Nel tardo pomeriggio di una giornata estiva,
avevo allora quattro anni, il cortile cominciò ad animarsi,
uomini, donne e bambini facevano la spola dalle abitazioni al carro,
che sostava proprio al centro del cortile con il cavallo già
aggiogato, trasportavano provviste e masserizie.
C’era aria di festa, si andava tutti al mare per qualche giorno.
Io ero curiosa e piena di aspettativa, cosa sarà mai? Abitavamo
in un paese della Sardegna e non avevo mai visto il mare, né
avevo la più pallida idea di cosa fosse, ma ero contagiata
dall’allegria e l’eccitazione degli altri e non vedevo
l’ora di partire.
Ci stipammo tutti sul carro con le masserizie, e due caprette (latte
fresco per noi bambini). E via! Per la grande avventura!
Abbandonammo la strada principale del paese passando davanti il cimitero,
le donne si segnarono col segno della croce e mormorarono delle preghiere,
come buon augurio per il viaggio, affidandoci tutti alla protezione
di Dio.
Viaggiammo lungo una strada sterrata, qua e là muretti di pietre
sormontati da schegge di vetro, e alte siepi di fichi d’india
proteggevano le tancas circostanti. Poi il paesaggio divenne più
aperto, l’orizzonte più ampio. Basse colline cespugliose,
alla base qualche quercia, sollievo alla calura per greggi e pastori,
cedevano il posto a grandi radure. Il verde rigoglioso della primavera
sostituito dall’oro estivo. Manciate di rosso sui campi di macchia
mediterranea che, con l’avvicinarsi della sera, emanava profumi
aromatici. Pareva che le donne avessero aperto le cassepanche della
biancheria preziosa, quella piena di ricami, che usano solamente per
le feste grandi.
Il vocio e l’eccitazione di noi bimbi andava calando come il
sole all’orizzonte. Arrivammo a destinazione che era ormai buio,
così non vidi il mare, pensai che mare fosse il nome dello
strano posto dove ci eravamo fermati.
Gli uomini aiutarono le donne a sistemare le masserizie dentro delle
capanne costruite, su quella che a me parve terra sottile, con canne
e stuoie. Poi sistemarono in un angolo tra le rocce un rudimentale
gabinetto. Altre famiglie erano arrivate da poco, il clima era festoso
e noi bambini giocammo un poco al lume delle lampade a carburo.
Mi piaceva l’odore del carburo. Evocava nella mia memoria i
momenti delle riunioni familiari, quando gli uomini tornavano dalla
miniera, dopo giorni di assenza, illuminando le stradine del paese
con le loro lampade. E noi bambini, felici solo della loro presenza
gli correvamo incontro,
paghi di uno stanco sorriso, un abbraccio, una carezza.
Consumammo, quindi, un pasto frugale a base di pane e formaggio e
una ciotola di latte di capra appena munto. Stanca del viaggio e dalle
novità, cullata dal chiacchiericcio delle donne, mi addormentai.
Un lieve chiarore e il bisogno di andare in bagno mi destarono molto
presto.
Intorno solo silenzio, dormivano tutti.
Mi alzai e, senza far rumore, a piedi nudi scivolai fuori, sollevando
appena un lembo della stuoia che fungeva da porta.
Il cielo andava schiarendosi, l’aria aveva un odore che mi spingeva
a respirare a pieni polmoni. Sulle dune di sabbia c’erano ciuffi
di strane erbe piene di minuscoli fiorellini bianchi, mi attardai
a raccoglierne un mazzolino per la mamma. Arrivata sulla cima di una
duna mi accorsi che tutto intorno a me si tingeva improvvisamente
di rosa, alzai gli occhi e… la vidi; una enorme distesa, liscia
e rosata senza ostacoli né confini…. pochi secondi e
già tutto stava cambiando colore, il rosa cedeva il posto all’azzurro,
al blu oltremare, al verde smeraldo, nell’acqua una miriade
di scintille d’oro e d’argento. Le dune circostanti sembravano
gioielli, i colori dormienti, risvegliati dai primi raggi di sole,
si aprivano come code di pavone, si fondevano tra loro in mille sfumature
diverse.
Ero immersa in un caleidoscopio in evoluzione, ero… parte di
esso. Anch’io mi sentivo luminosa e brillante come una gemma.
Il senso della meraviglia e dello stupore, una gioia immensa, incontenibile,
mi pervasero,e immobile davanti al mare m’innamorai perdutamente!
Stavo vivendo quegli attimi come il regalo più bello,non c’era
altro da desiderare!
L’incanto per quella profusione di bellezza mi tenne avvinta,
i nudi piedini saldati sulla sabbia, quasi avessero radici, ed io
con tutta me stessa desiderai che quei momenti di appartenenza non
finissero mai.
Era per me, e soltanto per me, quello spettacolo di gloria, ne ero
sicura!
Mi riscosse dal mio fantasticare la voce di mia madre, che poggiandomi
dolcemente una mano sulla spalla, disse: Francesca, questo è
il Mare.
Lentamente, girandomi e guardandola negli occhi, seria, seria, le
risposi: E’ bello! E’ mio!
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