(da
Pitzinnos minores -
Reminiscenze d’infanzia)
Era sera, tziu Badore prima di andare a letto, diede disposizioni
a Gonario, Luiseddu e Piero che, l’indomani mattina di buona
ora, avrebbero dovuto recarsi a su cunzau. Erano tanti giorni che
nessuno vi scendeva e occorreva “cumpudare su locu ”.
“Partie in bon’ora, comente ch’esso deo pro andare
a traballare, e chircae de iserbare in s’ortu, ca bi debet’essere
creschia erba meda, e poi budhie unu pacu de berdura pro s’issalada
”, disse il babbo rivolto ai tre.
Il mattino seguente, non era neanche fatto giorno quando sentirono
la voce delicata ma autorevole del genitore: “ajò, pesande
sezis chi est ora de falare a su Grumene ”.
I ragazzi, che dormivano tutti e tre nello stesso letto, ancora profondamente
assonnati, cercarono di strizzare gli occhi, per potersi così
riprendere dal sonno e svegliarsi per iniziare una nuova giornata
da dedicare per intero alla campagna.
In quel periodo, causa un incendio partito dalla casa dei vicini,
che aveva reso la casa inabitabile, per motivi di sicurezza, vivevano
in una dimora di fortuna, situata nel quartiere “Chischeddu
‘e Longu” alla periferia della città.
Si trattava di un’abitazione campestre, priva di acqua corrente
e quindi dei più elementari servizi igienici.
Comunque, i tre, con un “cutzerone ” presero l’acqua
da un recipiente, riempito in precedenza per gli utilizzi d’emergenza
(altrimenti sarebbero dovuti scendere alla “bartza ”,
situata nel piccolo ruscello che scorreva poco distante) e la versarono
in un lavamano.
Nello stesso contenitore e con la stessa acqua, si diedero una breve
sciacquata del viso usando un pezzo di sapone artigianale fatto in
casa da tzia Frantzisca col grasso di maiale, e la soda.
Così, si era pronti per la partenza.
Gonario, il più grandicello, cercò di scrutare l’interno
di una vecchia “taschedda ” che dovevano portarsi appresso
col cibo per la giornata: “Mà, ite nos’azes postu
pro manicare in su cunzau? ” disse rivolto verso la mamma e
speranzoso che per l’occasione avesse preparato qualcosa di
buono e appetitoso.
“Ite cheriazes chi bo’ serepo postu? - replicò
tzia Frantzisca, con atteggiamento affettuoso - De su chi b'àmus,
tres cocones, unu cantu e casu erbechinu e pacas olibas de cuffetu
”.
Gonario, non soddisfatto della risposta, manifestò il suo disappunto
con i fratelli minori Luiseddu dieci anni e Piero sei: “inòche
si màndhicata sempere sas matessi cosas ”.
La mamma, accompagnò i ragazzi fino al cortile, oltre la porta
di casa, e con un bacio sulla fronte li salutò: “Andae
cun Deus e cun Nostra Sennora, e mi raccomando, istade attentos ”.
“Istade trancuilla bois mà ”, risposero i tre quasi
contemporaneamente, avviandosi in direzione della vecchia strada per
Mamojada, che era la parte iniziale del lungo itinerario che conduceva
alla vallata de su Grumene.
Con passo spedito s’incamminarono, fiduciosi di trovare lungo
il percorso, qualche carro trainato dai buoi, per avere un passaggio
o comunque altre persone dirette verso i vari tancati e orti che si
trovavano a su Grumene.
In quel caso, oltre al passaggio in carro, avrebbero avuto modo di
conversare e scambiarsi opinioni, distraendosi in modo da arrivare
a destinazione meno stanchi avendo anche l’impressione che il
viaggio sarebbe stato meno lungo.
Purtroppo, così non fu, probabilmente erano partiti leggermente
in ritardo e i tanti allevatori o coltivatori abituali, li avevano
sicuramente preceduti, partendo a “s’impudhile ”.
Infatti, tutti cercavano di arrivare sul posto, molto presto, e lavorare
al meglio a “sa friscùra de su manzànu ”.
Giunti all’ingresso de su cunzau, controllarono lo stato de
“sa jaca” , del muretto a secco di recinzione adiacente
e verificarono eventuali manomissioni, ma tutto risultava in perfetto
ordine.
Fecero quindi la consueta salita, lunga un centinaio di metri, per
raggiungere sa domo. Presso la porta d’ingresso, ma anche attorno
alla casa era tutto tranquillo. Non c’erano evidenti tracce
di danneggiamenti o violazioni.
Stanchi del viaggio, Gonario si sdraiò sulla vecchia brandina.
e Luiseddu con Piero approfittarono per sedersi su alcuni “iscannedhos
”, realizzati dai gambi di “ferula” a tempo perso,
in modo del tutto artigianale da tziu Badore.
Vi restarono per qualche minuto, giusto il tempo di rilassarsi e riprendere
fiato, di seguito, essendo più freschi e meno snervati, erano
pronti per avviarsi all’orto, situato in direzione nord ai confini
del tancato, ai lati di un piccolo ruscello affluente del fiume su
Grumene.
Raccolsero alcune piantine di lattughe e un cesto di pomodori. Subito
vollero assaggiare il sapore degli ortaggi freschi, e sanare così,
un certo languorino.
Di seguito, accantonarono una certa quantità di verdure da
portare a Nuoro per la famiglia.
Gli ortaggi. sembravano abbastanza freschi e la terra ancora umida,
ma in ogni modo, nel rispetto delle disposizioni ricevute, aprirono
il tappo del grosso tubo della “barza” di raccolta dell’acqua
e “pro abare ” fecero scendere il prezioso liquido nel
solco principale.
Gonario, dettò gli ordini di lavoro che, con una zappa, guidava
il flusso dell’acqua, chiudendo i solchi di diramazione quando
erano pieni, mentre Luiseddu e Piero, con due zappe decisamente più
piccole, preparavano gli altri solchi aprendo le ramificazioni, e
così, di conseguenza, chiudevano quello principale, in modo
che, al suo arrivo l’acqua andasse direttamente nei canali prescelti.
Il lavoro durò un paio d’ore. Poi sentendosi indubbiamente
stanchi, si sdraiarono sotto un enorme albero di fichi, godendosi
la frescura del momento, sicuramente bella e appagante.
A un certo punto, Gonario si rivolse ai fratelli minori: “Ajò
chi andhamus a sa domo e nos manicamus unu cantu ‘e pane casu,
ca deo, incomintzo a tenner gana ”. Si alzarono di botto, e
via, verso sa domo.
Giunti a destinazione, il maggiore dei fratelli, con autorità
prese una bottiglia vuota, e si rivolse a Piero e gli ordinava: “Tue
bae a sa funtana e batti cust’ampulla de abba ”.
Il piccolo, se pur a malincuore (poiché la sorgente era abbastanza
lontana) obbedì, e partì con passo veloce.
Intanto Luiseddu, prese in mano sa taschedda, per preparare il banchetto,
e immediatamente Gonario disse: “Dae chi lu facco deo, chirca
de pulire unu pacu in cussu trettu, ca manicamus cue ”.
“Eija ”, fu la risposta di Luiseddu, che cercò
di riordinare al meglio, spostando alcuni utensili da lavoro presenti,
e sistemando al centro un vecchio tavolino.
Quando era tutto pronto, mancava all’appello Piero, ma ecco
che, lo si intravide arrivare, e subito Gonario: “Ajo a tindhe
moghes chi tenzo sidiu ”, gli disse e andò incontro al
fratellino per prendergli la bottiglia.
In due sorsate, il fratello maggiore, svuotò la bottiglia,
e immediatamente dopo, rivolgendosi nuovamente al piccolo: “Como
bae lestru e bàttindhe un’attera ”.
“Oh, ma sempere deo deppo andhare, - si lamentò Piero
- Mi chi inoche semus in trese ”.
“Andas tue e impresse pure, - replicò Gonario - ca ses
su minore e deppes ascurtare su mannu. Bae lestru, senza fachere chistiones
”.
Borbottando, ma senza avere una minima possibilità di replica,
s’incamminò nuovamente verso la lontana sorgente.
Intanto, “il capo” dopo qualche minuto d’attesa,
si rivolse a Luiseddu: “Dai chi nois cumintzamus a manicare,
tantu, no istentata a bènnere ”.
Avevano appena cominciato che, con un grosso fiatone, si vide nuovamente
riapparire il fanciullo con la solita bottiglia in mano. Appena si
rese conto che, i fratelli, avevano già iniziato il banchetto,
si lamentò: “ite boche sezis manicandhe tottu bois ?
“Ista seriu, chi ja bindhata puru pro tene, cola e pica su pane
cun su casu ”, fu la risposta secca e autorevole di Gonario.
Terminato il banchetto, i tre si diressero verso un secolare e maestoso
albero d’olivo. Inizialmente si arrampicano nei magnifici rami
cercando ognuno di dare del suo, mostrando la propria abilità.
Al termine fecero un bel sonnellino per rilassarsi.
Trascorsa qualche ora, “Dai ajò pesae chi er belle ora
de nos pònnere in caminu pro ghirare a Nugoro ”, affermò
Gonario, con un sicuro atteggiamento da dominante, e consapevole del
suo ruolo di responsabile del gruppo.
I tre rientrano all’interno de sa domo. Presero in mano uno
zaino militare, questo, recuperato dai residuati bellici della guerra.
Vi sistemarono gli ortaggi raccolti nella mattinata, da prima le lattughe
di seguito i pomodori affinchè non venissero schiacciati.
“Pro como lu picco deo, poi lu piccaes puru bois però.
Cando firmamus a pasare, fachimus su cambiu ”, era il capo rivolto
alle reclute.
Luiseddu, si caricò sulle spalle sa taschedda, ormai, svuotata
dal pane e formaggio, e riempita con una piantina di lattughe, e così,
si avviarono verso il rientro in città.
Avevano percorso un paio di chilometri, mentre stavano camminando
lungo la stradina interpoderale all’altezza dell’appezzamento
dei Lorica, si sentì la voce di tziu Innassiu: “Cassiade
chi pasades e assazades unu pacu de mele ”.
I tre accettarono volentieri l’invito. Poggiarono lo zaino e
sa taschedda su uno dei muretti a secco, e si avvicinarono a salutare
il sempre cordiale e ospitale amico.
L’amico, tirò fuori alcuni panetti di cera d’api
ancora pieni di miele, “L’apo bocau dae sos mojos dae
pacu, assazaelu e nademi si er bonu ”.
I tre ragazzi, non abituati a consumare quel tipo di delizia e tra
l’altro molto golosi, assaporano il miele con vero gradimento,
divorandolo tutto e lasciando puliti i panetti della cera.
“Fiti meda bonu tziu Innà – disse Gonario –
bos ringratziamus meda ”.
“Cando colaes ghettae una boche chi fintzas chi bindata, b’atta
a essere pro bois ”, rispose cordiale l’uomo.
Salutarono, recuperano i bagagli, e anche per quella volta per non
far notare niente a tziu Innassiu, Gonario si caricò sulle
spalle lo zaino e Luiseddu sa taschedda, e ripresero il viaggio di
ritorno.
Il fratello maggiore, fatte alcune centinaia di metri e attraversato
un ruscello servendosi di una “passarella ”, si fermò,
e pretese che si scambiassero i bagagli, poiché, riteneva che
non era giusto che, fosse sempre lui, a prendere il carico più
pesante.
Anche se non dello stesso parere, Luiseddu acconsentì, e cosi,
si alternarono nel trasporto dei bagagli in ogni “puntu e pasu
”. Questo, per diverse volte.
Quando erano all’altezza de “su poju ‘e su pilota
” (dove si supponeva che un pilota in periodo di guerra, a seguito
di un incidente aereo vi fosse caduto, perdendo la vita), notarono
una piccola autovettura, parcheggiata ai bordi della stradina interpoderale.
A un centinaio di metri, in prossimità dell’incrocio
de Sa Tanca ‘e Sena, si accorsero che, stava giungendo una seconda
vettura, all’ora molto rare, proveniente da Mamojada e diretta
in direzione di Nuoro.
Se pur molto difficile, proprio quel giorno, accadde quello che speravano.
Accelerarono il passo e, con dei continui gesti con le braccia, accompagnati
da forti strilli, riuscirono a farsi notare.
L’auto, proprio all’incrocio, appena menzionato, dove
vi era pure una bella sorgente di acqua fresca, si fermò e,
aspettò che giunsero i tre ragazzi.
Erano due fratelli, molto conosciuti e stimati in città.
Altrettanto nota e apprezzata, una loro sorella, poiché, oltre
all’essere impegnata nel campo degli indigenti, lavorava nella
scuola come assistente sociale.
La donna chiamata da tutti signorina Luisanna, qualche mese prima,
incontrò Luiseddu, sulla via La Marmora, all’altezza
della costruenda parrocchia delle Grazie.
Il ragazzo con ai piedi delle vecchie scarpe, aperte completamente
nella parte anteriore. La suola con la parte superiore erano tenute
da una rudimentale cucitura con filo di ferro.
La signorina, si avvicinò verso Luiseddu con premura e attenzione,
le chiese dove stesse andando: “Vado a divertirmi sotto la chiesa,
ci sono degli amici e dobbiamo giocare a tene-tene “
La donna ribattè: “Lascia gli amici per oggi, e vieni
con me, che andiamo insieme a fare una commissione, e così
mi farai sicuramente compagnia”.
Luiseddu, forse intimorito e indubbiamente a disagio, di conseguenza,
per la netta paura di deluderla, acconsentì all’invito.
Così si avviarono di buon passo verso via Majore (oggi corso
Garibaldi).
Lungo il percorso, la donna chiese notizie riguardanti la famiglia,
cosa facesse di lavoro tziu Badore, quanti erano in casa, e se pagavano
l’affitto, o godessero di abitazione propria.
Una chiacchierata che, aveva messo a proprio agio il ragazzo, lasciando
dietro di se le proprie insicurezze e, restituendogli così,
quella naturale spigliatezza caratteriale.
Si era giunti quasi nella parte finale della lunga via Majore, ecco,
sulla destra, un negozio di pelletteria, con di lato dell’ingresso
una bella e grande vetrina “Vieni dentro che vediamo qualcosa”
pronunciò rivolta a Luiseddu.
“Voglio un bel paio di scarpe per questo ragazzo. – disse
al commesso – Mi raccomando, che siano buone e nello stesso
momento resistenti”.
Luiseddu, inizialmente perplesso, misurò, alcuni modelli di
scarpe, finchè trovarono quelle giuste di numero e comode nel
piede.
Scarpe, oltre che confortevoli, stupende da vedersi, forse le più
belle che avesse mai calzato.
La donna, senza esitazione, pagò l’importo, salutò
cordialmente il negoziante, e così, i due, uscirono all’esterno.
Una volta al di fuori, chiese nuovamente al piccolo, se effettivamente
il piede stesse comodo, e se quelle scarpe le piacessero realmente.
“Certo che mi piacciono – rispose all'istante –
Sono talmente morbide che mi sembro scalzo, grazie per questa sorpresa.
“Cerca di non sciuparle e trattale bene – replicò,
la signorina – Ora vai a casa, a tua madre, le dici che, questo
è un mio regalo”.
Ritorniamo ai due fratelli con l’auto.
Uno dei due, quello al fianco dell’autista scese a terra e gentilmente,
invitò i ragazzi a salire a bordo, dicendo loro di sistemarsi
al meglio.
Dopo essersi ben accomodati, collocarono i bagagli tra le proprie
gambe, l’auto riprese il viaggio, bello e comodo in direzione
della città.
I due signori, a seguito delle solite domande, da dove questi giungessero,
e quindi, averli osannati per il lungo percorso sino a quel momento
fatto a piedi. Quando ormai erano giunti alla periferia di Nuoro,
chiesero se nell’auto parcheggiata ai bordi della stradina interpoderale,
avessero notato qualcuno.
A Gonario, venne la bella idea di beffeggiarli, conoscendo la loro
sorella tramite la scuola, e così in modo ironico disse: “Booh
non sappiamo di chi fosse, però, dentro cerano un uomo e una
ragazza in atteggiamenti osceni”.
“Davvero? – rispose uno dei fratelli – Che gente,
mettersi sulla strada in vista di chi passa. E’ scandaloso,
chissà chi saranno stati”.
“La ragazza è sempre in giro a Nuoro – replicò
immediatamente Gonario, prendendoci gusto del gioco appena intrapreso
– Lavora a scuola, e s’interessa dei poveri, mi sembra
che, sia una specie di segretaria o assistente sociale”.
Un colpo di freni, e la vettura si fermò di botto: “Farabutto,
come ti permetti, di fare con cattiveria delle insinuazioni su mia
sorella? Ora vi faccio vedere io cosa vuol dire comportarsi da mascalzoni”.
Uno sguardo allo specchietto retrovisore, una rapida inversione, e
di nuovo in partenza, ma in direzione opposta.
All’interno dell’auto, si sentivano soltanto i due che,
a fasi alterne e, con tono duro, apostrofavano i ragazzi, senza che
questi, avessero la minima capacità di reagire.
Rifecero all’inverso tutto il percorso, ma non si fermarono
all’incrocio di sa Tana ‘e Sena, andarono oltre per qualche
chilometro, per poi, fermarsi in un punto desolato e per loro sconosciuto.
Uno di loro, scese dall’auto, e con voce decisa gridava: “Uscite
immediatamente fuori, delinquenti, e il giorno che imparate a comportarvi
da persone civili, potete ripresentarvi tra la gente”.
Senza dare una possibilità di replica, tirò fuori in
modo sgarbato, lo zaino e sa taschedda, gettandoli ai bordi della
cunetta e, immediatamente dopo, prese per il braccio uno per uno i
ragazzi, estraendoli con violenza dall’auto, regalando ad ognuno
un sonoro calcio nel sedere.
Incurante dell’ora, infatti stava per imbrunire, lasciò
i ragazzi per strada, rimontò in auto e ordinò al fratello:
“Vai, parti”.
Suo malgrado, Luiseddu, era amareggiato per il fatto increscioso appena
successo. Poiché, custodiva nel proprio cuore, come immagine
indelebile, quella donna che le aveva donato un bellissimo paio di
scarpe. In quel momento infangata, per un atto spregevole di spavalderia.
I tre, rientrarono a Nuoro a tarda notte, stanchi e sfiniti, ritrovando
la famiglia in forte allarme.
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