prendeva
di mira le ragazze che invitavano in casa i collegiali e che non rimase
anonima, come il precoce commediografo avrebbe voluto).
Respinto dal “Ghislieri”, Cattaneo nel novembre 1820 cominciò
a frequentare a Milano i corsi universitari di diritto presso la scuola
privata del giurista Gian Domenico Romagnosi: questi corsi avevano valore
legale purché lo studente fosse immatricolato all’Università
di Pavia e vi sostenesse regolarmente gli esami. Si mantenne agli studi
insegnando grammatica latina e poi scienze umane nel Ginnasio comunale
di Santa Marta a Milano. Conseguì la laurea in Diritto (col massimo
dei voti) nell’Università di Pavia nel 1824, essendo ormai
diventato, in quei quattro anni di frequenza alle lezioni e di frequentazione
fuori dell’orario scolastico, l’allievo prediletto di uno
studioso autorevole come il Romagnosi (che fu anche arrestato nel 1821
per sospetta appartenenza alla Carboneria).
Nel 1825 morì il padre Melchiorre e il fratello maggiore Filippo,
il primogenito, gli subentrò nella conduzione del negozio di oreficeria
che dava da vivere alla famiglia.
Nel 1835 Carlo lasciò l'insegnamento e si sposò; da quel
momento si votò interamente alla scrittura, trattando argomenti
relativi a quelle che lui considerava le leve del progresso economico
e sociale (ferrovie e bonifiche specialmente) e ragionando di questioni
molto pratiche in materia di dazi, di commerci, di agricoltura, di finanze,
di opere pubbliche, di beneficenza, di organizzazione penitenziaria, di
geografia, senza trascurare però, sia pure a margine, i classici
temi umanistici: letteratura ed arte, linguistica, storia, filosofia.
Tutti questi argomenti pratici, “positivi”, trovarono spazio
nelle pagine della rivista "Il Politecnico", da lui fondata
nel 1837.
Fino al 1848 si era occupato ben poco di politica. Pressato dagli amici,
durante l'insurrezione contro gli austriaci (Cinque Giornate di Milano,
18-22 marzo 1848) entrò a far parte del Consiglio di Guerra, dirigendo
le operazioni militari.
In seguito Cattaneo fu contrario a richiedere l'intervento piemontese,
perché considerava il Piemonte meno sviluppato della Lombardia
e ben lontano dall’avere un governo democratico.
Al ritorno degli austriaci, dopo aver cercato di organizzare l'ultima
resistenza a Lecco, Bergamo e Brescia, si rifugiò dapprima a Parigi
(dove tentò di fare pressioni per un intervento francese) e poi
in Svizzera, accompagnato dalla moglie, l'anglo-irlandese Anna Woodcock.
Si stabilì in una casa di campagna, a Castagnola, vicino a Lugano,
già luogo in cui erano riparati altri famosi rifugiati, tra i quali
Taddeo Kosciusko, l'eroe in esilio dell'indipendenza polacca. Qui Cattaneo
visse fino alla morte, nel 1869.
Fu uno dei fondatori e il primo Rettore del Liceo di Lugano, in cui fece
adottare un piano di studi teso a garantire un’istruzione laica,
libera dal condizionamento della Chiesa, al fine di formare una classe
dirigente borghese capace di dare realizzazione allo sviluppo economico
del proprio paese. Collaborò attivamente a decine di iniziative
per grandi opere di progresso tecnico, scientifico, agricolo ed industriale.
Insieme all'ingegnere Pasquale Lucchini, svolse un ruolo fondamentale
nel convincere gli esperti svizzeri e stranieri a preferire la variante
Gottardo, piuttosto che quella del Lucomagno, per il grande traforo ferroviario
alpino che si stava progettando.
Dalla sua casa di Castagnola continuò a svolgere, fino alla morte,
il ruolo d'ispiratore dell'opposizione democratica. Pur essendo più
volte eletto in Italia come deputato del Parlamento dell'Italia unificata,
rifiutò sempre di andarci per non giurare fedeltà ai Savoia,
per non prestare giuramento alle istituzioni sabaude e al centralismo
che rappresentavano.
Il suo corpo giace nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano accanto
a illustri concittadini come Alessandro Manzoni e Carlo Forlanini.
Voglio chiudere richiamando un concetto fondamentale delle argomentazioni
svolte da Cattaneo sulla imprescindibilità dell’autogoverno
locale: sono tesi che chiamano in causa, come esempio per le altre situazioni,
proprio la Sardegna.
“Quand’anche l’antico regno prendesse il suo nome dalla
Sardegna e vi avesse trovato nelle sue sventure sicuro asilo e fedele
difesa, una esperienza già troppo diuturna ha dimostrato che il
parlamento [italiano] non ha mai potuto concedere agli oscuri e scabrosi
affari dell’isola se non pochi giorni, direi quasi poche ore all’anno,
e sempre con certa attitudine di degnazione impaziente, umiliante, quasi
feudale. E non vedo come potrebbe concederle attenzione più assidua
il nuovo parlamento, che si prefisse d’abbracciare d’un tratto
l’universale miglioramento di tante legislazioni e amministrazioni,
impresa già tanto maggiore del possibile”.
“Or bene, limitando il discorso alla Sardegna, oso dire che se il
parlamento riservasse pure ad essa sola un intero anno, deliberato d’attivare
tuttociò che in quest’isola può divenir fonte di ricchezza
e di forza, ben avrebbe di che occupare per tutto l’anno quanti
suoi membri fossero atti ad efficace lavoro. E ancora io dico che non
basterebbe all’impresa. No, finché il parlamento vorrà
tenersi in braccio tutte le domestiche faccende dei singoli popoli gli
sarà più facile impedire che fare. La legislazione non è
l’amministrazione”.
“Il parlamento ha una sola via da prendere in faccia ai grandi interessi
regionali: ordinare ogni cosa perché si possa fare; comandare che
si faccia; e lasciar fare…”.
Queste citazioni sono tratte dallo scritto “Un primo atto di giustizia
verso la Sardegna” (1862) e sono presenti ovviamente in tutte le
tre pubblicazioni che ho richiamato all’inizio. Mi sembra però
importante informare che erano già stampate in un libretto, al
quale sono particolarmente affezionato, pubblicato dalla Regione Autonoma
della Sardegna presso i Fratelli Fossataro di Cagliari nel 1960 e da questa
inviato agli alunni che si erano distinti nell’esame finale della
terza media.
Gli autori (politici e storici) del volumetto intitolato “Lo Statuto
sardo” sono tutti scomparsi e mi sembra giusto in questa occasione
rendere loro l’omaggio della memoria riconoscente. Si trattava dei
politici Efisio Corrias (presidente della Regione Sarda) e Paolo Dettori
(Assessore del Lavoro e della Pubblica Istruzione) e degli studiosi Edoardo
Vitta, Michelangelo Pira, Lorenzo Del Piano, Alberto Boscolo.
Le parole che vi ho citato di Cattaneo sono tratte dallo scritto di Lorenzo
Del Piano, dal capitolo intitolato “Mazzini e Cattaneo”.
Ha scritto Giorgio Asproni nella lettera ai suoi elettori del Collegio
di Nuoro (Napoli, 25 aprile 1867): "Le isole hanno carattere proprio,
ed indole propria. Rari sono i continentali che hanno la pazienza di studiarle
con amore e diligente investigazione".
Ebbene, Mazzini e Cattaneo sono stati tra questi “rari continentali”
da considerare benemeriti. Oggi qui, per un giorno (pro una die), noi
uomini e donne di Sardegna, “paghiamo” una piccola parte del
debito morale che abbiamo e dobbiamo continuare ad avere nei confronti
di Carlo Cattaneo. Tentiamo però anche, noi uomini e donne di Sardegna,
di adempiere, un giorno o l’altro – in questo 150° anno
di Italia unita – ai nostri doveri di espressione di pubblica gratitudine
nei riguardi di Giuseppe Mazzini.
Certo, senza trascurare il filosofo e politico sardo (nato a Forru, da
lui ribattezzata Collinas, nel 1815) Giovanni Battista Tuveri, amico di
Cattaneo e di Mazzini.
Certo, senza dimenticare mai il Grande Padre della patria sarda Giorgio
Asproni: come per Cattaneo, anche se non da solo, fu principalmente lui
a trasmettere a Mazzini i materiali di documentazione sulla Sardegna e
a riuscire a convincerlo a scrivere i suoi articoli su ‘‘L’Unità
italiana’’ del giugno 1861 (poi raccolti nell’opuscolo
Sardegna più volte ristampato) contro la ventilata cessione della
nostra isola alla Francia subito dopo la fine della seconda guerra d’indipendenza.
È certo che la fonte delle efficaci argomentazioni di Mazzini sui
danni provocati in Sardegna dalle leggi per le “chiusure”
e per l’abolizione dei feudi e degli ademprivi è il libretto
“Il Governo e i Comuni”, pubblicato a Cagliari da Giovanni
Battista Tuveri. In uno di questi articoli Mazzini stigmatizza l’operato
dei Savoja, che cercarono sempre di non “abbellire la sposa”
(s’intende la Sardegna) per evitare che venissero allo scoperto
altri pretendenti.
“Amore e diligente investigazione” nei riguardi della nostra
isola, così come in Cattaneo, non sono mancati in Mazzini, il quale
scrisse ai figli del mazziniano sassarese Gavino Soro Pirino (gli ha dedicato
di recente un volume l’amico Sandro Ruju): “Amate la patria
ch’è l’Italia, la vostra culla che è la Sardegna,
la povera, la buona, leale Sardegna che i Re hanno sempre tradita e che
non risorgerà se non sotto una bandiera di popolo”.
Mutatis mutandis, credo che si possa dire che queste parole non hanno
perso di attualità e non soltanto per oggi, per questo giorno,
pro custa die. (11-05-2011)
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