Partimmo per il campeggio del 1978,
sulle note di Amerigo di Francesco Guccini, a bordo di un A -112,
gialla, di Natale Puddighinu, fratello di Franco e Mario. Con la macchina
stracarica ed il compito di montare una mega tenda, che avremmo potuto
usare tutti i giorni, fatto salvo il sabato e la domenica quando sarebbero
scesi i familiari dei miei amici.
Piero ci avrebbe raggiunti qualche giorno dopo. Terminato il compito
principale, Mario ripartì, rimanemmo io e Franco. All’imbrunire
e mentre pensavamo di preparare qualcosa per cena, ecco arrivare due
ragazze.
Si avvicinarono presentandosi, una Brigitte e l’altra Ingrid,
entrambe svizzere. Ci chiesero la cortesia di aiutarle a montare la
tenda, per poi, cosa che fu loro molto gradita, invitarle a cena.
Apparecchiammo il tavolino, preparando degli spaghetti al sugo e quindi
iniziammo a cenare. Il dialogo, complicatissimo, era fatto di monosillabi,
di risatine, di Ah? Comeee? Prego?, dovuti al fatto che non capissimo
una mazza del loro idioma e viceversa, dunque, una serie di spiegazioni
attraverso la mimica e le indicazioni.
“Mi passi il pane?” e ridere. “Buona questa pasta
eh?” e loro sganasciate. “Che ora è?”e si
asciugavano le lacrime.
A questa sorta di Babele di equivoci, si aggiunse una strana colonna
sonora. Ci guardammo, io e Franco, entrambi con un grande punto interrogativo
e la medesima domanda: “Ma…cos’era?”. Non
dovemmo attendere troppo la risposta, quando il suono si ripresentò
capimmo.
Erano le nostre ospiti che, senza ritegno, scorreggiavano come demoni:
via una, due, tre e poi giù risate. Non solo, ci invitavano
a fare qualche tiro di compiacenza.
Increduli, persino a disagio, seguimmo la performance sino alla fine,
ovvero tutta la cena: tro tro andava e tro tro tornava. Vino? tro
tro. Acqua? tro trooo! Gradite della frutta? tro tro tro!!!
Insomma si divertirono, divertendoci tantissimo, specie per la nostra
faccia esterrefatta, che pure in materia non è che fossimo
gli ultimi arrivati. Restarono nel camping qualche giorno, poi partirono;
ci mandarono dalla svizzera delle enormi stecche di cioccolato.
Iniziarono così le nostre vacanze e nel proseguo festeggiammo,
il 30 luglio, il compleanno mio e di Mario, 18 per me e una ventina
lui.
Per l’occasione riempimmo una enorme pentola di whisky e Coca
Cola.
Spaccammo le palle sino all’alba, specie con Franco P., il quale
stoico, eroico, indomito, temerario, feroce, ma in particolar modo
“cagacazzo, brandiva una “bette turudda” contro
l’oscurità e picchiava ritmicamente su un gigantesco
“copertore ”, provocando un frastuono metallico pazzesco
e urlando uno slogan, un po’ fuori tema e anche poco balneare:
“Via via… la nuova polizia”. C’era anche la
coreografia, l’emisfero vuoto di alcune angurie, con intagliati
bocca naso e occhi e l’aiuto di una pila che illuminando da
sotto completava l’opera.
Ovviamente, quella notte nessuno dormì.
I campeggiatori però se ne ebbero un pochino a male e l’indomani
mattina ci mandarono le giacche azzurre, i vigili urbani e le giubbe
rosse dei carabinieri. Noi eravamo tutti dentro, muti, fecero il giro
della tenda, che non potevano aprire, e poi se ne andarono.
Una delle condizioni inderogabili per il libero campeggio, era quella
di essere dotati del water, una sorta di cesso portatile nel quale
fare i propri bisogni per poi, con l’aggiunta di un prodotto
chimico, renderli inerti.
Così facemmo, poi, seguendo le istruzioni, lo aprimmo per la
verifica.
Fu terribile, spaventoso, Seveso al confronto sarebbe passata per
acqua di colonia. Un fetore orrendo, pestilenziale, di più,
ciò che c’era dentro sembrava una forma di vita.
Riuscimmo ad evitare l’intervento della protezione civile, e
la notte andammo sulla scogliera per liberarci del mostro versandolo
in mare, che non ne fu particolarmente felice.
Ora non vorrei esagerare, son passati tanti anni, era notte fonda.
Ricordo vagamente che dopo l’operazione il mare ribollì,
ed in cielo si stagliò una figura nella quale ci sembrò
di riconoscere il dio Nettuno.
Si girò lentamente guardandoci con aria truce, vide che cosa
avevamo fatto. Quindi sollevò le braccia e chiuse i pugni,
infilando nel contempo i pollici tra indice e medio nel classico gesto
delle fiche. “Lèh…, chi bos sicchezzas!”
tuonò. Non capimmo… che fosse in latino?
Come per tutte le cose, c’è sempre una fine, anche per
le vacanze. Gli ultimi giorni di agosto eravamo rimasti in due, io
e Piero.
Decidemmo che saremmo rientrati a Nuoro dopo aver applicato il piano
“P”, ovvero pattumiera. Consisteva nel non lasciare nulla
di commestibile in giro e quindi di non riportare inutili pesi appresso.
La pattumiera, ovviamente eravamo noi.
Spazzolammo fette biscottate, sottilette, affettati, budini, fontina,
gazzose e aranciate, una intera anguria e non ricordo più che
cos’altro, praticamente due otri.
Quindi dato un ultimo sguardo in giro e piegata la nostra fedele Rosetta,
partimmo. Non andammo troppo lontano perché dormimmo all’uscita
di Siniscola, utilizzando la tenda come un sacco a pelo.
L’indomani svegliandoci ci trovammo in mezzo a un sacco di gente
che ci osservava, avevamo dormito vicino alla fontana, davanti a una
chiesa.
Prima un attimo di smarrimento, poi come al solito cominciammo a cazzeggiare.
Ci avvicinammo alla fontana come non fossimo neanche insieme, c’erano
dei turisti stranieri, subito partì un rumorosissimo peto.
Questi si girarono verso di noi, ma noi facemmo lo stesso guardandoli
come dire: ”Eeh …ma dai, ajò, non si fa…
non si fa…”.
Irritatissimi si voltarono proprio mentre partiva un’altra bordata,
li guardammo quasi con biasimo, erano sgomenti.
Intanto arrivò un’auto, chiedemmo se andava a Nuoro.
“Si” rispose l’autista, mentre la passeggera esclamava:
”Piero!”. Era la sorella. Si tornava a casa.
Eravamo gonfi come otri e facemmo il viaggio fino a Nùoro obbligati
a comportarci urbanamente.
Quando ci scaricarono in via IV novembre e potemmo rilassare …un
po’ tutto, la gente si girava, ma non per guardare noi, no,
solo per scoprire da dove provenisse quel suono di fuochi d’artificio.
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