I PIERCY |
Badde Salighes, l'osai naturale che tutti invidiano alla Sardegna, rappresenta per Bolotana e l'intero Marghine un bene da salvaguardare e valorizzare. La tenuta omonima e la sua villa è opera di Benjamin Piercy che, approdato nella nostra isola intorno al 1863, quando lui, ingegnere britannico ebbe l'incarico dalla "Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde" costituitasi a Londra di realizzare la linea ferrata che collegasse Cagliari - Olbia e Chilivani - Porto Torres. Come compenso ricevette vari terreni agricoli a Macomer e Bolotana. Così iniziò la realizzazione di una delle più moderne aziende agricole e impiantò un efficiente allevamento di bestiame, introducendo razze di cavalli e mucche sconosciute all'epoca. costruì anche una maestosa villa riportando a Badde Salighes lo stile Inglese. Con Vera Piercy sposata con il Conte Giorgio Francesco Mameli di Oristano, Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede conosciuta come la Contessa di Badde Salighes, nipote di Benjamin, si visse un'atmosfera di lusso con continue feste alla presenza delle maggiori nobiltà sia Inglesi che Italiane dell'epoca. Si dice che persino Umberto di Savoia poi divenuto il Re d'Italia fosse un assiduo frequentatore della famiglia Piercy. è di alcuni decenni il declino di Badde Salighes. dovuto inizialmente dalle prosperose rivendicazioni che i centinaia di contadini esigevano, per poi dare la spallata finale i grossi espropri da parte dell'Etfas. Così la contessa di Badde Salighes, carica di problemi finanziari, vendette tutto e lasciò definitivamente la Sardegna. E' deceduta nel 1979, attualmente è ancora vivente la figlia Giorgina e dimora nella penisola ma, in occasioni speciali rivisita volentieri Bolotana. Luigi Ladu |
Ritratto di Benjamin Piercy (tratto da "Alla Ricerca di Capitali Coraggiosi" di Paolo Fadda edito da Sanderson Craig) Per lungo tempo fummo in molti a credere che quel bellissimo nome che indica la stazione di Ozieri (Chilivani) altro non fosse che l'appassionata dedica di un ingegnere inglese sulla sua bella amante indiana (una dolce fanciulla di nome Kilivan), che sarebbe giunta nell'isola al seguito dei pionieri ferroviari, qui s'ammalasse di mal sottile e vi morisse giovanissima. Restammo molto male allorquando ci capitò di leggere sul quotidiano sassarese, molti anni fa, che il bel racconto altro non era che la spiritosa invenzione di un illustre medico, il professor Pietro Luridiana, che nella misteriosa Kilivan fece l'eroina di un suo fantastico racconto (Satyagraha, pubblicato a Cagliari nel 1930). Chilivani, apprendemmo, altro non è che un vecchio toponimo della campagna ozierese, attestato in atti ufficiali ben prima della seconda metà dell'Ottocento e "contenuto anche nelle schede del Condaghe di S. Maria di Bonarcado". Niente principessa indiana, dunque, dietro il musicale nome di quella stazione spartitraffico fra le destinazioni di Olbia e Portotorres; peccato davvero perchè quella leggenda aveva il gusto del misterioso e dell'amore romantico a dava un non so che di fascino all'impresa ferroviaria che l'ingegner Benjamin Piercy aveva realizzato in quegli anni in Sardegna (ma d'una affascinante giovane donna, giunta al seguito di quei pionieri, se ne può continuare a parlare perchè per lungo tempo visse nell'ozierese un'indiana del clan Piercy, "lasciando ricordo di donna buona, affidabile e caritevole", oltrechè, in gioventù, di appassionata insaziabile amante). Piercy è un gallese di razza forte e volitiva, ingegnere civile a ventanni, per paterna tradizione "progettista e costruttore", esperto di ferrovie e di strade, di solida fama professionale in tutto il Regno Unito. Ha trentacinque anni quando arriva per la prima volta in Sardegna ed ha alle spalle, soprattutto, una grande esperienza in costruzioni ferroviarie in Inghilterra: lo ha chiamato la Compagnia per le Ferrovie Reali Sarde per rivedere e modificare i progetti di massima della rete sarda come redatti in precedenza dalla società Baratelli. Gira così la regione in lungo e in largo ed ha modo di conoscerne bene la natura: percorrendola a piedi, dirà anni dopo, ho imparato ad amare la selvaggia bellezza di questa regione del Mediterraneo, tanto da farmene sentire figlio adottivo. Ci ritorna ancora tre anni dopo per una breve visita ispettiva ai lavori in corso, per sistemarvisi poi definitivamente un quinquennio dopo (nel 1870) come ingegnere capo (ed anche azionista) della società ferroviaria, di ritorno (da qui la leggenda) da un periodo di lavoro nelle Indie. Si sistema a Cagliari, nel palazzo del Barone Rossi in Castello, con la sua numerosa famiglia (con la moglie Sarah, ci sono i nove figli, tre maschi e sei femmine, tra cui la tredicenne Florence che terrà, del suo soggiorno cagliaritano, un gustosissimo diario). Ma se le ferrovie sono il suo business principale, si sente ammaliato dai grandi misteri e dalle nascoste ricchezze della terra sarda ed intende farsi carico della loro valorizzazione: così si occupa di affari minerari ed agricoli e diventa un vero e proprio imprenditore-capitalista. L'enorme fortuna accumulata con l'impresa ferroviaria gli consente ogni investimento: è un vero "ricco" oramai e la sua solida fama di uomo d'affari pervade tutta la Sardegna: compra terreni ovunque, da Chia, nell'estremo sud, fino a Palau, di faccia all'isola de La Maddalena. Diventa amico di Giuseppe Garibaldi, l'eroe "dei due mondi", e Ricciotti è suo figlioccio; Re Umberto lo fa "commendatore della Corona d'Italia" e lo chiama a Roma per occuparsi dell'approvvigionamento idrico della capitale del nuovo regno. Ha cinquantadue anni quando impianta a Baddesalighes, sull'altopiano del Marghine, una grande azienda agricola, sperimentando metodi di coltivazione per quei tempi poco meno che rivoluzionari; il deputato Francesco Salaris, compilando la parte sarda della inchiesta agraria Jacini, descrive la sua azienda come "un monumento eretto all'agricoltura moderna" ed aggiunge che "è condotta con vero intuito imprenditoriale da uno dei più intelligenti operatori agricoli nazionali; oggi è il maggior proprietario di fondi rustici di tutta l'isola". Anche Piercy (come il Sanna del resto) non ha dubbi che per varcare il difficile guado esistente fra l'economia feudale (come la definirà anni dopo il Deffenu) e l'economia capitalista (di cui se ne ravvisa tutta l'esigenza) occorre impegnarsi imprenditorialmente, dando il dovuto omaggio al dio profitto e alla sua religione. L'ingegnere gallese ha in sè la cultura protestante della Riforma e crede ciecamente nella missione del capitale, come forza rigeneratrice e modernizzatrice del mondo. Vuol trasformare capitalisticamente la società isolana ed a Baddesalighes realizza un'azienda modello: ci sono oltre 50 chilometri di strade poderali e moderni edifici per i suoi coloni; mette a coltura del foraggio oltre 1000 ettari di terra per avviare il più importante allevamento zootecnico dell'area mediterranea; impianta un caseificio ed un burrificio con tecniche moderne; costruisce stalle razionali per il ricovero del bestiame ed un'officina meccanica per la riparazione delle macchine agricole; dopo cinque anni Baddesalighes è una grande impresa agricola, realizzata con metodi e tecniche capitaliste, ed i sui prodotti s'impongono su tutti i mercati. Piercy ha investito oltre un milione di lire, un "kolossal" per quei tempi! Quando muore, per un malore a sessantun anni (a Londra, il 24 marzo 1888, dopo un lauto banchetto dal Lord Major), è un uomo potente, patrimonialmente ricco, baciato - come s'usa dire - dalla dea bendata. E' padrone di mezza Sardegna, ha vasti possedimenti nel Regno Unito, case palazzi ovunque ed una gran fama che per lunghi anni accompagnerà la vita (de il nome) dei figli e dei nipoti. La sua passione per l'isola dei nuraghi millenari e delle greggi annoiate la erediterà il figlio Henry che per lunghi anni continua a dimorare a Cagliari, nel bel palazzo Zedda Piras nel viale Regina Margherita, nell'incidente aereo di Terranova Pausania, volando da Cagliari a Roma: era il novembre del 1929. La figura del Piercy, al di là di queste note biografiche, va però analizzata, all'interno della nostra storia, per le valenze che ebbe nel processo di modernizzazione in atto, in quella seconda metà dell'Ottocento, in Sardegna. La sua personalità può essere ritenuta "aliena" all'interno della società locale: il gallese non fu infatti un vero figlio della cultura e della economia isolana, ma il suo lavoro, la sua conoscenza attenta delle realtà locali lo portarono a condividere le tesi politiche che, in quegli stessi anni, s'andavano costruendo per programmare il rifiorimento della terra sarda ( e la sua modernizzazione capitalistica): l'industria, la zootecnia, l'agricoltura intensiva. Fu quindi un pioniere, non estraneo - ma interno - a quel processo di crescita e di riscossa che i sardi benpensanti immaginavano ardentemente avvenisse per la loro piccola patria. Fu anche lui, come il Sanna, un esempio diverso, un'eccezione alla regola comune (di una pigrizia ed un'astenia imprenditoriale dei sardi) ma fu una testimonianza di quella voglia di modernità che ormai aleggiava ovunque (anche se, purtroppo, era una voglia che cozzava con la generale arretratezza dell'economia con la pericolosa ignavia della maggior parte della classe borghese locale). |
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