Limba Sarda - Dibàttidu

Il saggio inviato da Giacomo Murrighili, spero, possa creare una buona opportunità, per una seria discussione sulla poesia sarda. Daremo spazio ad eventuali commenti o repliche. (L.L.)

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Risposta a Michele Podda.

Caro Michele, consentimi innanzitutto il confidenziale tu, anche se non ci conosciamo fisicamente. Rispondo al tuo saggio del 25-3-2010. Ti chiedo scusa per il ritardo, non dovuto a mia trascuranza, ma solo per effetto della vecchiezza e dei connessi acciacchi. Ti ringrazio dell’apprezzamento relativo al mio libro Poesia Poesie e, quindi... all’autore. Riguardo al punto 1. delle tue osservazioni e ai generosi attributi attribuitimi, scusa il gioco di parole, non so quanto da me siano meritati. Riguardo all’ultima proposizione del punto in argomento: «Quanto servirebbe un po’ di umiltà!». Condivido pienamente la tua saggia sentenza in altri casi, ma non nel caso di essere rivolti a chi non la pensa come me. Ognuno ha diritto di dire le cose come le pensa, soprattutto se ne è convinto, sarebbe meglio esserne certo, ma può capitare che, chi è convinto, è pure convinto di esserne certo. Capita a tutti: più di qualche volta è capitato anche a me, ma ho avuto, sempre, il coraggio di avere un pò’ di umiltà, citata nella tua massima. Prima di chiudere questo Capitolo, sento il dovere di dire che questo qualcuno citato nel mio ‘Saggio di poesia sarda’ personalmente non esiste. Esiste in forma collettiva, rappresentato, da, quei pochi per fortuna, che si ostinano a comporre le poesie sarde cantabili secondo la metrica della poesia italiana. In riferimento all’interrogativo del punto 2. : «Ma il gallurese, è o non è una variante del Sardo?». Questa è la mia risposta: «Il gallurese, come persona, è fisicamente Sardo. È anche e soprattutto italiano, da quando l’Italia, scacciando i popoli invasori è diventata una nazione unita. Come parlata, il gallurese è anche uno dei tanti dialetti italiani, è anche cossu, (Corso), spiegherò tutto più avanti. Contrariamente a quanto affermano molti che tutti i Galluresi una volta parlavano il sardo. Sono certo che non è vero, anche questo spiegherò più avanti. Per sardo intendo tutte le parlate sarde, solo in questo caso esclusi il gallurese e le isole alloglotte. Si badi bene, questa mia risposta non significa antipatia né, tanto peggio, disprezzo, del sardo. È esattamente il contrario. Da ragazzo ho imparato a memoria buona parte delle poesie dei poeti sardi più celebrati. Durante la mia permanenza nella Consulta Intercomunale Gallura mi sono battuto contro la L. S. U. (Lingua Sarda Unificata). Un ibrido che nessun Sardo avrebbe mai voluto né parlato. L’abbiamo spuntata. Io sono un eterno innamorato di tutti i vernacoli che costituiscono la vera lingua sarda, nessuno di essi escluso, anche il più spurio, ognuno con le proprie cadenze, con le proprie sgrammaticature. Concludo il discorso più su accennato, affermando che i Galluresi hanno parlato sempre il suo dialetto originale, salve infiltrazioni del corso per rapporti amicali con la sua dirimpettaia isola gemella e dei confinanti sardi, nonché lo storico riflusso delle lingue relative a tutti popoli che ci hanno dominato. Riporto in sintesi alcune pagine di storia relativa al fatto che il nome del nostro dialetto, anticamente, oltre che gallurese , fu chiamato anche cossu (corso) . Parlo di tempi antichissimi, molto prima del dominio dei Romani. In Corsica ci fu una guerra civile tra le tribù dei Sumbri e quelle degli Areusonici. Questi ultimi, di molto inferiori ai primi, chiesero aiuto agli Etruschi . A loro volta i Sumbri si rivolsero ai Sardi del settentrione. I nostri, raccolto l’invito, passarono lo stretto e occuparono buona parte della Corsica per proteggere gli alleati. Lo scontro avvenne nei pressi del fiume Are. Furono, però Gli Areusonico-Etruschi a vincere e costringere i Sardo-Sumbri a ritirarsi e riffuggiarsi nei monti della Gallura. Nove anni dopo, nel 941 a. Cr., Galluresi e corsi, rimasti sempre in Gallura coi fedeli alleati dopo la prima sconfitta, ripresero la guerra contro gli Etruschi. Da allora fu un continuo alternarsi di vittorie e sconfitte da una parte e dall’altra. Nell’884 a. Cr. che gli Etruschi furono respinti per sempre dai Gallureso-Sumbri. Li furono assegnati terre e bestiame. Questo fatto avvenne 94 anni prima della fondazione di Roma Finita definitivamente la serie delle invasione degli Etruschi, la Gallura ebbe un Governo nazionale che durò 304 anni, durante il quale la Gallura accrebbe in benessere e in potenza. Tutto questo è storia attinta da fonti scritte. Ecco perché ho detto di essere certo che i Galluresi hanno parlato sempre e solo il proprio originale dialetto, salve le eccezioni su accennate Concludo, stringendo, per aver sciupato troppo spazio, complimentandomi con te per la rassegna delle usanze locali, relativa al tuo punto 3., inclusa la Pricunta Gallurese. Tu hai il dono della sintesi. Io no. Bravo! Insegni qualcosa anche ai vecchi. Giacomo Murrighili. (16-06-2010).

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Egregio G. Murrighili,
conosco il suo libro Poesia e Poesie, che apprezzo moltissimo sia per gli aspetti tecnico-specialistici riguardanti lingua e poesia, sia per il gran numero di componimenti tutti molto belli, e sia per la sardità e per la passione che si coglie per tutto il testo. Complimenti davvero.
In particolare propongo qualche semplice osservazione:
1. "A li puetti di Gaddhura" si potrebbe ben dedicare a tutti gli intellettuali del mondo e sicuramente a quelli della Sardegna. Mi piace il messaggio e anche il modo leggero ma fermo e chiaro con cui è espresso. Quanto servirebbe un po' di umiltà!

2. Ma il Gallurese, è o non è una delle varianti del Sardo? So che l'argomento è stato a lungo dibattuto, e che non c'è un giudizio definitivo sulla questione. Ricordo soltanto che Antonio Sanna in "Il dialetto di Sassari e altri saggi" propende forse più per la sardità del Gallurese, pur ammettendo che molti aspetti lo avvicinano all'Italiano e al Corso. Tutte le volte che ho letto o sentito parlare il Gallurese, io l'ho percepito assolutamente come sardo, soprattutto nelle espressioni più che nei vocaboli. Non so se è corretto, ma non riesco a sentire come varietà alloglotte il Sassarese e il Gallurese, alla stregua di Algherese, Tabarchino, Veneto di Arborea o Istriano di Fertilia.

3. La pricunta gallurese a Escalaplano è chiamata "telecapotu" e si svolgeva più o meno allo stesso modo. A Ollolai ho sentito di "su jocu de sa baca", che però si svolgeva alla vigilia della festa di San Basilio, alla fine della cena a base di arrosto da parte dei "novinantes", accanto alla chiesetta campestre. La scena consisteva nel dialogo di un "istranzu" dei paesi vicini (interpretato da un uomo capace che imitava anche il dialetto) che cercava bestiame rubato e tutti i convitati che facevano domande o precisavano che lì di bestiame rubato non ne era certo passato; facendo però intendere che in realtà era arrivato ma era stato già consumato. Fra le risate generali il gioco poteva durare per delle ore, con la possibiltà di intervenire tutti per prendere in giro il cercatore.
Saluti cordiali.
Michele Podda
(25-3-2010)

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Saggio di poesia sarda.
Ne ho parlato ampiamente nel mio libro Poesia e Poesie. Vorrei riparlarne succintamente perché fra quanti hanno letto questo mio libro e altri che ne hanno sentito parlare vi sono molti che mi chiedono cortesemente delucidazioni e qualcuno con qualche obiezione afferma che la poesia sarda cantabile segue interamente e in maniera identica regole ed eccezioni della metrica italiana. Sicuramente questo signore non ha letto nemmeno metà del mio libro. Mi dispiace! La prego gentilmente di leggere almeno tutta la seconda parte. Là è riportata una nutritissima serie di esempi che dimostrano inconfutabilmente il contrario. Si convincerà che tra le due metriche vi è una differenza fondamentale. La poesia sarda cantabile rispetta una metrica che io ho chiamato ibrida, come Carducci chiamò barbare le sue famose odi, perché pensò che così avrebbero suonato agli orecchi dei poeti classici, in quanto essa, la poesia sarda cantabile, è nata naturalmente e spontaneamente col canto, per cui la relativa metrica è promiscua, quantitativa e accentuativa insieme. Oggi i poeti, anche i più celebrati, hanno scordato il concetto della quantità. Non lo hanno scordato i musicisti perché la musica è costituita, se non prevalentemente, in gran parte anche di elementi quantitativi. Nella canzone sarda, ma anche nella poesia italiana esiste la funzione della quantità, perché costituita di sillabe. Queste, lo sappiamo tutti, nella catena parlata sono per natura lunghe o brevi, a seconda di quanto la voce nel pronunciarle sosta su di esse. Un dittongo, un trittongo e altre sillabe per effetti prosodici o di tratti soprasegmentali sono sillabe lunghe. Nella grammatica e nella metrica italiana costituiscono sempre e solo una sillaba e sono inscindibili. Invece nella poesia sarda si dividono, salve poche eccezioni galluresi secondo la scuola di don Gavino Pes, in due e tre sillabe. L’elisione nella poesia sarda è l’unica delle figure metriche che viene regolarmente applicata come in italiano Per la poesia sarda cantabile la quantità influisce necessariamente, mentre la poesia italiana non tiene più conto di questo elemento. Quando nei bandi di concorso dei premi di poesia c’è scritto poesia in rima di solito si intende poesia sarda cantabile. Le altre sezioni sono i versi sciolti e i versi liberi. Qualcuno, non addetto ai lavori, confonde questi ultimi due l’uno con l’altro. Parleremo, quanto più in breve possibile, di tutti e tre. La poesia in rima comprende tutti i metri seguenti, intendendo per metro la struttura particolare delle strofe e anche lo schema metrico di un componimento poetico. Dal distico, saltando tutte le altre strofe intermedie, fino alla nona rima, a su noe retrogadu e a sa deghina glossa, a sa treighina retrogada, a su degheotto fioridu, a su vintises traversadu, a sas modas, a sos modellos, asos ritornellos, a su trintases, a su trintasette fioridu a maglia, a su trintanoe serradu a latu e a doppia retroga. Si aggiungono a quanto su tutte le arie del canto a chitarra, a partire dal canto in re, al mi e la, al si bemolle, al fa, al fa diesis, al do re, a sos mutos, brevi o lunghi, a la tempieina, a la graminatoggja, a la filugnana, a la disisperata a la cursican, a sa nuaresa, a sa piaghesa e a s’otiares’antiga. Tutto questo ed altre arie fanno parte della poesia in rima. Ma tutti i precedenti intrecci, ricami, geometrie e parallelismi retrogati, a gusto e a parere mio, non è la parte migliore della poesia in rima. È, sì, virtuosismo di poeti grandiosi soprattutto se estemporanei.
La poesia, tutta, è anche sintesi: «M’illumino d’immenso» è pregnante e sintetica allo stesso tempo e non annoia. Il verso sciolto in poche parole si può dire che è sciolto dall’obbligo della rima, ma questa non è vietata. Il verso libero invece va spiegato meglio. Thomas Stearns Eliot con molta chiarezza scrive: «Solo un cattivo poeta potrebbe accogliere il verso libero come una liberazione dalla forma», dove quest’ultimo termine è sinonimo di organizzazione metrica. Del resto anche Dante, parlando di «tempo regolato», alludeva probabilmente agli elementi che costituiscono con la loro attrazione dinamica la struttura specifica del verso. Ora che sia o non sia «regolato» da misure fisse, il verso rimanda pur sempre al principio che la sua unità si organizza secondo linee di unità interna e non diversamente. Il verso libero comprende altri tipi di versi e fa parte d’altre correnti letterarie, per esempio, il Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti. Comprende anche il Versetto. Quest’ultimo nonostante la sua forma diminutiva di verso è lunghissimo e non ha le sillabe esattamente contate. Oggi può essere considerato una unione di versi liberi scritti di seguito come la prosa: essi sfuggono, in realtà, ad ogni tentativo di ridurli a una misura costante. Uno degli esempi è dato dai salmi ebraici, dove si riscontra una particolare armonia fatta di mobili e mutevoli rispondenze e simmetrie, dotate di un particolare effetto musicale. .
Giacomo Murrighili. (22-03-2010)