La Notizia////////////
///////////di Paolo Pulina

 

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A Pavia, per iniziativa del Circolo “Logudoro”, applaudita conferenza di Tore Patatu sul canto sardo

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A Pavia, nel pomeriggio di sabato 1° dicembre, nella sede del Circolo culturale sardo “Logudoro” (presieduto da Gesuino Piga), il noto esperto delle tradizioni popolari dell’isola e in particolare del canto sardo, prof. Tore Patatu, ha intrattenuto gli uditori sul tema “L’evoluzione del canto sardo nello spazio e nel tempo”. Lo stesso Patatu, nel pomeriggio del giorno dopo, è intervenuto con spiegazioni e commenti nel corso dell’esibizione del Duo Marimba che ha offerto uno spettacolo di musica sarda di ieri e di oggi e di balli guidati da una coppia in costume (non sono mancate neanche musiche da ballo, dal liscio al latino-americano). Il Duo Marimba si è esibito nell’auditorium sito nel complesso della mensa universitaria del Cravino, dopo il pranzo sociale “alla sarda” cui hanno partecipato oltre un centinaio di soci e amici del “Logudoro”.
Ecco i punti essenziali della conferenza di Patatu sul canto sardo.
Come nasce il canto in Sardegna. Ha scritto Patatu: «Il canto, in Sardegna, non è una forma di folclore, ma una sentita esigenza umana, che nasce da un arcaico costume di vita e dà un senso alla vita stessa. Un costume che affonda le sue radici nel mondo nuragico e prenuragico, quando il canto e il ballo erano considerati momenti di sacralità, vissuti in sintonia col massimo Sovrano, con l’Onnipotente. Il modo migliore e più sentito, con cui l’uomo, essere immanente, poteva entrare in comunicazione totale e sentita col trascendente, il quale non era un essere temuto e spaventevole, ma un essere da rispettare e onorare, chiedendogli buoni raccolti e buoni frutti o ringraziandolo, con manifestazioni gradevoli?e sentite, se li aveva concessi. Un rapporto quasi amichevole, che escludeva qualsiasi forma di sacrificio, animale e tanto meno umano, come avveniva, invece, in Grecia e, successivamente, avverrà coi Fenici e i Punici».
Il pastore sardo, per combattere la solitudine, per farsi compagnia, si abbandona alla liberazione istintiva del canto nell’orchestra sinfonica naturale, in quella straordinaria realtà che Gavino Gabriel chiamava “mimetismo fonetico”. L’uomo si ispira alle tonalità della natura e le imita: il sibilo del vento; il canto degli uccelli, dell’usignolo, de sa filumena (cardellino di Sardegna), del grillo.
Il canto a tenore (che, nel 2005, è entrato a far parte del patrimonio immateriale dell’umanità riconosciuto dall’UNESCO) è nato come imitazione delle voci della natura: “su bassu” imiterebbe il muggito del bue; “sa contra” il belato della pecora; “sa mesu oche” il sibilo del vento; mentre il solista “sa oche” impersonifica l'uomo stesso, colui che è riuscito a dominare la natura.
Per Patatu, il canto in Sardegna e le altre esecuzioni musicali in generale, ivi comprese quelle che accompagnano il ballo, non sono quindi una forma banale di folclore, ma rappresentano una profonda e sentita esigenza umana, che nasce da un modello di vita ed è parte integrante di essa.
Col canto si dà vita a quell’impellente bisogno di comunicare sensazioni, di esprimere sentimenti, di esternare stati d’animo, che, altrimenti, rimarrebbero prigionieri nel profondo dell’anima.
Gli etnomusicologi più accreditati (quasi tutti stranieri: pochissimi ricercatori italiani risultano interessati a studiare a fondo, quindi per lungo tempo, la materia) affermano che la Sardegna è l’unica regione in Europa, e una delle poche al mondo, ad aver conservato ancora il “canto popolare libero”, cioè non mutuato, in quanto trae origine dalla terra dove abita chi canta e aderisce a una necessità di funzione, che rivela l'anima e il temperamento di un popolo (la voce umana, infatti, si conforma all'ambiente in cui il canto viene prodotto).
Il canto in Sardegna nasce come preghiera e la sua armonia (il bibirimbò) lo accompagna per rendere la perorazione più gradevole e più bella; ma quando, successivamente, gli ordini religiosi vengono a catechizzare l’isola, modificano questo canto, trasformandolo in polifonico. Nel XV secolo, poi, arrivano gli aragonesi che, introducendo la chitarra, sostituiscono l’armonia del bibirimbò con questo strumento armonico per eccellenza.
Il canto a chitarra si diffonde velocemente e diventa molto popolare in Sardegna. Alla chitarra in seguito si aggiungono la fisarmonica, nel canto a chitarra, e l’organetto diatonico per accompagnare il ballo sardo, ma, in ogni caso, è da tenere presente che nel canto sardo lo strumento si adegua al ritmo del cantore.
Per quanto riguarda questi due strumenti Patatu ha messo in risalto la differenza fra organetto diatonico e chitarra: «L’organetto è uno strumento costruito sulla scala diatonica. La fisarmonica sulla scala cromatica. Per cui, con la fisarmonica si potrebbe accompagnare anche il ballo, ma, difficilmente, un organetto accompagna il canto, in quanto la scala cromatica si adatta a ogni tipo di voce e di altro strumento mentre la scala diatonica è fissa e quindi meno duttile».
Patatu ha illustrato anche la distinzione fra canto sillabico e melismi: nella musica vocale, viene detto melisma quel tipo di abbellimento melodico che consiste nel caricare su di una sola sillaba testuale un gruppo di note ad altezze diverse. La vocale della sillaba viene "spalmata" sulle varie note, e quindi cantata modulando l'intonazione ma, in linea di principio, senza interrompere l'emissione vocale.
Ogni passaggio del suo ragionamento Patatu lo ha esemplificato con brevissime, ma esaurienti, registrazioni, che hanno chiarito al meglio i concetti espressi. Gli uditori, che hanno seguito con attenzione tutto il discorso, con un caloroso applauso hanno manifestato il proprio apprezzamento per la competenza del relatore.
(08-12-2012)