Sono
ore che girovago qua e là senza meta, in posti sperduti e solitari,
ho lasciato l’auto in una piazzola tre o quattro tornanti più
giù, qui è ancora un fiorire di ginestre e fiori selvatici,
erbe profumate, piante di mirto e corbezzoli, e tante altre che non
conosco.
A me cittadina sembra di stare in un altro pianeta.
Poi incontro un pastore, sta seduto con le spalle poggiate al tronco
di una grande quercia circondato dal suo gregge. Sdraiati ai suoi
piedi due cani, sentendomi arrivare, si mettono sulla difensiva, lui
li richiama con un leggero fischio.
Sta mangiando, mi saluta e m’invita a sedermi all’ombra.
Non mi chiede chi sono, né cosa faccio in quell’eremo
lontano da tutto. Mi offre di condividere il suo pasto. Lo ringrazio
e accetto volentieri sentendomi all’improvviso affamata. Pane
e formaggio (non è una storia che lo mangiano tutti i giorni)
il pane è scuro, lui lo taglia in fette sottili con un coltello
a serramanico affilatissimo, il formaggio è a pasta gialla
ben stagionato, mi dice che lo ha fatto lui, il pane lo fa sempre
la moglie. Lui parla poco, anch’io taccio, il silenzio è
ricco e appagante.
Mangio, e mi sembra di non aver mai mangiato niente di più
buono. Vorrebbe offrirmi da bere in un bicchiere, come si addice all’ospite
di riguardo, ma non ne ha e mi offre la borraccia del vino, io rido,
schernendomi, poi… spavaldamente bevo qualche sorso a garganella,
lo ringrazio per l’inaspettato e gradito pasto. Dà una
fetta di pane a ciascuno dei cani, lega nel canovaccio il cibo rimasto
e lo ripone nella bisaccia, dalla quale tira fuori un piccolo pezzo
di legno, e mi spiega che lui passa il tempo a scolpire piccoli oggetti
che poi regala.
Inizia abilmente ad incidere il legno, io vorrei accomiatarmi ma lui
m’invita ad aspettare, poiché è svelto e bravo,
vorrebbe farmi un piccolo regalo.
Io rimango incantata ad osservare le vecchie mani nodose e ruvide,
lavorare con tanta precisione e maestria. In brevissimo tempo ha fatto
una barchetta, me la porge e mi dice di metterla nel ruscello che
scorre vicino alla piazzola. Mi dice anche di metterci dentro tutti
i miei affanni e le mie sofferenze perchè la barchetta troverà
un approdo dove poter trovare consolazione.
Lo ringrazio commossa, ci salutiamo e mi avvio per la mia strada,
ogni tanto mi guardo indietro, pensando di aver sognato, guardo la
mia mano stringere la barchetta e so che non è stato un sogno.
L’abbandono nell’acqua limpida del ruscello e la guardo
correre via veloce e sicura, scompare alla mia vista dietro un’ansa
e allora scoppio in un pianto dirotto e liberatorio.
Mentre guido sulla via del ritorno, ripenso agli occhi del pastore,
occhi che sembravano aver vissuto mille anni, occhi di un’anima
antica.
Non importa chi sei, sconosciuto, la tua comprensione ha lasciato
nella mia anima un ricordo indelebile e meraviglioso. Ora, quando
sono aggredita dall’affanno e dalla sofferenza, chiudo gli occhi,
e sono lì, su quel monte, e condivido nel silenzio, quasi sacro,
pane e vino, e scendo nuovamente in riva al limpido ruscello, dove,
simbolicamente, nel sogno sveglio riprovo la dolce e malinconica consolazione
di allora.
Agosto 2008 |