(da
Pitzinnos minores -
Reminiscenze d’infanzia)
Era il mese di dicembre, le olive erano a buon punto di maturazione.
Per questo motivo, si doveva andare a più riprese in campagna
a su cunzau, “a fachere sas prathas ”, per preparare la
raccolta delle olive.
A fine settimana, tutti, dal più grande al più piccolo,
dovevano dare il proprio contributo alla preparazione. Le piante d’olivo
erano tante e il tempo della raccolta si avvicinava.
Per una migliore riuscita, ognuno di loro, lavorava autonomamente
in ogni singolo albero. Con un rastrello, si strappavano le lunghe
erbacce dal terreno, creando al dì sotto dell’albero
una sorta di cortina.
Di seguito con una zappa molto larga e sicuramente ben affilata che
chiamavano “sa marra”, dovevano rasare il terreno, quanto
il rastrello non era riuscito in precedenza a strappare.
Sas prathas, dovevano essere perfette, poiché, se erano ben
fatte, si sarebbero raccolte le olive in modo migliore, senza lasciarne
per terra, e per giunta, più velocemente.
Un lavoro, sicuramente, semplice per Mario che, aveva quattordici
anni, e forse anche per Gonario che aveva dodici anni, ma per Luiseddu
e Piero che ne avevano rispettivamente otto e quattro, indubbiamente
era abbastanza faticoso e impegnativo.
Infatti, si pretendeva il contributo di tutti, compresi i piccoli,
anche se in tenera età, il loro aiuto doveva essere importante.
Il problema maggiore, era non solo l’erbaccia, spesso dura e
difficile da strappare, ma anche, le numerose piantine di cardi che,
con le loro pungenti spine, spesso, ferivano le loro mani.
In occasione della raccolta, poichè si effettuava l’abbacchiatura
in modo del tutto manuale, tziu Badore prendeva con una lunga “mazadorja
” che l’infilava tra i rami, evitando di colpire le olive,
esercitava una continua vibrazione sui rami.
In quel modo, le olive cadevano a terra senza subire botte o raschiature,
mentre i ragazzi insieme alle donne, dovevano effettuarne con cura
la raccolta.
Il lavoro andava avanti per diverse settimane, di seguito con il carro
a buoi, occorreva, portare le olive al mulino per la macina.
Questo, si trovava nella zona di “Monte Longu” nel rione
di “Santu Predu”, dove, nel medioevo, insieme a “Seuna”,
collegati dalla “via Majore”, era data origine alla città
di Nuoro.
La macinazione, se pur oneroso come impegno per tziu Badore, coinvolgeva
marginalmente i fanciulli.
Raccolte le olive proprie, spesso si andava a dare una mano ai confinanti,
che avevano continuamente bisogno di manovalanza a basso costo.
Il caso di tziu Martine Verachi, vedendo quotidianamente Gonario,
Luiseddu e Piero, che periodicamente si trattenevano in su cunzau,
chiese loro se, potessero contribuire nel lavoro, dandogli una mano
assieme ad altri “manibales ”.
Non avendo altro da fare, i tre, confermarono che sarebbero stati
sicuramente ben disposti, rendendosi subito disponibili.
In quel modo, stando alla loro fantasia, avrebbero avuto occasioni
di conversazione, con persone diverse e si sarebbero indubbiamente
distratti dalla solita noia.
Forse, avrebbero potuto ricavarne persino un sostanziale contributo,
ricevendo qualche regalia.
Come da disposizioni ricevute, al mattino successivo, quando la campagna
era ancora bagnata dalla brina, puntuali, si presentarono nella tenuta
di tziu Martine.
“Bene bennidos pitzinnos – disse l’uomo –
Como ja benini sos manibales e cumintzamus derettu e collire s’uliba
”.
Giusto, il tempo di chiedere ai piccoli collaboratori, notizie di
tziu Badore e tzia Frantzisca che, giunsero quattro o cinque uomini
con altrettante donne, poche chiacchiere di circostanza, e tutti insieme,
subito in direzione delle olive.
Il lavoro ebbe inizio come al solito, alcuni degli uomini, con sa
mazadorja, altri, insieme alle donne e ragazzi con dei barattoli di
lata da venti litri, nella raccolta, che questa, veniva eseguita con
estrema difficoltà.
Infatti, sas prathas, erano mal fatte e sporche. Così durante
la raccolta delle olive, spesso si veniva punti dalle numerose spine
rimaste in “sos mutzos lassàos longos ” dei cardi.
In una situazione del genere, gli adulti con mani più esperte
e callose, riuscivano più facilmente, mentre per i poveri ragazzi,
era una vera tortura.
Infatti, non riuscivano a vedersi, neanche in lontananza, risultati
positivi, o da considerarsi incoraggianti.
Prima che questi, riuscissero a riempire uno dei barattolo, le persone
adulte, presumibilmente, potevano colmarne almeno tre o quattro.
Sicuramente, se pur lavorando con estremo impegno, loro stessi, si
rendevano conto che, i risultati sarebbero stati negativi.
“Dai pitzinnos, chircae de bi ponnes prus capu – affermò
tziu Martine, dirigendosi verso i ragazzi con una nuova proposta –
Dazebos ite fachere, e cada bòte chi prenades, bor dao bindichi
francos. Chimbe peromine ”.
La proposta dell’uomo sembrava più che interessante,
e così i tre accettarono la sfida con se stessi. Da quel momento,
nonostante le spine dei cardi, l’impegno doveva essere superiore
a qualsiasi ostacolo, poiché, non sempre avevano l’opportunità
di poter intascare qualche soldino.
L’entusiasmo non mancava, ma messi alla prova, per riempire
gli enormi barattoli, occorreva troppo tempo, e dunque, vedevano sfumare
il sognato gruzzoletto.
Quando stavano per perdere ogni speranza e lasciarsi andare alla semplice
raccolta, a Gonario venne una bella idea. “Visto che le stiamo
raccogliendo molto distanti da tziu Martine, e quindi non ci può
vedere, possiamo riempire il barattolo di fieno, e poi, nella parte
superiore, mettiamo quattro o cinque dita di olive, illudendo gli
altri che, il nostro barattolo sia pieno. Che ne dite? Luiseddu e
Piero, considerarono che solo in quel modo potevano entrare in possesso
di qualche soldo, acconsentirono.
Si collocarono al lavoro negli alberi leggermente distanti, in posizioni
semi-nascoste dagli occhi indiscreti di tziu Martine e compagnia,
camuffando con calma, il contenuto del barattolo e, complettandolo
nella superficie, con delle olive ben pulite da qualsiasi residuo
di fieno.
Dopo di che, Gonario e Luiseddu, presero in mano uno a destra e l’altro
a sinistra il barattolo, fingendo di fare una grossa fatica per il
peso. Passarono dinanzi al loro datore di lavoro: “Tziu Martì,
bienne sezis unu bòte l’àmus prenu a cucuru –
disse Gonario – Ja àmus chircau de nor dare ite fachere
”.
“Bravos pitzinnos, gai mi piaghides, bio chi su dinare ja bor
fachet travallare fintzas sentza gana – rispose perplesso, ma
ben soddisfatto l’uomo – Como irboidaelu in su muntone
chi bes cudhai, e sichide a contipizare in su matessi modu ”.
Detto fatto, andarono verso il mucchio delle olive posto in uno spiazzo
poco distante e, cercarono in ogni modo di non farsi notare svuotarono
il barattolo, per poi riprendere immediatamente il trucco usato precedentemente.
“Dobbiamo fare con furbizia, piano-piano – disse Luiseddu
– Altrimenti, tziu Martine si accorge dell’espediente
e all’ora saranno guai seri”.
“Hai effettivamente ragione – replicò interessato
alla proposta Gonario – Facciamo in modo che, non riesca a sospettare.
Noi dobbiamo essere più furbi di lui, e così, avremo
soldi e, questa sera, quando si finirà, non saremo stanchi”.
Così fecero, ripetendo la stessa azione anche per il secondo
barattolo, “Biendhe sezis comente semus fachendhe su travallu
cun cussentzia – Disse Gonario rivolto all’uomo –
como àmus cumpresu menzus comente si depete fachere collinde
s’oliba, bi depiamus picare sa manu ”.
Il gioco se pur con prudenza, continuò per l’intera giornata,
senza che nessuno si rendesse conto dello stratagemma che, i tre piccoli
imbroglioni, avevano escogitato.
A lavoro ultimato, i barattoli raccolti erano ben tredici, un numero
sicuramente soddisfacente.
Prima di riprendere il viaggio per Nuoro, tziu Martine, prese dalla
tasca dei pantaloni un vecchio portamonete e rivolto ai giovani truffatori
disse: “Benie pitzinnos, chi bor depo dare sa paca, chi oje
cun cussentzia e impinnu bos azes meritau ”.
Tirò fuori alcune monete e…. “Su contu fachete
chimbantachimbe francos peromine, ma si comente apo cumpresu chi àzes
postu bolontade e sacrifitziu, tezi, bor dò settanta a cadaunu,
e ispendhidebollos pro cosas bonas ”.
I ragazzi, ritirarono i soldi e gioiosi, ringraziarono l’uomo,
e subito dopo intrapresero la strada verso il rientro, pensando al
piccolo bottino che si erano guadagnati.
“Certo era difficoltoso raccogliere quelle olive, in mezzo a
quelle erbacce e ai cardi, forse non dovevamo farle questo torto a
tziu Martine – disse, risentito Luiseddu – Lui è
stato tanto generoso con noi e invece l’abbiamo ripagato imbrogliandolo
in quel modo.
Anche Piero, condivideva la tesi appena esposta da fratello “E’
vero, certo i soldi ci fanno comodo, ma se dovesse arrivare la notizia
alle orecchie di babbo, saranno guai seri per tutti e tre”.
“Avete ragione è stata una brutta azione perpetrata ai
danni di una persona gentile e onesta – replicò, chiudendo
il discorso il fratello maggiore – ma ormai è fatta,
per ora cerchiamo di goderci questi soldi, e se un domani tziu Martine
ci dovesse cercare per aiutarlo in qualche altra cosa, non gli vogliamo
più niente.
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