(da
Pitzinnos minores -
Reminiscenze d’infanzia)
Erano tempi sicuramente difficili, per il ceto sociale di appartenenza
del piccolo Luiseddu, di scuola materna, non solo, non si parlava,
ma con molta probabilità, non vi era nessun riferimento circa
la sua esistenza. Appunto per questo, il primo approccio diretto con
le istituzioni e le sue attività culturali, sociali e di aggregazione,
era sicuramente la prima classe della “Scuola Elementare”.
Per quel birbante di fanciullo, quel fatidico giorno, si avvicinava
in modo più che veloce, mentre le giornate sembrava corressero
celermente. Così con l’emozione, anche la paura, che
a dir poco, erano seriamente intense e angoscianti.
Malgrado questo stato d’animo, l’incontro con una più
ampia e vasta mole di coetanei, stuzzicava, nel fanciullo, una vigorosa
fantasia con mille interrogativi, che purtroppo e inesorabilmente
restavano senza una giusta risposta.
Il ragazzo intravedeva con la mente, i numerosi e legittimi pregi
che, indubbiamente, comportava l’andare a scuola, con chissà,
quali e quante nuove competenze che avrebbe abilmente potuto acquisire,
ma…. nello stesso momento, meditava: “Che tipo sarà
il mio maestro, forse sarà come un uomo duro e severo. Riuscirò
a comprendere i suoi insegnamenti e a farmi capire facilmente?”.
Rifletteva in continuazione, sulla sua adeguatezza a quella compagine
scolastica, per lui nuova forma di vita sociale, ma che, col giusto
impegno, l’avrebbe potuto proiettare verso un futuro innegabilmente
migliore e prosperoso, sia culturalmente, che nel mondo del lavoro.
Arrivò il giorno dell’esordio da scolaro: “Luisè
fai da bravo e ascolta quanto ti dice il maestro – raccomandava
premurosa tzia Frantzisca – Fizu meu , oggi ti daranno, il quaderno
con la matita. Tra qualche giorno avrai anche un libro tutto per te.
Cerca di apprendere più che puoi e vedrai che da te uscirà
un bravo dottore”.
Come risposta, la donna si sentì un immediato “Va bene
mà, state tranquilla, sarò bravo e scrupoloso nel seguire
le lezioni, vedrete che presto sarete orgogliosa di vostro figlio”.
Così, dopo un forte abbraccio, si avviò da solo verso
la scuola. La mamma non poteva accompagnarlo: aveva altre incombenze
in famiglia, e poi vi erano i fratellini più piccoli che necessitavano
della sua presenza.
Era comunque colmo di gioia, ma sicuramente, sommerso da un’indiscutibile
incertezza, mentre elaborava con la sua fantasia, l’inevitabile
momento dell’incontro con gli alunni e l’insegnante.
La scuola, non era tanto vicina, ma se pur lungo, quel percorso, si
concluse velocemente, senza che si rendesse conto della distanza.
Nella mente del fanciullo, continuavano a sussistere esclusivamente,
pensieri inerenti al primo approccio, con la nuova realtà.
Giunto, nel cortile dell’istituto, vide, una marea di bambini,
tanti, con straordinaria disinvoltura, pochi, muniti del grembiulino
blu e colletto bianco completato da un bel nastro rosso. Questi ultimi,
le sembrarono esseri giunti da un mondo diverso, sicuramente non suo.
Luiseddu faceva parte di quella componente più povera. Senza
gli eleganti grembiuli, di conseguenza, bambini che apparivano poco
spigliati e imbarazzati.
Altri, incuranti del solenne momento, giocavano con disinvoltura e
attendevano il richiamo della campanella che avrebbe segnalato per
tutti l’orario e quindi l’ingresso alla scuola.
Lo squillo forte e stridente non tardò ad arrivare, Luiseddu,
insieme con gli altri, si avviò verso l’enorme portone
di legno, dove, una bidella, con dura imponenza e un lungo elenco
in mano, chiamava all’appello uno per uno i bambini della prima
classe, invitandoli a sostare per qualche attimo accanto a lei.
Effettuato il primo ingresso degli alunni più grandi, che,
avrebbero frequentato le classi superiori e, completata la visione
dei nomi presenti in elenco, con la conferma delle presenze, la bidella
invitava i gruppi delle prime classi, separati per sezioni e per sesso,
a comporsi in fila per due, e via, li accompagnò in aula.
Vengono, fatti accomodare in modo del tutto casuale, in enormi banchi,
costruiti in legno massiccio di colore scuro, ma sbiaditi dal tempo,
e resi vecchi anche dalle tante impronte incise con utensili metallici,
che i ragazzi, in precedenza, avevano voluto lasciare come un’indelebile
propria impronta personale.
Quei banchi, in sostanza, erano costituiti da un tavolone con il piano
leggermente inclinato nella parte anteriore impiegato come punto di
lavoro, e nella parte superiore invece, da una lunga striscia piatta,
con degli incavi per poggiare le matite o eventuali penne, e da degli
incavi che contenevano tre tinteris . Questi naturalmente erano, destinati
alle classi superiori, che utilizzavano penna e calamaio.
“State zitti e composti, che presto arriva il maestro –
disse la bidella – Mi raccomando, come lo vedete entrare, dovete
tutti alzarvi in piedi. Questo, vale come segno di rispetto per la
persona che vi condurrà, verso l’apprendimento. Sarà
lui, a dirvi, potrete accomodarvi”.
La donna, stava appena completando le sue raccomandazioni, si sentì
lo scricchiolare della porta che si apriva leggermente. A quel punto
tutti gli sguardi dei ragazzi si voltarono verso la porta con la speranza
di poter vedere una faccia amichevole e simpatica.
Ed ecco, apparire un uomo, molto elegante, alto, distinto, con l’apparenza
di un vero signore, con una personalità che raramente, almeno
all’epoca, si era abituati a vedere.
Forse, seguendo le disposizioni avute dalla bidella, o chissà,
impauriti dalla presenza autorevole dell’uomo, di colpo, in
modo fulmineo, tutti gli alunni si alzarono, disponendosi in posizione
d’attenti, come se fossero dei veri soldatini.
“Buon giorno ragazzi – esordì, l’insegnante
– Questo è un momento importante per la vostra vita,
la prima elementare è l’inizio del vostro viaggio verso
il mondo della conoscenza e della cultura. Dovete avere costanza,
rispetto verso il maestro e gli stessi vostri compagni di scuola,
con la voglia di apprendere e saper coniugare lo studio con le vostre
esigenze in modo appassionante. Se sarete disposti a seguire quanto
vi sto dicendo, in me, oltre al maestro, troverete colui che vi guiderà,
con piacere, verso la strada del sapere. Ora potete stare seduti,
e così con l’augurio più sincero per tutti, diamo
inizio alle lezioni”.
Luiseddu, si sentì rassicurato dal tono e modo coinvolgente
dell’intervento. Non aveva mai sentito un discorso così
notevole espresso da una persona di tanto elevata cultura.
In ogni modo, il ragionamento, se pur al momento complicato, sembrava
espresso da un individuo che, sapeva accattivarsi la simpatia degli
alunni, e questo, non era altro che un inizio molto positivo, che
dava al ragazzo la giusta tranquillità, per affrontare la scuola
con più serenità e sicurezza.
Il maestro dispose in ordine d’altezza gli alunni nei banchi,
destinando i più piccoli alle prime file dei banconi (in modo
che potessero vedere meglio) e così a seguire nelle linee successive
gli altri, rispettando sempre la statura fisica.
Luiseddu essendo sin da piccolo “un’ispilungone ”,
di conseguenza, si trovava a condividere con altri cinque l’ultima
schiera, che nonostante la posizione e la distanza dalla cattedra,
riusciva ad avere una buona visibilità.
L’uomo, una volta sistemati logisticamente gli scolari con le
proprie posizioni nei banconi, prese dalla cattedra, una serie di
quaderni a righe con delle matite che distribuì a tutti gli
alunni, di seguito dei sillabari che furono suddivisi uno per banco,
invitando così i bambini, alla consultazione di gruppo, questo,
in modo da sollecitare la collaborazione tra compagni di banco.
Nel sillabario, erano presenti tutti i caratteri dell’alfabeto,
sia in maiuscolo che in minuscolo e alcune immagini, rendendolo molto
più accettabile e gradevole visivamente.
Con le lettere del sillabario allegate, occorreva comporre il nome
in modo appropriato alla relativa immagine.
Per quei ragazzi, era tabù, forse per negligenza delle stesse
famiglie, che non avevano dato ai piccoli un minimo di preparazione.
Di conseguenza, nessuno era in grado di conoscere una sola lettera
dell’alfabeto.
Il maestro, in modo autorevole, scrisse nella lavagna l’alfabeto
completo, soffermandosi, lettera per lettera, per darne una giusta
definizione al momento del compimento della parola presa in considerazione.
In seguito, coinvolse direttamente in modo casuale gli stessi alunni,
dando inizio, o perlomeno tentando, di seguire un percorso di lettura,
con parole composte e scritte nella stringa di sotto le immagini presenti
nel sillabario.
Un lavoro sicuramente duro per i ragazzi, ma nello stesso momento,
perfino per il maestro, che malgrado, il suo entusiasmo iniziale e
la sua capacità d’insegnamento, non era soddisfatto dei
risultati in quei momenti visibili, indubbiamente del tutto scarsi
o inesistenti.
Le stesse immagini del sillabario in forma gigantesca e relativa descrizione,
erano visibili ai lati, nelle pareti della spaziosa aula.
Gli scolari, pensavano che, gli addobbi presenti, fossero un modo
per abbellire l’aula, rendendola più accogliente e consona
alla scuola, invece, si accorsero quasi subito che, così non
era.
“Adesso chiamerò qualcuno di voi, per constatare se riesce
a leggere il nome scritto sotto di ognuna delle immagini che v’indicherò.
- disse l’insegnante - Vediamo… il primo a rispondere
sarà Nanneddu, poi passerò a qualche altro”.
Il ragazzo, si alzò in piedi, impaurito e tremante. Il maestro
lo sollecitò: “Cerca di farcela a leggere al di sotto
di questa figura. Cosa c’è scritto?”, silenzio
perfetto, e conseguente imbarazzo di tutti.
Dopo qualche attimo d’attesa: “Vediamo, se cambiando soggetto,
riesci, a dirmi cosa c’è scritto qui?”. Ancora
uno scoraggiato silenzio e tanto disagio.
A Luiseddu, pur non sapendo leggere e abituato alla parlata in lingua
sarda, in quei momenti gli brillarono gli occhi, col sorriso tra le
labbra pensava: “Ma che stupido, c’è il disegno
sopra, e così semplice, basta guardare la figura e cercare
di imitarne il nome con una finta lettura”.
L’insegnante, pronto e attento, colse l’attimo e il sorriso
di Luiseddu: “Vedo che hai un bel sorrisino, forse tu hai appreso
la lezione, e sai leggere le scritte sotto le immagini appiccicate
nelle pareti?”.
Luiseddu, veloce e compiaciuto ribatté: “Si signor maestro,
penso proprio di si”.
Di riscontro l’insegnante: “Vediamo se, effettivamente
è così”, puntò la bacchetta verso la prima
scritta e, Luiseddu, considerando che sopra vi era raffigurata la
bicicletta, diede inizio alla sua appassionante lettura, fingendo
per tutti una certa difficoltà “bi-ci-cre-tta”.
Un beffardo punto di buonumore, si leggeva sulle guance del graffiante
maestro, assecondando il ragazzo, disse: “Complimenti, se proprio
bravo!”.
Lo scolaro, orgoglioso e pago dei complementi ricevuti, è convinto
d’averlo in qualche modo saputo aggirare, si accomodò
nuovamente al suo posto.
“Luiseddu è stato bravo – rimarcò il maestro
– ora sentiamo qualche altro, vediamo di capire se, vi è
un altro che ha la stessa abilità e la medesima diligenza di
lui; tu Pauleddu, leggimi quanto appare su questa scritta”,
con l’estremità della bacchetta, indicò ancora
una volta sotto una delle tante immagini.
“Non so, signor maestro” fu la replica del bambino più
che imbarazzato. Di seguito, si assistette a una corale risatina sarcastica
dei compagni.
L’insegnante, come spazientito si lamentò: “Cari
ragazzi, qui non ci siamo, a parte il bravo Luiseddu, gli altri, non
state dando quanto è nelle vostre possibilità, per di
più vi beffate dei compagni. Cercate di prendere esempio dall’unico
che vi sta dimostrando, con grande abilità, tutto il suo impegno.
Ritorniamo da lui, e cercate di prendere come esempio la sua attitudine
verso la lettura”
Rivolto verso Luiseddu: “Dai dimmi? qui cosa riesci a leggere?”,
stesso gioco, l’immagine era della trottola e di conseguenza:
“do-rrro-n-za”, e così, l’orgoglio del piccolo,
si replicò.
“Sei un campione, vediamo se mi leggi anche questa” Così
il maestro puntò la bacchetta verso la scritta al di sotto
della tartaruga e, Luiseddu con una disinvoltura straordinaria lesse:
“to-sto-ghi-ne”. “Sei sorprendente, hai un intelletto
fuori dal comune, bravo congratulazioni!”. Concludeva l’insegnante.
La gioia del ragazzo, non era condivisa dai compagni di classe, che
iniziavano a vedere in Luiseddu, il sapientone, colui che, aveva saputo
attirarsi la simpatia e l’attrazione benevola del maestro, di
conseguenza, un soggetto destinato ai privilegi della classe.
L’insegnante, forse, stanco per la lezione di lettura, ritenne
di doversi allontanare per qualche minuto, per questo, con un campanello,
chiamò la bidella per sostituirlo e tenere così l’ordine
della classe.
I bambini, leggermente afflitti, per il risultato negativo della lettura,
non avevano ne voglia, ne umore, per far chiasso, e pertanto, la bidella,
non ebbe difficoltà a far rispettare la giusta pacatezza in
classe.
Ma ecco, un quarto d’ora dopo, quando la monotonia la stava
facendo da padrona, sentirono lo scricchiolio e il riaprirsi della
porta così il maestro rientrava in classe.
In sua compagnia tre belle signore, alquanto giovanili ed eleganti.
Erano sue colleghe, insegnanti in classi diverse, ma dello stesso
istituto.
“Bambini, cercate di fare silenzio che riprendiamo le lezioni
di lettura – affermò in modo autoritario il maestro –
queste signore sono delle insegnanti, sono venute per vedere personalmente
quanto siete capaci nell’apprendimento”.
Di seguito, si girò verso le colleghe, e con tono impegnato
e convinto dichiarò: “Care signore, i ragazzi oggi in
questa classe, si sono applicati in una lezione di lettura. Purtroppo,
non tutti hanno dato quanto è nelle loro possibilità,
alcuni sicuramente, si sono impegnati più di altri. Tra questi,
c’è il caso, di un ragazzo sorprendente, legge quanto
scritto sotto i cartelloni con grande capacità e sicurezza.
Se permettete, voglio farvi conoscere l’alunno e voi stesse,
potete metterlo alla prova, in questo modo, vi renderete conto, di
quanta inclinazione verso lo studio c’è in lui”.
Le donne, si mostrarono decisamente incredule e attonite, nel sentire
il proprio collega che lodava in modo così considerevole, quell’abile
e capace alunno.
Una di loro, stimolata dal modo coinvolgente del collega, sostenne:
“Dai, facci conoscere il fanciullo, sono proprio curiosa di
sapere se quanto affermi, è vero”.
Così, prese in mano la bacchetta e si rivolse a Luiseddu, invitandolo
ad alzarsi in piedi.
Subito pronto, con uno scatto, si sollevò, incominciando a
riassaporare la felicità dei complimenti, che da lì
a poco avrebbe sicuramente ricevuto.
Il maestro, puntò la bacchetta verso la prima scritta, con
sopra la solita e bella bicicletta, “Leggi questa parola”
Luiseddu scattante ma, stentando una certa difficoltà nella
lettura: “Bi-ci-cre-tta”.
“Bravo complimenti – confermò l’insegnate
– hai saputo leggere correttamente anche adesso”.
Si rivolse alle signore presenti con senso di gioia e ironia: “Avete
visto che capacità?”.
“Sì, - ribatté una di loro, fingendo una certa
perplessità ma sentiamolo ancora, vediamo se è davvero
così bravo, - leggendo tutte le scritte”.
Il maestro visibilmente soddisfatto continuò in modo beffeggiante
e disse: “State pur certe che Luiseddu riuscirà a leggere
tutto, perché, è in effetti, un talento naturale”.
Si concentrò nuovamente verso il fanciullo con aria paterna,
e con la bacchetta in mano, indicò le nuove scritte disposte
sempre col medesimo criterio: immagine sopra e scritta sotto.
“Leggi questa:” e così pronto il bambino, ma con
finta perplessità, esaminò con maggiore e lunga attenzione
la bella tartaruga che le veniva segnalata: “To-sto-ghi-ne”.
“Complimenti, e questa?” guidando la bacchetta sotto la
bella trottola: “Do-rrro-n-za”, in quella occasione mostrò
una maggiore sicurezza.
Ancora il regolare bravo, e i complimenti sempre più accorati
e convincenti del galante insegnate e belle colleghe.
“Leggi ancora questa:” individuando la scritta sotto un
bel mappamondo, Luiseddu con immediatezza e una stupefacente disinvoltura:
“Gro-bb-o”.
Con aria ironica, “il premuroso” educatore, manifestò
tutta la sua ammirazione per il ragazzo, e così, invitò
le colleghe, a esprimere un proprio giudizio, per quell’alunno,
per la sua determinazione e il notevole impegno nel saper leggere
le scritte, con una sua non trascurabile capacità che andava
oltre la norma e della solita lettura, ma con illuminazioni interpretative
ben definite.
Tutte, si fecero una dolce risatina, e con un sarcastico “bravo”
collettivo, salutarono il collega e abbandonarono l’aula, lasciando
Luiseddu, nella convinzione che tutto era andato alla perfezione.
Il maestro, ben soddisfatto di quanto avvenuto, invitandolo a riaccomodarsi
nuovamente al suo posto, si complimentò nuovamente in modo
del tutto canzonante col fanciullo.
Il gioco, si ripetè ancora nei giorni a seguire in modo molto
frequente, con educatrici spesso diverse, ma sempre, con le solite
finali ilarità ironiche delle convenute.
Questo, finchè lo scolaro, non ebbe a capire che, non era lui
a prendersi gioco del maestro, ma al contrario, e che, in modo del
tutto irrispettoso e arbitrario, utilizzava il suo ruolo di docente,
per trascorre alcuni momenti di goliardia e spensieratezza in compagnia
delle giovani belle e seducenti colleghe.
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