Tanti anni fa nel paesino di Calagonone vivevano due fratelli, il
più giovane era un abilissimo pescatore, l’altro faceva
il muratore. Tutte le sere, quando il tempo lo permetteva, Giovannino
andava a pesca con la sua barca. Non si allontanava troppo dalla riva,
in genere stava a un paio di miglia dalla costa, le luci delle case
gli servivano come punto di riferimento. Ritornava all’alba
e quando c’era un po’ di nebbia, cercava le punte della
montagna, in particolare quella del monte Bardia, il massiccio calcareo
sopra il paesino di Calagonone. Quando sbarcava, toglieva il pescato
dalle reti, lo metteva nelle cassette di legno piene di ghiaccio e
poi con il furgoncino andava a venderlo a Dorgali o a Orosei. I giorni
in cui non andava a pesca, rassettava le reti se c’era qualche
strappo, ogni tanto andava al bar centrale ad ascoltare le balle degli
altri pescatori. Un giorno, proprio uno di quelli in cui non usciva
con la barca, ascoltò con molta curiosità il racconto
di zio Totò. Questi era un vecchio pescatore, sempre in compagnia
di un altrettanto vecchio cane, mezzo spelacchiato, sporco e forse
carico anche di strani animaletti che gli saltellavano sulla coda.
Aveva abbandonato il lavoro da pochi anni e viveva della carità
degli altri pescatori, ma nessuno quanto lui conosceva i fondali di
tutta la costa. Ogni tanto lo sivedeva al porto, salire sulla sua
barchetta e andare a pesca di polpi e di gamberetti, non lontano dagli
scogli. Il racconto di zio Totò mi aveva tanto incuriosito,
p er il semplice fattoche non sembrava del tutto privo di un fondo
di verità. Diceva che quando qualcuno si avvicinava ai grottoni
di Calaluna si sentivano dei muggiti provenire dall’interno,
così terrificanti che facevano rabbrividire chiunque volesse
fare la conoscenza di questomisterioso animale. Diceva anche che qualche
pescatore che ci aveva provato era ritornatoal molo con le reti completamente
sfasciate. Tutti i pescatori del circondario avevano
sentito questi muggiti, proprio come diceva zio Totò e anche
i pescatori più coraggiosiavevano paura ad avvicinarsi ai grottoni.
Venivano alla mente mostri fantastici: chi diceva che questi buoi
avessero la testa umana o che al posto delle zampe avessero delle
pinne e ogni giorno che passava venivano aggiunti altri particolari.
Dopo un po’ di tempo le acque vicino a Calaluna erano diventate
tabù per tutti i pescatori, i quali preferivano girare al largo
da quella zona, tirando fuori la scusa che non erano zone pescose
o che i fondali erano troppo bassi. Giovannino quella sera era rincasato
rimuginando il racconto fatto da zio Totò. Intanto l’estate
stava finendo e anche il pescato lentamente diminuiva, perché
con la sua barchetta non poteva certo affrontare il largo. Un giorno
in cui aveva pescato soltanto pochi pesci da zuppa o quei pesciolini
detti “diavoletti”, che lui ributtava prontamente in acqua,
decise di avvicinarsi ai grottoni, sapeva che quei fondali erano pescosi,
proprio perché non ci andava mai nessuno. Ma la fortuna non
era proprio dalla sua parte; il tempo stava cambiando e il cielo si
era rannuvolato nel giro di pochi minuti.
Decise di tornare a casa, quando di colpo scoppiò un forte
temporale. Il vento gli strappò la vela e lo spinse alla deriva,
la barca si schiantò sugli scogli e lui cadde in mare. Giovannino
raggiunse a fatica la spiaggia, nuotando tra le onde del mare in tempesta.
Un altro pescatore sarebbe sicuramente annegato, ma Giovannino era
un abile nuotatore e riuscì a salvarsi. Sebbene fosse terrorizzato
all’idea di brutti incontri, si fece coraggio e si rifugiò
nel grottone più vicino e ancora tutto intirizzito cercò
riparo all’interno. Era bagnato fradicio, ma all’interno
della grotta c’era abbastanza caldo, si tolse i pantaloncini
e la maglietta, si coprì con la sabbia come potè e provò
a dormire. Ma quella notte non riuscì a prendere sonno, pensava
alla barca distrutta e soprattutto agli abitatori dei grottoni.
Stranamente non sentiva i muggiti come nel racconto di zio Totò.
Al villaggio tutti pensavano che Giovannino fosse annegato, ma il
fratello era sicuro che fosse ancora vivo.
La mattina seguente andò al molo, di fronte alla spiaggia centrale
e scrutò l’orizzonte, sperando di vederlo arrivare a
bordo della sua barca. Giovannino, al sorgere del sole, uscì
dalla grotta, sperava che un’imbarcazione passasse di lì
e di sicuro l’avrebbe notato.
Quando ecco che, proprio dalla grotta in cui lui si era rifugiato
e aveva passato la notte, ne uscirono i famosi muggiti del racconto
di zio Totò. Il giovane pescatore non si perse d’animo
e si avvicinò con cautela alla grotta. I muggiti provenivano
dalla parte più interna della grotta ed erano amplificati dal
vuoto che si creava all’interno, come in una cassa di risonanza.
Penetrò all’interno dove c’era ancora visibilità
e quale fu il suo stupore quando vide gli autori di questi strani
echi. Sdraiate sulla sabbia c’erano una decina di foche, lunghe
poco più di un metro, completamente nere tanto da confondersi
coi massi, alcune allattavano dei piccoli appena nati. Nonostante
la sua disavventura, un sorriso spuntò sulla faccia di Giovannino,
non vedeva l’ora di raccontare a zio Totò e a tutto il
paese la pericolosità e la mostruosità dei tanto temuti
buoi marini. Superata la sorpresa uscì di nuovo fuori per vedere
se passasse qualche imbarcazione e farsi riportare a casa, ma l’attesa
fu vana, come ben sapeva, quella parte della costa era evitata dai
pescatori. Si fece coraggio e s’incamminò su per il costone
ripido al disopra dei grottoni. Era una bella mattinata, un sole abbastanza
caldo lo aveva rinfrancato e gli aveva dato le forze necessarie per
raggiungere il paese. Attraversando il monte, per un sentiero appena
abbozzato dalle capre, annusava il profumo del mirto e delle piante
secolari di ginepro e respirava a pieni polmoni l’aria salina,
che si mischiava al profumo delle piante. Dopo un paio d’ore,
di buon passo raggiunse il paese e la notizia del suo arrivo si sparse
immediatamente non solo nella marina ma anche a Dorgali. Giovannino
quella mattina non riuscì neanche ad arrivare a casa, lo portarono
di peso, come un trionfatore, nel bar centrale di fronte alla spiaggia.
Fuimmediatamente accerchiato da decine di facce incuriosite, che volevano
ascoltare in che modo fosse riuscito a salvarsi nella tempesta, come
avesse fatto a raggiungere Calagonone.
Ma quale fu la sorpresa degli ascoltatori quando lui svelò
il mistero delle “grotte del bue marino” e l’incontro
ravvicinato che lui aveva fatto. Giovannino non avrebbe mai immaginato
i danni che avrebbe comportato, nei giorni successivi, quella rivelazione.
Infatti, già dal giorno dopo, ci fu un via vai di pescatori
e di curiosi che andarono a pescare a poche decine di metri dai grottoni,
altri addirittura penetrarono nei grottoni, uccisero a colpi di bastone
le foche che vi trovarono dentro e le riportarono come trofei a Dorgali.
Le avevano collocate sopra i cofani delle macchine e giravano in tutto
il paese, suonando iclacson, come facevano i cacciatori di cinghiali,
quando ritornavano dalle battute con i loro. Ormai era diventata un’abitudine
per i pescatori di Dorgali e di Orosei, quando non prendevano molto
pesce, andavano a caccia di foche nei grottoni, anche perché
la loro carne era richiesta in tutto il circondario. Giovannino non
si dava pace, mai e poi mai avrebbe immaginato un simile sterminio!
Non solo, anche zio Totò gli aveva tolto il saluto e quando
lo incrociava per strada, lo guardava fisso negli occhi come per dire:
“Io lo sapevo, ma non l’avevo mai svelato, perché
volevo proteggere quegli animali indifesi”. Nel giro di poche
settimane, le foche scomparvero dai grottoni, come se fossero emigrate
verso mari lontani e più sicuri. Anche i pescatori avevano
perso il loro buonumore, dopo le abbondanti pescate, soprattutto nelle
acque profonde di fronte ai grottoni, tornavano spesso soltanto con
qualche cassetta di pesce. Dicevano che le foche si erano rifugiate
nei fondali più profondi e che risalivano in superficie per
cacciare “il loro pesce” e se tornavano a casa a mani
vuote e con grossi squarci nelle reti, la colpa era sicuramente delle
foche che, con pochi sforzi rubavano “i loro pesci”. Alcuni
si erano attrezzati comprando reti più robuste, più
lunghe e a maglie più strette, ma il risultato era sempre lo
stesso. Stava arrivando l’inverno, il mare si era fatto sempre
più minaccioso, ma i pescatori uscivano ugualmente, anche solo
per
poche ore. Avevano bocche da sfamare e non potevano rinunciare neanche
a una misera cassetta di pescato. Un giorno uno degli “sterminatori
di foche”, con la sua barca si era avvicinato ai grottoni, magari
avrebbe portato a casa una delle ultime foche rimaste. Il mare d’improvviso
era diventato molto brutto, le onde erano diventate sempre più
alte, la barca era diventata quasi incontrollabile e rischiava di
andare a sbattere contro gli scogli.
Decise finalmente di tirare su le reti e ritornare a casa, era troppo
rischioso continuare la pesca con il mare in quelle condizioni. Ma
c’era qualcosa che non andava, non riusciva a tirare su le reti,
dovevano essersi impigliate con qualcosa sul fondo. Proprio mentre
eseguiva la manovra, un’onda rovesciò la barca e lui
si ritrovò in acqua. Cercò di raggiungere la riva, ma
un piede si era impigliato nelle reti e lo stava trascinando giù
a fondo. Prese un respiro profondo e si immerse, dopo aver sfoderato
il coltello che teneva sempre legato alla cintola. Tagliò la
rete come potè, ma la visibilità era molto scarsa, a
causa anche delle alghe che lo avvolgevano come un lenzuolo, ormai
non aveva più fiato.
Prima di lasciarsi andare e aprire la bocca per cercare un ultimo
respiro, gli sembrò di vedere una massa scura che girava attorno
a lui: era una foca.
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