Celeste come il cielo, azzurro come il mare di Quirina Ruiu |
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Quando
nacque, quel pomeriggio di luglio, lo chiamarono Celestino, non perché
avesse gli occhi color cielo e il colorito biondo, anzi era tutt’altro.
Bruno di capelli, castano di occhi e dalla pelle abbronzata. Chissà,
quale sensazione ispirò i genitori a dare quel nome alla minuscola
creatura che si agitava e piangeva al suo ingresso nella nuova vita.
Crescendo, si sarebbe presto scoperto quanto quel ragazzo portava
davvero nel cuore il celeste del cielo e l’azzurro del mare.
Suo padre faceva il pescatore e, da piccolo, gli svelò i segreti
del mare, il suo fascino e i suoi pericoli. A soli 17 anni lasciò
la sua amata terra sarda, s’imbarcò come marinaio, con
tanta voglia d’avventura e l’auspicio di una vita migliore.
Ben presto, scoprì sorprese e insidie anche sulla nuova rotta.
Ne vide di tutti i colori. La passione per il mare ne mitigava l’amarezza
. Da romantico, quando vi era calma, la notte, passava intere ore
sul ponte a guardare le stelle e a fantasticare sul suo futuro. Spesso
nei sogni c’era anche il desiderio di una donna che lo aspettasse
sul molo, le buttasse le braccia al collo e versasse lacrime per lui
ogni volta che si rimettesse in viaggio. Ogni partenza era sempre
un incognita. Quella immensa distesa azzurra si rivelò una
trappola mortale. Cominciò una lotta interiore che , se da
un lato lo trascinava verso quell’azzurro, dall’altro
lo tirava verso la terra. Un conflitto che spesso si rasserenava,
quando quell’azzurro aveva il sopravvento e continuava a farlo
sognare, nelle notti di luna e di calma, disteso sul ponte a leggere
nelle stelle il suo futuro. Celestino, teneva un diario dove era solito
annotare le vicende più strane e imprevedibili di cui era stato
testimone. Lo custodiva gelosamente, poiché vi erano racchiuse
le sue emozioni; erano pagine di vita vissuta. In una di quelle pagine,
aveva descritto minuziosamente la terribile tempesta che si abbatté
sulla nave San Marco nel golfo di Biscaglia. Fu una delle più
terribili. Non si distingueva più il cielo dal mare, né
la prua dalla poppa. Tutto era un ruotare in un vortice vertiginoso
che come una grande bocca spalancata ingoiava quello che incontrava.
Il panico si impadronì dell’equipaggio e alcuni dovettero
legarsi per non cedere alla tentazione di buttarsi a mare e farla
finita. Anche Celestino ebbe un momento di disperazione; stremato
si aggrappò forte a un suo compagno, battendo i denti per lo
spavento e per il gran male allo stomaco, a stento riuscì a
trattenersi da quella falsa illusione di salvezza. La tempesta durò
una settimana. La nave subì gravi danni, ma per fortuna non
ci furono vittime. Quando sbarcarono nel porto inglese di Gosport,
i marinai erano di una magrezza e di un pallore cadaverico. Era più
di una settimana che non toccavano cibo a causa del mal di mare. C’era
una nebbia fitta in quella nuova terra; si aggiravano, confusi, come
fantasmi. Furono accolti con gratitudine dalla gente del luogo e ristorati.
Non comprendeva la loro lingua, ma constatò che avevano un
cuore grande, aperto ai bisognosi d’aiuto. Celestino decise
perciò di fermarsi lì, in quell’isola verde e
senza sole chiamata Inghilterra. Aveva vissuto una parte del suo sogno,
ora lo voleva completare. Dopo sette anni di vagabondaggio e lo scampato
pericolo, aveva bisogno di fermarsi e di dare un’altra svolta
alla sua vita. Il suo carattere solare e il suo ingegno lo aiutarono
ad accattivarsi la benevolenza di quel popolo. Si armò un'altra
volta di coraggio e iniziò un nuovo viaggio, questa volta sulla
terraferma dove non mancarono momenti di difficoltà e di dure
scelte. Non disdegnò i lavori più umili e piano piano
riuscì a realizzarsi , guadagnandosi un lavoro sicuro e appagante.
Trovò anche la donna che aveva sognato in quelle notti di luna
piena, sul pontile, che versava lacrime per lui. Stavolta però
non doveva piangere, perché si sarebbe addormentata e svegliata
accanto al suo uomo. Fissò lì le sue radici, sposò
quella donna e mise su famiglia. Crebbe i suoi figli con grande decoro
e soddisfazione. Quel marinaio che aveva il celeste del cielo e l’azzurro
del mare nel cuore trovò in quell’isola la sua realizzazione.
Gli mancava il sole della sua terra natia; quel sole che bruciava
la pelle e lasciava i segni. Era stato lo squallore della miseria
che lo aveva spinto a rincorrere il sogno di un futuro migliore. Quell’isola
straniera gli permise di realizzarlo, offrendogli quello che la sua
terra non poteva dargli; ma si sa che le proprie radici sono un richiamo
che niente può soffocare. Celestino lo aveva capito. Andando
avanti negli anni il desiderio di quel mare e di quel sole accecante
si fece sempre più prepotente e decise di far ritorno alla
sua terra. La trovò di poco cambiata, ma quell’aria non
gli sembrò così pesante come una volta. Il suo animo
ora era appagato, si sentiva realizzato come uomo, aveva solo bisogno
di serenità, di ritrovare tra la sua gente i ricordi della
sua infanzia, che se pur melanconici ora assumevano un colore allegro
perché rivisitati con uno spirito diverso, dove il grigio diventa
rosa e il nero candido. Spesso interpretiamo la realtà secondo
i nostri moti d’animo, colorandola o mortificandola. Quel marinaio,
audace e intrepido che scappò in cerca d’avventura, fermò
qui la sua corsa, in quel mare azzurro e in quel cielo senza nubi. |
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