La Notizia//////////////////////////////////
//////////////////////////////////di Paolo Pulina

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A Monza una “Die” sarda in Lombardia in onore di Carlo Cattaneo

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Sabato 7 e domenica 8 maggio i venti Circoli sardi della FASI (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia) appartenenti alla Circoscrizione Lombardia hanno celebrato per l’ottavo anno consecutivo "Sa Die de sa Sardigna", la festa del popolo sardo. Tra le diverse iniziative è stato anche organizzato, nella mattinata di domenica, presso il teatro Villoresi, un convegno su “Carlo Cattaneo, Giovanni Battista Tuveri e il pensiero federalista, con particolare riguardo alla Sardegna”. Dopo i saluti ( del presidente del circolo sardo di Monza, Salvatore Carta; del coordinatore dei Circoli FASI della Lombardia, Antonello Argiolas; del sindaco di Monza, Marco Maria Mariani; dell’assessore al turismo, Andrea Arbizzoni; del vicepresidente vicario della FASI, Serafina Mascia) sono seguite le relazioni di Stefano Pira, storico, docente di Storia contemporanea e di Storia della Sardegna presso l’Università di Cagliari, e di Paolo Pulina, giornalista pubblicista, responsabile Informazione della FASI. Qui di seguito pubblichiamo l’ampia relazione di quest’ultimo.


Desidero innanzitutto esprimere la mia soddisfazione personale per il fatto che la Circoscrizione dei Circoli FASI della regione Lombardia ha accolto il mio invito a ricordare quest’anno, nell’appuntamento ufficiale per la celebrazione de “Sa Die de sa Sardigna”, Carlo Cattaneo.
Dopo la manifestazione tenuta nel 2010 a Cinisello Balsamo e in vista dell’appuntamento 2011 a Monza che oggi felicemente si concretizza mi era capitato di argomentare in questo modo.
Carlo Cattaneo (luogo di nascita per il momento in sospeso, 15 giugno 1801 - Castagnola, vicino a Lugano, Svizzera, 6 febbraio 1869), padre del federalismo, è una figura storica simbolo che può fungere da trait d’union fra due riflessioni d’impronta regionale e regionalistica: quella lombarda e quella sarda.
È giusto che i sardi valorizzino le “positive” riflessioni del lombardo Cattaneo sulla Sardegna. Egli ha scritto, infatti, diversi saggi sull’isola:
“Di varie opere sulla Sardegna”, Milano, “Il Politecnico”, 1841 (il lungo scritto prende spunto da ponderosi lavori di autorevoli studiosi della Sardegna: il generale Alberto Ferrero della Marmora, geografo e archeologo; il barone Giuseppe Manno, storico; il cavalier Pietro Martini, biografo dei personaggi illustri; il canonico Giovanni Spano, linguista).
“Semplice proposta per un miglioramento generale dell’isola di Sardegna, “Il Politecnico”, 1860;
“Un primo atto di giustizia verso la Sardegna”, “Il Politecnico”, 1862.
In particolare, in quest’ultimo saggio, Cattaneo ha sostenuto la necessità di “una Sardegna libera, florida e contenta” in cui “per operare prodigi, basta sciogliere la terra dai barbari vincoli” [si tratta degli ademprivi, cioè dei beni di uso comune, generalmente fondi rustici di variabile estensione, su cui la popolazione poteva comunitariamente esercitare diritto di sfruttamento, ad esempio per legnatico, macchiatico, ghiandatico o pascolo] lasciando “le rimanenti sollecitudini ai consigli provinciali e municipali”.
A ragione lo storico inglese Denis Mack Smith ha scritto che “Cattaneo era di gran lunga meglio informato di Cavour sulla situazione delle altre regioni italiane, per esempio della Sardegna”. Aggiunge Mack Smith: “Cavour non visitò mai neppure la Sardegna, per quanto fosse stato spesso sollecitato a farlo; un viaggio nell’isola gli avrebbe forse fatto intuire ciò che avrebbe poi scoperto a Napoli. La Sardegna faceva parte del Regno e all’epoca era governata da Torino già da cento anni”.
Come sappiamo, Cavour preferiva far seguire le questioni della Sardegna dal fratello maggiore Gustavo Benso marchese di Cavour: a lui, per esempio, nel 1858 venne affidato lo studio di un disegno di legge per la trasformazione in proprietà dei diritti d'uso sui beni feudali in Sardegna.
Ma veniamo ai nostri tempi. In molti dibattiti organizzati in questi ultimi anni dai circoli sardi in Lombardia i rappresentanti delle istituzioni lombarde (Regione, Province, Comuni) hanno rivendicato con orgoglio l’attenzione che nelle sue ricerche il loro illustre corregionale ha riservato alla Sardegna con l’intenzione di indicare vie concrete per lo sviluppo economico e sociale dell’isola.
Anche nel 2010, nella mattinata di domenica 2 maggio, a Cinisello Balsamo, in occasione della settima edizione de “Sa Die de sa Sardigna”, nel dibattito che si è svolto sul tema “Dal Regno di Sardegna all’Unità d’Italia”, il nome di Cattaneo insieme a quello di Mazzini è risuonato nella splendida “Sala dei Paesaggi” di Villa Ghirlanda negli interventi dei relatori (Salvatore Cubeddu, sociologo e storico; Luciano Fasano, Assessore alla Cultura del Comune di Cinisello Balsamo, ma anche docente di Scienza politica presso l’Università degli Studi di Milano; Fabio Altitonante, Assessore al Territorio della Provincia di Milano, con una laurea al Politecnico in Ingegneria Gestionale, quindi con una formazione che potremmo definire di tipica impronta “cattaneana”).
Esprimevo perciò l’auspicio che nel 2011 fosse possibile commemorare Carlo Cattaneo nella ricorrenza dei 210 anni dalla nascita dedicandogli “Sa Die de Sa Sardigna” del 2011 in Lombardia, nella tappa prevista a Monza. Ero e resto convinto che l’approfondimento del pensiero federalista di Carlo Cattaneo in generale e in particolare della prefigurata applicazione di esso al caso della Sardegna può utilmente arricchire il dibattito in corso sui 150 anni dell’Unità d’Italia e in particolare sul secolo e mezzo di vita “unitaria” della Sardegna.
Una buona lettura propedeutica è costituita da alcuni volumi che citerò tra un attimo.
Non credo, in generale, che in occasioni come queste sia necessario giustificare la scelta di dare indicazioni bibliografiche (sono dell’opinione infatti che la lettura dei testi non dovrebbe essere delegata ai soli specialisti; nelle biblioteche dei circoli sardi – non solo della Lombardia, evidentemente – ci sono volumi preziosi che aspettano solo di essere consultati, sfogliati e magari letti…). Inoltre, nel caso di Carlo Cattaneo, è giusto sottolineare che questo scrittore, che pure è stato anche un fervente uomo politico, era interessato ad avere non tanti elettori ma molti lettori dei suoi saggi e dei suoi articoli. Perciò, leggiamole direttamente queste sue pagine dedicate alla Sardegna. Sono scritte a metà Ottocento ma in uno stile moderno, tutt’altro che retorico e ampolloso: uno stile che potremmo chiamare “amichevole” perché non mette in difficoltà o in soggezione neanche il lettore di oggi.
Vi cito in ordine cronologico di pubblicazione e vi faccio anche vedere questi tre volumi “tascabili” che raccomando all’attenzione di ciascuno di voi.
1) “La terza Irlanda. Gli scritti sulla Sardegna di Carlo Cattaneo e Giuseppe Mazzini”, a cura di Francesco Cheratzu; Cagliari, Condaghes, 1995;
2) Carlo Cattaneo, “Geografia e storia della Sardegna”, a cura di Carlo Carlino, introduzione di Gian Giacomo Ortu, Roma, Donzelli, 1996;
3) “Della Sardegna antica e moderna”, con 56 lettere intercorse tra lo studioso e i suoi corrispondenti sardi; a cura di Assunta Trova, Nuoro, Ilisso, novembre 2010.
La prima opera che vi ho citato si raccomanda per l’ampia introduzione, scritta da Martin Clark, docente di Storia contemporanea nell’Università di Edimburgo, in cui viene messo in luce il ruolo che ebbe Giorgio Asproni, uno dei massimi intellettuali e politici sardi dell’Ottocento, nella preparazione di alcuni di questi scritti e ripercorre le vicende nate attorno all’affermazione attribuita a Cavour “Abbiamo tre Irlande: Sardegna, Genova e Savoia”. (L' 8 di giugno 1860, il senato sabaudo diede ufficialità alla cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. Negli Atti Ufficiali risaltano le parole del senatore sardo Giuseppe Musio: “Avevate tre Irlande da vendere, la Savoia già venduta, la Liguria venduta in parte e la Sardegna vendibile tutta senza molta ripugnanza”. Il Musio si riferiva agli accordi segreti di Plombières; la Francia di Napoleone III pretendeva da Cavour anche la Sardegna una volta che fosse stata presa la città di Roma).
Il volume curato da Assunta Trova ha il merito di riproporre gli scritti cattaneani sulla Sardegna nell’occasione della riflessione su ciò che è stato il ruolo della nostra Isola nei 150 anni di Italia unita e soprattutto si segnala perché presenta il carteggio, composto di 56 lettere (di cui ben 38 inedite), registratosi tra il gran lombardo e i suoi – altrettanto grandi – corrispondenti sardi: sicuramente il più importante e costante nelle relazioni epistolari è Giorgio Asproni (nato a Bitti nel 1808, repubblicano irriducibile, deputato per diverse legislature); ma ci imbattiamo anche in altri personaggi significativi: Antonio Satta Musio (magistrato e deputato); Giuseppe Musio (nato a Bitti nel 1797, magistrato e senatore); Giuseppe Sanna Sanna (avvocato, deputato); Simone Manca di Mores (sindaco di Sassari, ma molto più noto per i suoi meravigliosi acquarelli, per esempio dei costumi sardi); Giovanni Maria Cossu (sindaco di Tempio); Vincenzo Brusco Onnis (nato a Cagliari nel 1822, giornalista e patriota) e Maurizio Quadrio (combattente nelle guerre de Risorgimento); Luigi Dedoni Orrù (avvocato, imprenditore); Giuseppe Matteo Gossi (maestro elementare “continentale”, in servizio in Sardegna).
Consentitemi qui un’altra breve digressione. Il benemerito sito Sardegna Digital Library, se digitate “Carlo Cattaneo” vi rimanda a due testi, in cui però non si trova nessun riferimento al nostro studioso e propone invece alcuni preziosi manoscritti: giustappunto, gli autografi di 8 lettere scritte da Cattaneo a Giorgio Asproni e custodite nel Fondo Dolfin – Epistolario Asproni – depositato presso l’Istituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro. Vengo da Pavia, ho conosciuto Maria Corti e conosco bene i suoi successori, Angelo Stella e Renzo Cremante, e ho collaborato anche con loro (per conto dell’Amministrazione provinciale di Pavia) per la valorizzazione dei manoscritti di autori moderni e contemporanei che sono conservati nel Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia. Niente da eccepire quindi sul valore dei testi autografi; mi sento però di chiedere alla Regione Sardegna un piccolo sforzo: scannerizzate i testi di Carlo Cattaneo sulla Sardegna, rendeteli consultabili on line! È un riconoscimento che lui merita e sarebbe un servizio ai sardi ovunque residenti!
Soprattutto i circoli sardi in Lombardia hanno motivo per rendere i dovuti onori a Cattaneo sardofilo. Con una boutade dico: sembra che in tutti i luoghi in cui ha soggiornato egli abbia lasciato un seme simbolico per la costituzione, in su tempus benidore, in un futuro che per noi oggi è il presente, di un Circolo degli emigrati sardi (insomma – detto sempre scherzosamente – Cattaneo sembrerebbe profetico anche nel disegnare la dislocazione dei circoli sardi in Lombardia e oltre…).
Vediamo in concreto. Tutti siamo portati a dire che Cattaneo è nato a Milano. Certo a Milano (in cui da decenni opera un Circolo di emigrati sardi) ha vissuto e ha lottato, ma altre fonti dicono che i suoi primi vagiti sono stati sentiti nella frazione Villastanza di Parabiago (in città opera da anni un Circolo di emigrati sardi; nella stessa frazione, per la cronaca, è nata anche l’attrice Franca Rame). E poi non manca Pavia, città da cui provengo (in cui opera da trent’anni un Circolo di emigrati sardi). Nella scheda che compare nel recentissimo “Dizionario biografico dei personaggi illustri della provincia di Pavia negli ultimi due secoli” ho ricordato: “Divise la propria infanzia fra Milano e le campagne di Casorate Primo (in provincia di Pavia ) e di Pizzabrasa (frazione di Locate Triulzi, in provincia di Milano, ai confini con la provincia di Pavia)”. Ma su questa città tornerò tra un attimo.
Tranquillizzo Salvatore Carta, presidente del Circolo degli emigrati sardi di Monza, il sindaco e l’assessore del Comune di Monza: non dimentico la città che ci ospita; ma non voglio neanche trascurare un altro capoluogo di provincia dove è attivo un Circolo sardo, cioè Lecco.
Sappiamo infatti che, per intercessione di uno zio sacerdote, Cattaneo studiò nei seminari di Lecco (dal 1810) e poi di Monza (dal 1815: qui frequentò il biennio di rettorica, cioè filologia e letteratura). Nei seminari incontrò come insegnanti don Filippo Benelli (che sarà il suo direttore nel Ginnasio comunale di Santa Marta a Milano) e don Bartolomeo Catena (poi prefetto della Biblioteca Ambrosiana, cioè presidente del Collegio dei Dottori preposto al coordinamento dell’ attività scientifica e culturale di questa storica biblioteca milanese fondata nel 1607 dal cardinale Federico Borromeo).
Alla fine del 1817, abbandonato il seminario di Monza, Cattaneo continuò la sua formazione filosofica a Milano, prima al Liceo laico di Sant’ Alessandro (futuro Liceo-ginnasio “Beccaria”) e in seguito al Liceo di Porta Nuova dove si diplomò nel 1820.
Devo ritornare un attimo a Pavia, anche per dimostrare che ieri come oggi tutto il mondo è…pavese! In quell’anno 1820 Cattaneo si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia ma non poté frequentarla perché, nonostante le disagiate condizioni economiche della famiglia, non gli venne concesso il posto gratuito al Collegio “Ghislieri” (insomma anche allora era indispensabile la “raccomandazione”! Pensate che, a seguito di adeguate raccomandazioni, esattamente un secolo prima, Carlo Goldoni era invece riuscito ad avere un posto al “Ghislieri” anche se gli mancavano due anni al raggiungimento dei diciotto anni, prescritti come età minima dal Regolamento…Dal Collegio poi Goldoni fu espulso per una commedia satirica intitolata Il Colosso in cui prendeva di mira le ragazze che invitavano in casa i collegiali e che non rimase anonima, come il precoce commediografo avrebbe voluto).
Respinto dal “Ghislieri”, Cattaneo nel novembre 1820 cominciò a frequentare a Milano i corsi universitari di diritto presso la scuola privata del giurista Gian Domenico Romagnosi: questi corsi avevano valore legale purché lo studente fosse immatricolato all’Università di Pavia e vi sostenesse regolarmente gli esami. Si mantenne agli studi insegnando grammatica latina e poi scienze umane nel Ginnasio comunale di Santa Marta a Milano. Conseguì la laurea in Diritto (col massimo dei voti) nell’Università di Pavia nel 1824, essendo ormai diventato, in quei quattro anni di frequenza alle lezioni e di frequentazione fuori dell’orario scolastico, l’allievo prediletto di uno studioso autorevole come il Romagnosi (che fu anche arrestato nel 1821 per sospetta appartenenza alla Carboneria).
Nel 1825 morì il padre Melchiorre e il fratello maggiore Filippo, il primogenito, gli subentrò nella conduzione del negozio di oreficeria che dava da vivere alla famiglia.
Nel 1835 Carlo lasciò l'insegnamento e si sposò; da quel momento si votò interamente alla scrittura, trattando argomenti relativi a quelle che lui considerava le leve del progresso economico e sociale (ferrovie e bonifiche specialmente) e ragionando di questioni molto pratiche in materia di dazi, di commerci, di agricoltura, di finanze, di opere pubbliche, di beneficenza, di organizzazione penitenziaria, di geografia, senza trascurare però, sia pure a margine, i classici temi umanistici: letteratura ed arte, linguistica, storia, filosofia.
Tutti questi argomenti pratici, “positivi”, trovarono spazio nelle pagine della rivista "Il Politecnico", da lui fondata nel 1837.
Fino al 1848 si era occupato ben poco di politica. Pressato dagli amici, durante l'insurrezione contro gli austriaci (Cinque Giornate di Milano, 18-22 marzo 1848) entrò a far parte del Consiglio di Guerra, dirigendo le operazioni militari.
In seguito Cattaneo fu contrario a richiedere l'intervento piemontese, perché considerava il Piemonte meno sviluppato della Lombardia e ben lontano dall’avere un governo democratico.
Al ritorno degli austriaci, dopo aver cercato di organizzare l'ultima resistenza a Lecco, Bergamo e Brescia, si rifugiò dapprima a Parigi (dove tentò di fare pressioni per un intervento francese) e poi in Svizzera, accompagnato dalla moglie, l'anglo-irlandese Anna Woodcock.
Si stabilì in una casa di campagna, a Castagnola, vicino a Lugano, già luogo in cui erano riparati altri famosi rifugiati, tra i quali Taddeo Kosciusko, l'eroe in esilio dell'indipendenza polacca. Qui Cattaneo visse fino alla morte, nel 1869.
Fu uno dei fondatori e il primo Rettore del Liceo di Lugano, in cui fece adottare un piano di studi teso a garantire un’istruzione laica, libera dal condizionamento della Chiesa, al fine di formare una classe dirigente borghese capace di dare realizzazione allo sviluppo economico del proprio paese. Collaborò attivamente a decine di iniziative per grandi opere di progresso tecnico, scientifico, agricolo ed industriale. Insieme all'ingegnere Pasquale Lucchini, svolse un ruolo fondamentale nel convincere gli esperti svizzeri e stranieri a preferire la variante Gottardo, piuttosto che quella del Lucomagno, per il grande traforo ferroviario alpino che si stava progettando.
Dalla sua casa di Castagnola continuò a svolgere, fino alla morte, il ruolo d'ispiratore dell'opposizione democratica. Pur essendo più volte eletto in Italia come deputato del Parlamento dell'Italia unificata, rifiutò sempre di andarci per non giurare fedeltà ai Savoia, per non prestare giuramento alle istituzioni sabaude e al centralismo che rappresentavano.
Il suo corpo giace nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano accanto a illustri concittadini come Alessandro Manzoni e Carlo Forlanini.
Voglio chiudere richiamando un concetto fondamentale delle argomentazioni svolte da Cattaneo sulla imprescindibilità dell’autogoverno locale: sono tesi che chiamano in causa, come esempio per le altre situazioni, proprio la Sardegna.
“Quand’anche l’antico regno prendesse il suo nome dalla Sardegna e vi avesse trovato nelle sue sventure sicuro asilo e fedele difesa, una esperienza già troppo diuturna ha dimostrato che il parlamento [italiano] non ha mai potuto concedere agli oscuri e scabrosi affari dell’isola se non pochi giorni, direi quasi poche ore all’anno, e sempre con certa attitudine di degnazione impaziente, umiliante, quasi feudale. E non vedo come potrebbe concederle attenzione più assidua il nuovo parlamento, che si prefisse d’abbracciare d’un tratto l’universale miglioramento di tante legislazioni e amministrazioni, impresa già tanto maggiore del possibile”.
“Or bene, limitando il discorso alla Sardegna, oso dire che se il parlamento riservasse pure ad essa sola un intero anno, deliberato d’attivare tuttociò che in quest’isola può divenir fonte di ricchezza e di forza, ben avrebbe di che occupare per tutto l’anno quanti suoi membri fossero atti ad efficace lavoro. E ancora io dico che non basterebbe all’impresa. No, finché il parlamento vorrà tenersi in braccio tutte le domestiche faccende dei singoli popoli gli sarà più facile impedire che fare. La legislazione non è l’amministrazione”.
“Il parlamento ha una sola via da prendere in faccia ai grandi interessi regionali: ordinare ogni cosa perché si possa fare; comandare che si faccia; e lasciar fare…”.
Queste citazioni sono tratte dallo scritto “Un primo atto di giustizia verso la Sardegna” (1862) e sono presenti ovviamente in tutte le tre pubblicazioni che ho richiamato all’inizio. Mi sembra però importante informare che erano già stampate in un libretto, al quale sono particolarmente affezionato, pubblicato dalla Regione Autonoma della Sardegna presso i Fratelli Fossataro di Cagliari nel 1960 e da questa inviato agli alunni che si erano distinti nell’esame finale della terza media.
Gli autori (politici e storici) del volumetto intitolato “Lo Statuto sardo” sono tutti scomparsi e mi sembra giusto in questa occasione rendere loro l’omaggio della memoria riconoscente. Si trattava dei politici Efisio Corrias (presidente della Regione Sarda) e Paolo Dettori (Assessore del Lavoro e della Pubblica Istruzione) e degli studiosi Edoardo Vitta, Michelangelo Pira, Lorenzo Del Piano, Alberto Boscolo.
Le parole che vi ho citato di Cattaneo sono tratte dallo scritto di Lorenzo Del Piano, dal capitolo intitolato “Mazzini e Cattaneo”.
Ha scritto Giorgio Asproni nella lettera ai suoi elettori del Collegio di Nuoro (Napoli, 25 aprile 1867): "Le isole hanno carattere proprio, ed indole propria. Rari sono i continentali che hanno la pazienza di studiarle con amore e diligente investigazione".
Ebbene, Mazzini e Cattaneo sono stati tra questi “rari continentali” da considerare benemeriti. Oggi qui, per un giorno (pro una die), noi uomini e donne di Sardegna, “paghiamo” una piccola parte del debito morale che abbiamo e dobbiamo continuare ad avere nei confronti di Carlo Cattaneo. Tentiamo però anche, noi uomini e donne di Sardegna, di adempiere, un giorno o l’altro – in questo 150° anno di Italia unita – ai nostri doveri di espressione di pubblica gratitudine nei riguardi di Giuseppe Mazzini.
Certo, senza trascurare il filosofo e politico sardo (nato a Forru, da lui ribattezzata Collinas, nel 1815) Giovanni Battista Tuveri, amico di Cattaneo e di Mazzini.
Certo, senza dimenticare mai il Grande Padre della patria sarda Giorgio Asproni: come per Cattaneo, anche se non da solo, fu principalmente lui a trasmettere a Mazzini i materiali di documentazione sulla Sardegna e a riuscire a convincerlo a scrivere i suoi articoli su ‘‘L’Unità italiana’’ del giugno 1861 (poi raccolti nell’opuscolo Sardegna più volte ristampato) contro la ventilata cessione della nostra isola alla Francia subito dopo la fine della seconda guerra d’indipendenza.
È certo che la fonte delle efficaci argomentazioni di Mazzini sui danni provocati in Sardegna dalle leggi per le “chiusure” e per l’abolizione dei feudi e degli ademprivi è il libretto “Il Governo e i Comuni”, pubblicato a Cagliari da Giovanni Battista Tuveri. In uno di questi articoli Mazzini stigmatizza l’operato dei Savoja, che cercarono sempre di non “abbellire la sposa” (s’intende la Sardegna) per evitare che venissero allo scoperto altri pretendenti.
“Amore e diligente investigazione” nei riguardi della nostra isola, così come in Cattaneo, non sono mancati in Mazzini, il quale scrisse ai figli del mazziniano sassarese Gavino Soro Pirino (gli ha dedicato di recente un volume l’amico Sandro Ruju): “Amate la patria ch’è l’Italia, la vostra culla che è la Sardegna, la povera, la buona, leale Sardegna che i Re hanno sempre tradita e che non risorgerà se non sotto una bandiera di popolo”.
Mutatis mutandis, credo che si possa dire che queste parole non hanno perso di attualità e non soltanto per oggi, per questo giorno, pro custa die. (11-05-2011)